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Il Mostro di Firenze: storia di Pietro Pacciani /2. Indagini e sentenze

Dal 1984 le indagini sui delitti del Mostro di Firenze sono diventate meno grossolane e affidate al caso. E’ stata istituita una Squadra Anti Mostro, la SAM, formata da poliziotti e carabinieri qualificati. A capo di questa squadra speciale c’è il Dott. Ruggero Perugini, un poliziotto specializzato in criminologia clinica, che si è perfezionato alla FBI ACADEMY di Quantico, dove è attiva un’unità specializzata nello studio del comportamento dei serial killer.
Dopo l’omicidio di Vicchio, del 1984, i magistrati Pier Luigi Vigna e Paolo Canessa chiedono al direttore dell’Istituto di medicina legale e della scuola di specializzazione in criminologia clinica di Modena, Prof. Francesco De Fazio, di tracciare un profilo del Mostro. Questi, in sintesi, sono i passi conclusivi della prima perizia:

Il profilo del mostro di Firenze

“(…) Un soggetto che agisce, scegliendo i luoghi e le situazioni ma non le vittime, che gli sono in genere sconosciute, sotto la spinta di un impulso sessuale abnorme nel quale confluiscono cariche aggressive profonde sessualizzate (sadismo sessuale) ed un desiderio sessuale (ad orientamento quasi sempre eterosessuale), che in genere non trova altre vie di appagamento se non quelle dell’azione sadica e delle fantasie sadiche masturbatorie (…) è tuttavia possibile che l’omicida conoscesse precedentemente le vittime (quantomeno quella di sesso femminile) almeno per quanto riguarda il secondo delitto (…) si tratta certamente di un soggetto di sesso maschile, che agisce da solo, con tutta probabilità destrimane, con una destrezza semi-professionale nell’uso dell’arma da taglio ed una conoscenza quantomeno dilettantistica nell’uso dell’arma da fuoco.

Il modo di agire del Mostro

Il modus operandi del soggetto ha subito, nel succedersi dei delitti, un progressivo perfezionamento (…) La metodicità, la sistematicità, la cautela, l’astuzia e la capacità nel non lasciare tracce di sé, ecc. denotano una personalità sufficientemente organizzata, probabilmente capace di buona integrazione nel contesto ambientale di appartenenza. (…) Le modalità dell’azione depongono comunque più per una ipo-sessualità che non per una iper-sessualità, se non addirittura per una tipologia d’autore che raramente è in grado di avere normali rapporti sessuali. (…)
Il senso comune potrebbe suggerire riduttivamente trattarsi di uno scapolo, ma le connotazioni psicologiche alle quali intendiamo far riferimento non corrispondono necessariamente ad una condizione di stato civile, potendo rispecchiare situazioni di convivenza e di rapporti con figure femminili le più diverse”.

Dossier sul Mostro di Firenze

C’è una nota da aggiungere, riguarda alcuni dossier relativi ad altre perizie sul Mostro, che il dott. Francesco Bruno, altro criminologo, elabora su richiesta dell’allora capo del SISDE, Vincenzo Parisi. Il primo dossier, del 1984, finisce così:
“Si tratta di delitti rituali compiuti in omaggio ad un qualche rito satanico di cui l’ assassino è un seguace o a qualche pratica di stregoneria o magia nera. (…) L’ assassino ha a che vedere con una casa di riposo per anziani non autosufficienti, con tutta probabilità nella zona sud di Firenze”.
Il secondo dossier, del 1985, rileva, rispetto al primo, un probabile movente religioso, rivolto a punire le donne perché “sorgente del peccato” e “ricettacolo del demonio”. Queste due consulenze furono consegnate nel 1985 alla sede del SISDE di Firenze, ma mai trasmesse alla Procura né alla Polizia.
Vennero alla luce solo nel 2001, quando Michele Giuttari, capo della squadra mobile di Firenze dalla fine del 1995, ordinò una perquisizione a casa di Francesco Bruno.

Indagini sul Mostro di Firenze

Nel ripercorrere la storia del Mostro di Firenze torniamo al 1984, alle indagini che sono divenute ora più sottili, analitiche e scientifiche. Si effettua uno screening su una lista di persone con caratteristiche sospette: violenti, guardoni, perversi, persone che girano intorno al mondo della prostituzione e della magia nera.
Dalla lista spicca un nome: Pietro Pacciani. Un contadino dai modi brutali, conosciuto da tutti come il “Vampa” e da tutti temuto, evitato. E’ un bracconiere provetto, che sta ore nei boschi ad attendere i fagiani, ai quali spara con una pistola e che ha il vizio di guardare di nascosto le coppiette che amoreggiano.
E’ sposato con Angiolina Manni, una moglie martire, sempre piena di lividi, e ha due figlie, Rosanna e Graziella, che violenta fin da quando erano piccole. “Lui ci ha violentato per otto o nove anni – racconta Rosanna durante il processo – Con me cominciò quando ne avevo nove e con mia sorella quando ne aveva dieci. Ci chiamava a letto tutte e due assieme, o una alla volta. Mia mamma lo sapeva. Però lui non voleva che si intromettesse. La mandava via, la mia mamma (…) Sera per sera, decideva lui con chi voleva dormire, se voleva me, mamma e mia sorella restavano nell’altra stanza”.

Primi indizi su Pietro Pacciani

Proprio per questa violenza incestuosa, nel 1987, Pacciani finisce in carcere. E non è la prima volta, nel 1951, uccise, con diciannove pugnalate, un rivale in amore, Severino Bonini, sorpreso nel bosco di Tassinaia insieme a Miranda Bugli, la sua ex fidanzata. Processato e condannato, rimase in carcere fino al 1964.
Comunque, scontata la condanna per stupro aggravato ai danni delle figlie, condanna durante la quale gli fu consegnato un avviso di garanzia per duplici omicidi seriali, Pacciani esce dal carcere nel dicembre 1991 e inizia ad essere sorvegliato e intercettato dalla polizia. A suo carico si effettuano delle perquisizioni e durante una di queste, nel 1992, nella casa dove vive, in Via Sonnino, a Mercatale, è rinvenuto, nell’orto, un proiettile inesploso. E’ un calibro 22, tipo Winchester, serie H. A seguito di questo ritrovamento, il 16 gennaio 1993 Pietro Pacciani è arrestato con l’accusa di essere il Mostro di Firenze.
Le molteplici testimonianze già raccolte a suo sfavore, i tempi tra un omicidio e l’altro, che corrispondono ai tempi in cui lui è in galera, una lettera anonima che indirizza su di lui contribuiscono a far presumere la sua colpevolezza, tutta però da dimostrare.
Il 16 aprile 1994 si apre il processo alla corte d’assise di Firenze. La prova più grave è quel proiettile non esploso calibro 22 ritrovato in mezzo all’orto.

Il proiettile ritrovato nell’orto

Secondo Pacciani, la cartuccia è stata messa lì da qualcuno: “Era ritta, in mezzo a un po’ di terra (…) – sostiene e dice anche che per invecchiarla hanno usato l’acido muriatico. Non è suo quel bossolo con la lettera H sul fondello; era tutto previsto, tutto preparato, si doveva trovare – Se dicessi una bugia che Dio mi bruci l’anima nell’inferno”, conclude.
C’è un altro indizio grave da valutare: Pacciani è stato visto agli Scopeti la notte in cui furono uccisi i due turisti francesi. A dirlo è un suo amico, Lorenzo Nesi: “La sera dell’ultimo delitto, vidi Pacciani poco distante dalla piazzola dove venne uccisa la coppia francese”. Nesi, che era già stato sentito come testimone, continua: “Quando venni a deporre, Pacciani fece finta di non conoscermi. Ci ho ripensato e ho capito perché: aveva paura che dicessi di averlo visto la sera di quel delitto”.
E’ la prima volta che Pacciani è collocato sulla scena di uno dei delitti. Prosegue Nesi: “Pacciani lo vidi in macchina, guidava lui. Era su una Fiesta, con un’altra persona, poco dopo le nove di sera di domenica 8 settembre 1985. Ci siamo guardati in viso”. Non era solo il Contadino di Firenze, lo sostiene Nesi, e questa è una novità, quella che ha appena instradato le indagini verso l’imminente scoperta dei “Compagni di merende”.

I Compagni di Merende

Il 1 novembre del 1994, Pietro Pacciani è condannato per 14 omicidi alla pena dell’ergastolo. La sentenza, però, sostiene che almeno in uno degli omicidi, quello del 1985, Pacciani non era solo. Quindi, la storia non è finita, c’è un’altra persona da cercare. Partono le indagini. Circa 15 mesi dopo, il 29 gennaio 1996, si apre il processo d’appello.
E’ un processo veloce, che da subito sembra indirizzato verso una non colpevolezza e che, infatti, assolve Pacciani per non aver commesso i fatti a lui imputati nel processo di primo grado del 1994. E’ il 13 febbraio 1996.
Pacciani torna in libertà, mentre l’altra persona, quella vista insieme con lui l’8 settembre 1985 e che le indagini hanno alla fine riconosciuto in Mario Vanni, è stata arrestata il giorno prima, il 12 febbraio 1996, e accusata per gli ultimi cinque omicidi commessi dal “Mostro”.

La figura di Mario Vanni

Mario Vanni, che diventerà un nome noto nella storia del Mostro di Firenze, era stato precedentemente ascoltato come testimone durante il processo a Pacciani del 1994 e, in quell’occasione, aveva già insospettito la corte per la sua reticenza, attirando su di sé l’attenzione degli investigatori. Fu lui, sempre in quell’occasione, a parlare per la prima volta delle famose ‘merende’, facendo nascere l’ironica espressione: “Compagni di merende”, usata poi per indicare, nella lingua italiana colloquiale, un gruppo di persone unite in segreto da un rapporto ambiguo.
Queste, in una sintesi, le sue parole, quando ancora non era accusato: “Io so stato a fa delle merende con il Pacciani (…) A volte siamo andati a fa qualche merenda così, vero? A bere un caffè insieme, poi, io altre cose non le so (…) Ci si trovava così, dopo desinare, a fa una merenda, poi, io non lo so (…) Io insieme alle donne con il Pacciani non so mai stato, io levato che andare a fare qualche merenda (…)”.
Michele Giuttari, capo della Squadra Mobile alla Questura di Firenze dal 1995, dopo la storia delle ‘merende’, mise sotto sorveglianza tutti gli amici di Pacciani, in particolare il Torsolo, Mario Vanni, e il Katanga, Gian Carlo Lotti, facenti parte sempre del giro dei guardoni, di quelli che si muovono per conto proprio, emarginati dalla società e considerati, a detta di tutti, grulli.

Gian Carlo Lotti, l’altro accusato

Furono rivisti gli incartamenti, rilette tutte le testimonianze ed emerse così un mondo sinistro, pieno di violenza, abusi e magia. Un mondo dimorante nei casolari sperduti, frequentato da prostitute, protettori, pervertiti e maghi. Sempre da quel mondo, vennero fuori due testimoni oculari, quelli che videro uccidere i turisti francesi. Interrogati, ammisero: “Si vide, io e Lotti, la macchina e la tenda, e si vide lì tutti e due, il Vanni e il Pacciani – a parlare è Fernando Pucci – Sentii fare come uno strappo, con un coltello che aveva in mano il Vanni e il Pacciani aveva la pistola. Poi si sentì due spari e si andò a vedere che c’è. Poi si sentì una voce: ‘Se non andate via vi si ammazza anche a voi’. E noi si andò via”.
Anche Gian Carlo Lotti, l’altro testimone, poi accusato con Mario Vanni, dopo essere caduto spesso in contraddizione, alla fine confessa, sostenendo che Pacciani e Vanni gli avevano dato appuntamento agli Scopeti per fare il palo e che lui, all’insaputa dei due, si era portato dietro Pucci, che però non sapeva nulla di ciò che sarebbe poi successo.
Se l’era portato dietro per dimostrargli che non diceva bugie, che quei due uccidevano davvero le coppiette. E dice pure che era presente al duplice omicidio di Vicchio, quello di Pia e Claudio, del 1984, lì vide Pacciani sparare ai due ragazzi e Vanni tirare fuori della macchina Pia. E allora? Perché Vanni e Lotti finirono in carcere e Pacciani, invece, fu assolto?

Secondo processo a Pacciani e condanne per Vanni e Lotti

Per un problema di procedura, le testimonianze contro Pacciani non furono né accettate dal presidente della Corte d’appello, Francesco Ferri, né quindi prese in considerazione come prove accusatorie. Ma la Cassazione, poco dopo l’assoluzione di Pacciani, rivelò, a sua volta, un vizio di legittimità e annullò la sentenza. Tutto da rifare. Pietro Pacciani deve tornare in aula per essere processato una seconda volta. E’ accusato, come Vanni e Lotti, degli ultimi cinque delitti del Mostro, i delitti dei Compagni di merende.
Ma Pacciani non sarà giudicato insieme con gli altri, per lui ci sarà un processo a parte. Il 20 maggio 1997 la corte d’assise di Firenze inizia il processo ai “Compagni di merende” che si conclude poi il 24 marzo 1998 con la condanna all’ergastolo per Mario Vanni e a trent’anni per Gian Carlo Lotti. Sentenza riconfermata, sostanzialmente, in appello: ergastolo a Vanni e ventisei anni a Lotti. E Pacciani?

Pacciani è innocente?

Pacciani nel frattempo è morto. A pochi giorni dall’inizio del suo secondo processo, quello per gli ultimi cinque delitti del Mostro, il contadino più famoso di Firenze è ritrovato privo di vita nella sua casa, a Mercatale, riverso a terra, con i pantaloni calati sotto le ginocchia. “Arresto cardiaco”, dice il medico. E’ il 21 febbraio 1998.
Nota: non tutti sono convinti che le prove presentate siano sufficienti a dimostrare la colpevolezza di Pacciani, Vanni e Lotti. I dubbi rimangono. Soprattutto nei riguardi di Pacciani, i giudizi contrastano, si pensa pure che sia stato ucciso per non farlo parlare. Il dott. Francesco Bruno ha sempre sostenuto l’innocenza del Contadino di Firenze, ritenendolo solo un capro espiatorio: “Io mi resi conto che questo Pacciani non poteva avere niente a che fare con i delitti del Mostro e cercai di difenderlo (…) ”.

Atti seriali di un progetto delirante:

Per il dott. Bruno, i delitti in oggetto hanno un’interpretazione mistico-esoterica. Sono atti seriali di un progetto delirante impresso nella mente del serial killer. Dietro il Mostro, sempre secondo il dott. Bruno, si è nascosto un uomo mai individuato, con un’intelligenza superiore alla media, spinto da suggestioni moralistiche e da delirio religioso. Un assassino seriale che agiva da solo.
In un’intervista al criminologo, su La Repubblica del 31 ottobre 2001, si legge: “Ho scritto che sarebbe stato bene fare accertamenti sul direttore di una clinica per anziani: Villa Santa Teresa. Ho fornito numeri di targa. Sono convinto che il vero mostro sia uno dell’ambiente medico. Uno che ha goduto e gode di protezioni altissime (…) Se è ancora vivo, potrebbe essere stato chiuso in una clinica svizzera. O, più probabilmente, è stato ucciso o si è suicidato di recente (…) ”.
La Cassazione, il 26 settembre 2000, emette la sentenza definitiva, individuando nei Compagni di merende gli autori dei crimini del Mostro. I processi sono così conclusi. Ma la sentenza d’appello, tenendo forse conto dei molti dubbi, aveva parlato anche di possibili mandanti, e non solo di esecutori, tanto che l’attività investigativa non si spense, ma indirizzò le sue attenzioni alla ricerca del cosiddetto “secondo livello”, quello, appunto, dei committenti.
C’era qualcuno dietro i Compagni di merende? La storia del Mostro di Firenze passa inevitabilmente da questa domanda.


Puntata successiva: Pietro Pacciani, storia del mostro di Firenze /3: la verità non c’è

Pubblicato in Misteri di Cronaca Nera

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