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Misteri di Cronaca Nera

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Strage Piazza della Loggia: la storia completa

Il 18 maggio 1974, dieci giorni prima della strage, in piazza del Mercato, a Brescia, esplose una bomba. Erano le 03:00 di notte. In quell’esplosione perse la vita un giovane neofascista, Silvio Ferrari, che stava trasportando l’ordigno sul pianale di una Vespa Primavera.
Dopo questo episodio, il Comitato Antifascista Permanente decise di organizzare una manifestazione. Così, martedì 28 maggio 1974, alle ore 10.00, in Piazza della Loggia, sempre a Brescia, si convogliò la manifestazione antifascista, in concomitanza con lo sciopero generale proclamato dai sindacati.
Franco Castrezzati, un sindacalista, cominciò a parlare. Seguendo quanto riuscì a dire, ritorniamo a quei tempi, agli anni di piombo e della strategia della tensione, prodotta sia dall’estrema destra sia dall’estrema sinistra, per capire, nel caso particolare, il perché della strage di piazza della Loggia:

 

“ … Siamo in piazza perché una serie di attentati di marca fascista ha portato la nostra città e la nostra provincia all’attenzione preoccupata di tutte le forze antifasciste. …”.

La serie di attentati a Brescia

Una serie di attentati ravvicinati, tutti avvenuti a Brescia. Il 16 febbraio 1974, infatti, era esplosa una bomba alla Coop di Porta Venezia, rivendicata dalle SAM, Squadre d’Azione Mussolini; l’8 marzo 1974 furono rinvenute due bombe nella Chiesa delle Grazie; il 23 aprile 1974 scoppiò una bomba a mano nel cortile della sede del PSI di Largo Torre Lunga; il 1 maggio 1974, 8 candelotti di dinamite e 300 gr di tritolo furono trovati nell’ingresso della CISL; la notte del 18 maggio 1974 Silvio Ferrari moriva dilaniato dalla bomba che trasportava su una vespa.
Il 21 maggio 1974, giorno dei funerali di Silvio Ferrari, al giornale di Brescia arrivò una lettera firmata Partito Nazionale Fascista Silvio Ferrari, che non fu resa nota per ordine del prefetto, e il 27 maggio ne arrivò un’altra, questa volta alla Stampa Bresciana, firmata Ordine Nero Gruppo Anno Zero; sia nella prima sia nella seconda missiva si leggevano parole preoccupanti: state attenti, ci vendicheremo con le bombe.

Gli attentatori di Piazza Fontana

Ma quel 28 maggio 1974, in piazza della Loggia non c’era nessuna attenzione speciale, le forze dell’ordine erano state tutte convogliate nel cortile della prefettura, lasciando scoperta la zona dei porticati. Continua Franco Castrezzati:

 

“ … E le preoccupazioni sono tanto più acute ove si tenga conto che la macchina difensiva delle istituzioni democratiche della Repubblica sia messa in moto solo dopo che alcune fortuite circostanze hanno rivelato l’esistenza di un’organizzazione eversiva ampiamente finanziata e dotata di mezzi micidiali, sufficienti, comunque, a creare terrore e sbandamento.
Sono così venuti alla luce uomini di primo piano, già legati alla Repubblica di Salò, che hanno rapporti con gli attentatori di Piazza Fontana e del direttissimo Torino Roma, con il disciolto gruppo di Ordine Nuovo, risorto poi sotto la sigla di Ordine Nero, con la Squadre D’Azione Mussolini (SAM) e con il Movimento D’Azione Rivoluzionaria, con La Rosa dei Venti e Riscossa e con lo stesso Movimento Sociale Italiano.
Vengono pure alla luce bombe, armi, tritolo, esplosivo di ogni genere, così si attenta alla vita umana che è un diritto naturale …”.

Brescia e i sostenitori della Repubblica di Salò

Negli anni ’70, a Brescia, c’erano molti repubblichini della passata Salò che, arricchitisi nel periodo del ventennio fascista, erano diventati poi titolari di grosse imprese e alti funzionari della pubblica amministrazione.
Secondo quanto riportato dall’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, la folta presenza di questi repubblichini, a Brescia e provincia, avrebbe creato “un terreno così favorevole su cui si sono sviluppate bande di sicari neri pronti a tutto.”
Sempre in quel periodo, in tutta l’Italia, si stavano attuando molti cambiamenti di costume, delle vere e proprie rivoluzioni, come l’approvazione del divorzio, voluto dal 60% degli italiani.

I cambiamenti nel tessuto sociale italiano e i Golpe

Cambiamenti sollecitati da ventate progressiste, che spostavano l’elettorato a sinistra, fomentavano la protesta giovanile e facevano presagire enormi risvolti politici. Cambiamenti che non tutti però auspicavano, c’erano anche quelli che volevano un sistema politico sì diverso ma più autoritario.
Sono gli anni dei tentati golpe, come quello del 1973, chiamato Golpe della Rosa dei Venti; prima c’erano stati quello Borghese, nel 1970, e quello di Piano Solo, del 1964, la cui esecuzione era stata affidata ai soli carabinieri.Senza entrare troppo nel particolare, la Commissione Stragi affermò che:

 

“… Nel dopoguerra furono costituite strutture dello Stato paramilitari segrete, come i Servizi Segreti, soprattutto nella parte Nord Orientale del Paese e che a tali strutture furono affidati compiti informativi, difensivi e di contro insorgenza”.

Strutture paramilitari, Gladio e servizi segreti

Gladio è stata la più nota di queste strutture, resa pubblica solo nel 1990, un gruppo di 622 uomini, guerriglieri facenti parte di un’organizzazione della Nato, la Stay Behind, pronti a intervenire in caso d’invasione sovietica. La Teoria del Doppio Stato si riferisce a queste organizzazioni segrete: “Il doppio Stato in Italia si sarebbe manifestato con una realtà governativa legale, che attua le leggi regolarmente, e poi una struttura occulta e parallela che, seguendo ordini provenienti dall’estero o dai Servizi Segreti, ha operato stragi, terrorismi e altre attività illegali” – Giuseppe De Lutiis, storico.
Ancora Franco Castrezzati: “ … I mandanti, i finanziatori dell’eversione possono seminare distruzione e morte senza scoprirsi, possono camuffare le loro trame con tinte diverse da quelle vere, com’è avvenuto per l’attentato di Piazza Fontana o del treno Torino – Roma. La nostra Costituzione vieta la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista … “.

L’esplosione della bomba a Piazza della Loggia

Castrezzati continuò a parlare così per altri pochi secondi, poi, alle 10:12 scoppiò l’inferno. La bomba era stata sistemata dentro un cestino, sotto i portici, sette etti di polvere di mina a base di nitrato di ammonio esplosero, uccidendo otto persone: Giulietta Banzi, Livia Bottardi, Clementina Calzari, Alberto Trebeschi, Euplo Natali, Luigi Pinto, Bartolomeo Talenti e Vittorio Zambarda, più di cento furono ferite.Piazza della Loggia brescia
Ripartiamo ora dalla bomba, che scoppia alle 10:12 del 28 maggio 1974 a Piazza della Loggia di Brescia. Si apre il primo filone d’indagini. E’ una strage, come quella di Piazza Fontana, del 12-12-1969, che fece 17 morti e 105 feriti, come quella di Gioia Tauro, del 22-07-1970, sul treno Freccia del Sud, 6 morti e 77 feriti, come quella di Peteano, del 31-05-1972, in cui morirono 3 carabinieri e quella del 17-05-1973, a Milano, durante l’inaugurazione del monumento dedicato al commissario Calabresi, quando una bomba a mano fu lanciata sulla folla che assisteva alla cerimonia, 4 i morti e 46 i feriti. Ultima della lista è adesso Piazza Della Loggia.

Ennesima strage italiana: la pista neofascista

Il procuratore che coordina le indagini è Francesco Trovato. La pista che si segue porta negli ambienti neofascisti. Un mese prima della strage, tra Milano e Brescia, è stato arrestato Carlo Fumagalli, uno dei fondatori del MAR, Movimento di Azione Rivoluzionaria, e a Brescia, poi, c’è un delinquente comune, Ermanno Buzzi, uno che si definisce neofascista, conosciuto da carabinieri e polizia, che vanta di essere amico di Fumagalli e di Silvio Ferrari, il giovane neofascista morto il 18 maggio 1974, in piazza del Mercato.
Buzzi è quindi tenuto sotto controllo. Contemporaneamente, il padre di due ragazzi, due che girano intorno al gruppo Buzzi, Angelo e Raffaele Papa, si presenta in questura e segnala Buzzi come pericoloso per i figli, li sta traviando, Angelo, poi, gli avrebbe detto che la bomba in Piazza della Loggia ce l’ha messa quello, Ermanno.

Chi ha messo la bomba nel cestino di Piazza della Loggia?

Angelo Papa è subito interrogato. Ammette che in piazza, quella mattina, c’era anche lui e conferma che è stato Buzzi a posizionare la bomba. Altra conferma sul coinvolgimento di Buzzi arriva da un’amica di Ferrari, Ombretta Giacomazzi, Ermanno Buzzi si è vantato con lei per aver ucciso “otto rossi maledetti”.
Ancora, Ugo Bonati, un ladro di opere d’arte, firma una deposizione che spiega addirittura la dinamica dei tragici eventi: prima, a casa di Buzzi, ha visto candelotti di dinamite e fili elettrici, poi, la mattina del 28 maggio, si sono ritrovati in un bar, c’erano Buzzi, i fratelli Papa, Nando Ferrari, il fratello di Silvio e altri tre camerati.
Verso le 08:00 sono andati in Piazza della Loggia, la bomba la portava Buzzi sotto la giacca, era avvolta con la carta da imballaggio, ha passato il pacco ad Angelo Papa che lo ha lasciato cadere nel cestino. Quindi, secondo Bonati, la bomba nel cestino sarebbe stata messa da Angelo Papa e non da Buzzi.

I 3 camerati fascisti presenti a Piazza della Loggia

Sono andati via e sono ritornati verso le 09:45. Lui, però, Bonati, ha aspettato in macchina e dopo venti minuti ha sentito lo scoppio. Seguono altri interrogatori e Bonati fa il nome di uno di quei tre camerati presenti il 28 maggio a piazza della Loggia, si tratta di Andrea Arcai, amico di Silvio Ferrari e figlio del giudice istruttore Giovanni Arcai, che sta indagando sul MAR di Fumagalli, il neofascista da poco arrestato.
L’inchiesta che sta conducendo Giovanni Arcai è pericolosa, ma il giudice ha comunque fatto sapere che andrà fino in fondo, cosa che però non potrà fare perché, con il figlio arrestato, l’inchiesta gli è subito tolta.
L’indagine su Fumagalli passa di mano e il primo filone d’indagini sulla strage di Brescia, a maggio del 1977, si chiude. A condurlo sono stati il sostituto procuratore Francesco Trovato, il capitano dei carabinieri Francesco Delfino e il giudice istruttore Domenico Vino.

Primi rinvii a giudizio e sentenze

Ermanno Buzzi e il suo gruppo sono rinviati a giudizio. Dopo 15 mesi, nel luglio del 1979, arriva la sentenza: ergastolo per Buzzi e 10 anni e 6 mesi per Angelo Papa, tutti gli altri sono prosciolti. In Appello questa sentenza è poi ribaltata, cancellata.
Le testimonianze, infatti, non hanno convinto del tutto, sono state cambiate e aggiustate di continuo, molte le incongruenze riscontrate circa i luoghi e le azioni dei singoli. Così, il 2 marzo 1982, dopo 193 ore di Camera di Consiglio, la Corte pronuncia una nuova sentenza: tutti assolti dall’accusa di strage, Angelo Papa ed Ermanno Buzzi non hanno commesso il fatto, per tutti gli altri sono confermate le assoluzioni precedenti.

La morte di Buzzi in carcere

Buzzi, si legge nella sentenza, “è un cadavere da assolvere”, perché nel 1981 è morto, strangolato nel carcere di Novara da Mario Tuti, uno dei fondatori del Fronte Nazionale Rivoluzionario, in galera per l’uccisione di due carabinieri, e Pierluigi Concutelli, uno dei fondatori di Ordine Nero, in carcere per l’uccisione del procuratore Vittorio Occorsio.
Il 30 novembre 1984, però, la Cassazione annulla di nuovo la sentenza e stabilisce un ulteriore processo per gli imputati Nando Ferrari, Angelino e Raffaele Papa e Marco De Amici. Nel nuovo processo d’appello, poi, quello bis, gli imputati del primo procedimento sono ancora assolti e il verdetto è confermato in Cassazione.

Ruolo del neofascismo milanese

Sempre nel 1984, si apre il secondo filone d’indagini sulla strage, basato sulle rivelazioni di alcuni pentiti, uno di questi è Sergio Calore, un estremista di destra del gruppo romano Costruiamo l’Azione.
Le sue ammissioni mettono in stretta relazione la strage di Brescia e il neofascismo milanese. Un altro pentito è Angelo Izzo, uno dei tre massacratori del Circeo (vedi: Storia del massacro del Circeo), che conferma la responsabilità dei milanesi, coadiuvati dai bresciani. Izzo fa i nomi di due neofascisti: Giancarlo Rognoni, capogruppo de La Fenice, vicina a Ordine Nuovo, e Cesare Ferri, simpatizzante del Mar di Fumagalli.
Ferri era già comparso nel primo filone d’indagini, una sua foto, infatti, era stata ritrovata a seguito dell’irruzione nel campo paramilitare di Pian del Rascino, avvenuta il 30 maggio 1974, due giorni dopo la strage di Brescia, dove fu ucciso Giancarlo Esposti, un militante di Ordine Nero, presunto da subito come esecutore della strage, dopo che un testimone, il parroco Don Gasparotti, riconoscendolo attraverso una foto segnaletica, lo aveva indicato come l’uomo che era passato davanti alla sua chiesa tra le 08:30 e le 09:00 del 28 maggio 1974.

Nuovi rinvii a giudizio

A condurre ora la seconda istruttoria sono il sostituto procuratore Michele Besson e il giudice istruttore Gian Paolo Zorzi. Con Cesare Ferri, sono rinviati a giudizio anche Alessandro Stefanov, che avrebbe fornito un falso alibi a Ferri, e Sergio Latini, che avrebbe fatto da tramite per uccidere Buzzi.
Da sentire c’è ancora un terzo pentito, Gianni Guido, in carcere come Izzo per il Massacro del Circeo. La strage, conferma Guido, è stata compiuta dai milanesi e dai bresciani, hanno agito insieme, sotto la supervisione di Cesare Ferri. Queste cose le sa perché è stato Buzzi a dirgliele.
Ma Buzzi è morto e non può confermare e Guido, evaso dal carcere di San Gimignano, è detenuto in Argentina, dove aveva cercato di rifugiarsi. Inutile il tentativo di Zorzi di raggiungere il pentito, un telex dall’Argentina lo avvisa che l’interrogatorio è stato sospeso dalle autorità italiane. In più, poco dopo, Guido evade.

L’esistenza di una rete di protezione mondiale

Chi sia stato a impartire l’ordine di sospendere l’interrogatorio non si riesce a sapere. E’ sempre più palese, per Zorzi e per altri addetti ai lavori, l’esistenza di una rete di protezione che scatta in qualsiasi momento di crisi e in qualunque luogo nel mondo.
L’Avv. di parte civile Andrea Ricci si chiede e spera di sapere: “… Come sia stato possibile che apparati dello Stato abbiano partecipato ad allontanare la ricerca della verità da quello che doveva essere accertato …”.
Comunque, le indagini proseguono. Salta fuori un confidente, un altro delinquente comune che di carceri ne ha girate parecchie, un simpatizzante di destra che ascolta quello che dicono i terroristi arrestati e poi lo riferisce alle guardie.
Si chiama Ivano Bongiovanni, il cui nome fu associato alla metafora del siluro Bongiovanni, come lo definì Zorzi, perché fece saltare in aria la seconda inchiesta.

Un copione scritto per depistare

Bongiovanni fa confidenze che poi ritratta completamente, arrivando a sostenere che le soffiate sono tutte programmate a tavolino, le affermazioni dei terroristi seguono un copione scritto per depistare. Scritto da chi?
E’ questa la domanda cruciale, la cui risposta sembra una soluzione impossibile. Il siluro Bongiovanni, aggiungendo all’inchiesta il dubbio delle false dichiarazioni, fa assolvere tutti per insufficienza di prove, è il 23 maggio 1987. Nei successivi gradi di giudizio, è confermato il verdetto di assoluzione. E Rognoni? Proprio per accertare le responsabilità di Rognoni, tirato in ballo da Angelo Izzo, l’inchiesta rimane in parte aperta, ma l’epilogo è lo stesso.

Assoluzioni e ammissione: fu una strage nera

Il 23 maggio 1993, il giudice istruttore Gian Paolo Zorzi, su richiesta del pm, proscioglie gli ultimi indagati dell’inchiesta per non aver commesso il fatto: – dalla dichiarazione del giudice istruttore Zorzi:
Io ho dovuto firmare una sentenza di proscioglimento istruttorio che però non pregiudicherà l’eventuale ripresa delle indagini, là dove nuovi elementi dovessero emergere. Comunque, elementi di verità anche sulle responsabilità individuali sono stati acquisiti. Ciò che è certo, a mio avviso, forse sbaglierò, non lo so, questa, però è la mia convinzione, ci sono le prove dell’attribuzione, della corretta attribuzione di questa strage, come di altre, a una determinata area politica …”,
a questo punto c’è l’intervento di un giornalista – “Cosa vuol dire questo, che è una strage nera?” -, riprende Zorzi “ … Sì, certo”.

La cellula veneta di Ordine Nuovo: ancora neofascisti

La seconda inchiesta è dunque finita come la prima, con un fiume in piena di assoluzioni. Il giudice Zorzi è chiaro nella sua dichiarazione di chiusura, la verità può essere trovata, basta cercare bene.
Così si trova un nuovo testimone, Carlo D’Igilio, un ordinovista della cellula veneta, esperto di esplosivi, che decide di collaborare. D’Igilio è anche un agente dei Servizi Segreti Americani, arrestato nel 1992 per banda armata e detenzione di armi. La responsabilità della strage, sostiene D’Igilio, deve essere ricercata nella cellula veneta di Ordine Nuovo.
Parte così il terzo filone d’indagini e a una nuova istruttoria. Seguendo la strada già battuta da Zorzi, i sostituti procuratori Roberto Di Martino e Francesco Piantoni mettono la freccia a destra e arrivano al gruppo veneto di Ordine Nuovo che fa capo a un medico, Carlo Maria Maggi.

Cos’era Ordine Nuovo, fulcro di un’attività stragista

Maggi è il fondatore, l’ispettore di Ordine Nuovo nel Veneto, nel Triveneto, in quella particolare sezione dell’Italia in cui nasce il progetto stragista. Ordine Nuovo organizza, tra l’8 e il 9 agosto 1969 gli attentati sui treni, realizza l’attentato di Milano del 12 dicembre ’69 ed è, oggi lo possiamo dire entro una configurazione giuridica, anche la cellula responsabile della strage di Piazza della Loggia.
Ordine nuovo diventa il centro, il fulcro di un’attività stragista che rimane impunita, che gode di una copertura politica e politico-militare molto consistente, una cellula all’interno della quale ci sono agenti in contatto con pezzi d’istituzioni …” – Davide Conti, storico -.
Poi, ci sono Delfo Zorzi, che non è il giudice istruttore Gian Paolo Zorzi, il quale avrebbe fornito l’esplosivo, e Marcello Soffiati, che lo ha trasportato a Milano; entrambi fanno parte di Ordine Nuovo.

La fotografia scattata poco dopo l’esplosione

Dalle mani di Soffiati, la valigetta con 15 candelotti di dinamite, passa ai neofascisti del gruppo di Giancarlo Esposti, quello ucciso due giorni dopo la strage di Brescia, durante il raid delle forze dell’ordine nel campo paramilitare a Pian del Rascino.
A corollario delle nuove informazioni, c’è anche una fotografia, scattata poco dopo l’esplosione della bomba in Piazza Della Loggia, in cui si riconosce tra la folla Maurizio Tramonte, conosciuto come la Fonte Tritone, un infiltrato dal SID in Ordine Nuovo e, secondo i magistrati, uno degli organizzatori della strage.
Esce a questo punto una nota del SID, del 6 luglio 1974, firmata dalla Fonte Tritone, che scrive di aver partecipato a una cena, poco prima della strage, insieme a Maggi. Hanno parlato della formazione di Ordine Nero, al posto del disciolto Ordine Nuovo, della necessità di procedere con una serie di attentati da sfruttare politicamente e della strage di Brescia che non doveva rimanere un fatto isolato.

Ordine Nuovo, Ordine Nero e Pino Rauti

Avrebbero parlato anche dei capi dell’organizzazione, tra i quali ci sarebbe stato Pino Rauti, fondatore, nel 1956, del Centro Studi Ordine Nuovo, sciolto poi nel 1969 e confluito nel Movimento Sociale Italiano.
In seguito, alcuni militanti del Centro Studi, giudicando l’unione con il MSI un atto di servilismo alla borghesia e all’imperialismo americano, si distaccarono e costituirono Ordine Nuovo, gruppo extraparlamentare di estrema destra, entrato in clandestinità nel 1973.
La nota scritta dalla Fonte Tritone, era stata raccolta dal maresciallo del SID Fulvio Felli che la trasmise, i primi di luglio del 1974, alla sede di Roma, ma la magistratura che si stava occupando delle indagini non la inoltrò a nessuno. Dice l’Avv. Ricci:
Non c’è solo un personaggio, c’è una trama, un tessuto importante all’interno dello Stato di personaggi che depistano, che in qualche modo controllano quello che avviene, magari non lo provocano, ma sanno che sta succedendo e non lo impediscono …”.

Tra assolti e condannati: chi ha pagato per la strage di Piazza della Loggia

Stando a quanto emerso da questo terzo e ultimo filone d’indagini, sono accusati di strage Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi, Maurizio Tramonte, Francesco Delfino, e Pino Rauti, tutti poi assolti dai giudici della Corte d’assise di Brescia il 16 novembre 2010 per insufficienza di prove.
E’ revocata anche la misura cautelare nei confronti dell’ex ordinovista Delfo Zorzi, oggi in Giappone, con nazionalità nipponica e nome cambiato. Le assoluzioni sono confermate in appello il 14 aprile 2012, ma il 21 febbraio 2014 la Corte Suprema annulla quelle pronunciate nei confronti di Maggi e Tramonte.
Il processo d’appello bis comincia così a Milano il 28 maggio 2015 e si conclude il 22 luglio dello stesso anno: condanna all’ergastolo per Maggi, che avrebbe avuto il ruolo direttivo, e Tramonte, che avrebbe invece avuto il ruolo operativo.
Entrambe le condanne sono confermate in Cassazione il 21 giugno 2017, giorno in cui si è ufficialmente chiusa, dopo 43 anni, la tortuosa inchiesta sulla strage di piazza della Loggia.

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