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Misteri di Cronaca Nera

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La Banda della Uno Bianca, 8 anni di terrore

Una banda efferata, attiva tra il 1987 e il 1994 in Emilia-Romagna soprattutto e che deve il suo nome all’automobile che era solita utilizzare: una Fiat Uno bianca per l’appunto, da cui tutto prese origine. Un intreccio quasi cinematografico, al punto che in tanti hanno visto nella pellicola di grande successo Fast and Furios una rivisitazione di quei fatti di cronaca: legami familiari, poliziotti che aiutano i membri della banda dall’interno degli uffici di polizia e molte rapine in autostrada e alle stazioni di servizio.
La banda dei bianchi Uno era un’organizzazione criminale operante in Italia, in particolare nella regione Emilia-Romagna, che tra il 1987 e il 1994 ha commesso 103 reati, principalmente rapine a mano armata, provocando la morte di 24 persone e il ferimento di altre 102.

Perché ‘Banda della Uno Bianca’

Il nome come detto deriva dal modello di automobile, la Fiat Uno, e dal suo colore: la macchina era utilizzata in alcune delle loro azioni criminali in quanto ritenuta abbastanza facile da rubare e di difficile identificazione visto l’uso diffuso in quel periodo in Italia.
La maggior parte dei membri della banda armata faceva capo alla Polizia di Stato (fonte: Wikipedia), con tendenze di estrema destra che hanno anche motivato alcuni dei loro atti criminali. I membri della banda furono tutti arrestati alla fine del 1994. I processi terminarono il 6 marzo 1996 con la condanna all’ergastolo per i tre fratelli Roberto, Fabio e Alberto Savi e per Marino Occhipinti; 28 anni di carcere per Pietro Gugliotta sono poi scesi a 18; Luca Vallicelli, componente minore della banda, ha contrattato per 3 anni e 8 mesi; è stato inoltre stabilito che lo Stato italiano debba versare la somma complessiva di 19 miliardi di lire ai parenti delle 24 vittime (fonte: LaVocedelTrentino).

Chi erano i membri della Banda

I membri della banda della Uno bianca erano cinque poliziotti, un aspirante tale ed una donna. Più nello specifico (fonte: Misteri di Italia):

  1. Roberto Savi: detto il Monaco, poliziotto capo pattuglia;
  2. Fabio Savi – esterno, fidanzato con Eva Mikula che collaborerà con le forze dell’ordine e porterà all’arresto dei membri della banda;
  3. Alberto Savi – poliziotto;
  4. Pietro Gugliotta – poliziotto e operatore radio;
  5. Marino Occhipinti: considerato membro minore della banda;
  6. Luca Vallicelli: riconosciuto come il meno implicato nella storia.

Roberto Savi era considerato il capo, all’epoca dei fatti era capo della Questura di Bologna, presso la cui centrale operativa svolgeva il servizio di operatore radio. I suoi fratelli poi, Fabio (artigiano) e Alberto (poliziotto che prestava servizio presso la Questura di Rimini).
Questo il nucleo al quale si aggiungevano con funzioni diverse Pietro Gugliotta (operatore radio alla questura di Bologna), Marino Occhipinti (vice-sovrintendente della sezione narcotici della Squadra mobile della Questura di Bologna) ed infine Luca Vallicelli, altro agente operante come scelto presso la sezione Polizia Stradale di Cesena (fonte: Ladigacivile).

I primi reati della Banda della Uno bianca

I primi reati risalgono al giungo del 1987 quando venne effettuata una rapina presso un casello sull’autostrada di Pesaro. Ed in effetti di lì in avanti i caselli sarebbero stati uno dei bersagli preferiti della banda.
Tuttavia dopo qualche mese la banda fece un salto, forse perché le rapine ai caselli in fin dei conti fruttavano molto poco: si passa alle estorsioni ad un venditore d’auto di Rimini che riesce ad avvisare la polizia. Ne nasce un conflitto a fuoco nel luogo in cui si doveva assistere al passaggio di denaro (il venditore aveva finto di voler pagare ma aveva avvisato la polizia), nei dintorni di Cesena.
Ed è questo il teatro della prima vittima nella storia della Banda della Uno Bianca: a cadere, ferito dai colpi di pistola, è il sovrintendente Antonio Mosca, che sarà il primo morto per mano della banda.

Le vittime della Banda della Uno bianca

Dopo di lui seguiranno altre vittime a partire dalla guardia giurata Giampiero Picello, gennaio 1998, durante una rapina di un supermercato a Rimini; ed ancora, Carlo Beccari a Casalecchio di Reno, anche lui guardia giurata di 26 anni, ucciso all’esterno di un supermercato sempre nel corso di una rapina.
Qualche mese dopo toccherà a due carabinieri, Cataldo Stasi e Umberto Erriu, uccisi dalla banda della Uno Bianca mentre sono in perlustrazione a Castel Maggiore. Il motivo? Avevano fermato per un controllo la vettura all’interno della quale stavano viaggiando i fratelli Savi.
Nel 1990 l’ascesa criminale della banda porta all’uccisione di un semplice pensionato, Adolfino Alessandri, la cui unica ‘colpa’ era stata quella di aver assistito ad una rapina in un supermercato. Fu freddato a Corticella sotto la propria abitazione mentre stava rincasando.

La matrice razzista

In questa spirale evolutiva c’è posto anche per quella che viene identificata come matrice razzista: nel gennaio del 1990 la banda ferisce un tunisino a colpi di arma da fuoco. Il motivo? Da quanto emergerà in seguito, una semplice prova di iniziazione per Gugliotta, l’ultimo arrivato.
Nello stesso anno, a dicembre, la banda della Uno Bianca si rende colpevole di un assalto presso il campo nomadi di santa Caterina di Quarto: resteranno ferite 9 persone. Seguiranno altri assalti a nuovi campi rom, assalti a colpi d’arma da fuoco a semplici lavavetri extracomunitari, omicidi di operai africani.

delitti uno bianca

Le stragi più gravi

Ma forse gli atti più gravi dovevano ancora arrivare: nel gennaio 1990, sempre nel corso di una rapina presso un ufficio postale di Bologna, in via Emilia Levante, fanno esplodere due ordigni causando una vittima e 45 morti.
Un anno dopo, gennaio 1991, avverrà quello che è ricordato come uno degli atti più sanguinosi della banda della Uno Bianca: “la strage del Pilastro”. Il nome è riferito al quartiere di Bologna dove avvenne uno scontro con armi da fuoco con una volante dei carabinieri; tre militari, Otello Stefanini, Andrea Moneta e Mauro Mitilini, perderanno la vita.

La fine della Banda della Uno Bianca

Continueranno ad accumularsi, negli anni a venire, altre rapine ed altre vittime, fino al 1994: in quell’anno le vicende sanguinose della banda arrivano fortunatamente al capolinea. Grazie a due poliziotti della Questura di Rimini, Luciano Baglioni e Pietro Costanza, i membri della banda della Uno Bianca vengono arrestati.
I due investigatori riuscirono a sgominare la banda che aveva ucciso, in tutto, 24 persone ferendone 114 senza mai lasciare una traccia o un indizio al quale appigliarsi. Banche, supermercati, distributori di benzina e poste: tanti i teatri dei colpi della banda.
Luciano Baglioni e Pietro Costanza riuscirono a risalire ai membri della Banda della Uno Bianca annotando la targa del veicolo e scoprendo il luogo di residenza di Fabio Savi. La sorpresa degli investigatori fu tanta quando capirono che ad aiutare i feroci criminali c’erano anche alcuni loro colleghi, poliziotti. I due investigatori cominciarono a sospettare che i membri della banda potessero essere persone all’interno delle forze dell’ordine data l’abilità dimostrata con le armi da fuoco, l’uso in più occasioni di armi non facilmente reperibili (come i fucili Beretta AR 70/90 di Roberto Savi). Altro elemento fondamentale, i malviventi avevano mostrato di conoscere molto bene le abitudini dei dipendenti delle banche assaltate.

Rapporti con i servizi segreti?

Come in tutti i misteri italiani, c’è chi aveva messo in dubbio il fatto che, dietro agli efferati delitti della Banda della Uno Bianca, potessero esserci i Servizi Segreti italiani. In un’intervista (riportata nel programma televisivo Blu notte – Misteri italiani di Carlo Lucarelli), in cui un giornalista sosteneva che dietro la banda fossero effettivamente nascosti servizi segreti, Fabio Savi, uno dei membri della banda, smentì affermando:

“Dietro la Uno bianca c’è solo la targa, le luci e il paraurti. È abbastanza. Non c’è nient’altro.”

Pubblicato in Misteri di Cronaca Nera

Scritto da

Giornalista indipendente, web writer, fondatore e direttore del giornale online La Vera Cronaca e del progetto Professione Scrittura

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