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Misteri di Cronaca Nera

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Storia del massacro del Circeo e dei tre ‘bravi ragazzi’

Tutti i fatti di omicidio sono orribili, ma nella gradazione di orribile questo è sicuramente al massimo”, Grazia Volo, avvocato di Donatella Colasanti.
E’ la notte del 1 ottobre del 1975, la Fiat 127 bianca di Gianni Guido, uno dei tre autori del massacro, è stata parcheggiata in Via Pola, una viuzza alberata nei pressi della Nomentana. Dal portabagagli di quella macchina arrivano dei lamenti femminili.
Qualcuno che abita nei pressi li sente e chiama i carabinieri.
Giunge sul posto un’auto pattuglia, con il capitano dei carabinieri Prospero Prosperi, e arrivano anche i primi cronisti e fotografi, quelli sempre in allerta, che hanno intercettato la chiamata sulle onde radio delle forze dell’ordine.
Il portellone posteriore della 127 è forzato e aperto. All’interno, avvolta in un plaid e in teli di plastica, c’è una ragazza nuda con il volto tumefatto e insanguinato. “E’ una maschera di sangue” scrive un quotidiano il giorno dopo. La ragazza è atterrita e dice frasi sconnesse:

La ragazza sanguinante nel portabagagli:

Parla di un sequestro, parla di una ragazzina e, per un momento, si ritiene che nel cofano ci sia anche il cadavere di una bambina”, si legge sempre sui giornali del giorno dopo.
“Terribile è l’unica cosa che riesco a direQuando abbiamo aperto il portabagagli e ho visto quella ragazza nuda e sanguinante – a parlare è il capitano dei carabinieri – Con accanto il cadavere massacrato dell’amica, sono rimasto impietrito”.
La ragazza sanguinante ma viva si chiama Donatella Colasanti, ha 17 anni, l’altra, invece, quella che le giace accanto, nascosta sotto le coperte, è morta, aveva 20 anni e si chiamava Rosaria Lopez.

Chi sono i 3 artefici del massacro del Circeo:

Gianni Guido, Angelo Izzo, Andrea Ghira, bravi ragazzi con il mito del superuomo nietzschiano, compreso forse non troppo bene, con impressa sulla faccia quella malsana sicurezza di farla franca sempre e per ogni cosa, sono loro gli artefici del massacro del Circeo.
Usciti dal San Leone Magno, una delle scuole più esclusive di Roma, Guido e Izzo frequentano un gruppo di giovani di Piazza Euclide, tutti di ottima famiglia, sono figli di industriali e professionisti, tra questi c’è anche Andrea Ghira, che a scuola però è andato al Giulio Cesare. Sono tutti pariolini, e questo negli anni 70 significa essere di destra, neri.

Bruno Francesco, criminologo: “La loro ideologia era un’ideologia nazista, ispirata al concetto di superuomo, superuomo che loro ritenevano di incarnare e a cui tutto è dovuto”.

Sono squadristi, appartengono a quella che loro definiscono la destra pura, mettono paura. Izzo è chiamato il picchiatore nero di Piazza Euclide e ha già commesso un atto criminale, violenza carnale ai danni di una minorenne, come Ghira, che ha compiuto una rapina a mano armata nella casa di un industriale, avrebbe dovuto scontare cinque anni di carcere, ma sconta solo diciotto mesi, grazie alla bravura dei suoi avvocati.

La gita al Circeo nella villa isolata con due ragazze:

Donatella Colasanti, Rosaria Lopez, ragazze del quartiere popolare della Montagnola, zona periferica di Roma, semplici, un po’ ingenue, sognatrici di principi azzurri, con la speranza di uscire dalla dura realtà di un’esistenza ultrapopolare, sono loro le due vittime di questo massacro.

Nino Marazzita, avvocato della famiglia Lopez: “Erano normali ragazze che abitavano a Roma e che avevano tutto il diritto di andare in centro, due ragazze lontane dalla politica, che studiano da segretarie e leggono fotoromanzi”.

Guido, Izzo, Colasanti e Lopez partirono da Roma a bordo della 127 bianca il pomeriggio del 29 settembre 1975. Non andarono al cinema, come stabilito, preferirono di comune accordo fare una gita fuori città, al mare.
Si diressero così verso il Circeo, nella villa di Andrea Ghira, dove doveva esserci anche una festa, così avevano assicurato i due ragazzi a Donatella e Rosaria, ma nella villa, isolata e affacciata sul mare, non c’era nessuno.
Probabilmente, le due ragazze si resero subito conto che qualcosa non quadrava, quei ragazzi, poi, con il passare del tempo, stavano diventando strani, diversi, aggressivi. E così, di fatto, Guido e Izzo si tramutarono presto in aguzzini, cominciando ad agire con assurda violenza, che presto degenerò nel massacro.

36 ore di torture e botte:

Furono 36 ore di torture e botte; Donatella Colasanti, che fu l’oggetto di minor desiderio e che subì ogni tipo di abuso ma non la violenza carnale, riuscì a salvarsi fingendosi morta (http://www1.adnkronos.com/Archivio/AdnAgenzia/2008/05/30/Cronaca/MASSACRO-CIRCEO-COSA-ACCADDE-IN-QUELLE-36-ORE-DI-TERROREADNKRONOS_085636.php)
Rosaria Lopez, sulla quale si concentrarono in particolar modo gli interessi rabbiosi e feroci dell’ultimo arrivato, Andrea Ghira, alias Jacques Berenguer, il Marsigliese, come si faceva chiamare, morì annegata, dopo essere stata torturata e stuprata.
“L’atto sessuale vero e proprio è lasciato a Ghira, gli altri sono semplicemente dei comprimari e non possono compiere altro se non quello che Ghira lascerà loro” – Bruno Francesco, criminologo.

Dalla deposizione di Gianni Guido:

“Sabato 27 settembre 1975 abbiamo conosciuto Rosaria Lopez e Donatella Colasanti … Ci siamo incontrati al bar del ristorante il Fungo dell’Eur verso le 17,30…
L’iniziativa di prendere un nuovo appuntamento per il lunedì fu di Izzo e mia … Arrivammo alle 16,30 al cinema Ambassade, il luogo dell’appuntamento. Rosaria ci disse subito che non poteva fare tardi. Noi proponemmo di andare al cinema oppure in una villa al mare, al Circeo. Insistemmo per andare al cinema ma loro preferirono andare fuori Roma…
Durante il tragitto ci fermammo a telefonare, perché Izzo aveva le chiavi della casa di Ghira ma doveva sapere se era tutto tranquillo, insomma se non c’erano i familiari. Durante la strada chiedemmo indicazioni, domandammo in giro dove era Punta Rossa perché non ci ricordavamo bene.
Arrivammo verso le 17,30… Dopo circa un’ora le due ragazze ci dissero che volevano tornare a casa perché si stava facendo tardi. I nostri approcci si erano limitati a qualche bacio perché Rosaria e Donatella si rifiutavano di spogliarsi. Erano le 18,30, quando ci chiesero nuovamente di essere riportate a Roma, Izzo tirò fuori la pistola.
Disse che eravamo della banda dei Marsigliesi e che eravamo ricercati dalla polizia. Le ragazze si spaventarono e allora dicemmo loro che le avremmo pagate un milione a testa per avere rapporti con noi e con un altro nostro amico che doveva arrivare di lì a poco”.

Non volevano fare sesso: per questo furono punite

Guido torna a Roma, deve rincasare per cena. Da Roma telefona a Izzo, per sapere se tutto va bene, poi, si incontra in strada con altri amici di Piazza Euclide.
C’è anche Ghira, il proprietario della villa al Circeo, ma Guido non gli dice nulla delle ragazze, ci sono troppe persone intorno. Torna a casa e passa un po’ di tempo a studiare con un amico, dopo fa un salto a Piazza delle Muse e infine riparte per il Circeo, dove arriva alle 01:30 del 30 ottobre 1975. “…Quando entrai nella villa erano tutti vestiti… Poi Izzo e io insistemmo per avere rapporti sessuali con loro. Loro si rifiutavano e dicevano che non volevano essere sverginate. Allora ci siamo spogliati e ci siamo fatti masturbare. Abbiamo compiuto sia masturbazione che coito orale. Izzo insisteva per congiungersi carnalmente con loro, e siccome si rifiutavano si arrabbiò e le chiuse nel bagno, nel bagno adiacente alla stanza da letto. Le chiuse nude”. Fonte: F. Sciarrelli, G. Rinaldi, Tre bravi ragazzi, Milano, Rizzoli, 2006.

Dalla deposizione di Angelo Izzo:

“…Io con Rosaria ho avuto rapporti sessuali sia per via orale che mediante masturbazione reciproca, dopo esserci spogliati a vicenda. Ho tentato anche di avere rapporti per via naturale, ma la ragazza mi ha respinto perché ha detto che le faceva male in quanto era vergine.
Io avevo messo il mio membro fra le sue cosce tentando di penetrarla. Ero sul letto mentre Gianni era sul materasso con Donatella. Ho visto che Gianni e Donatella avevano rapporti per via orale. Ciò è avvenuto dopo la mezzanotte, ma non posso precisare con esattezza l’ora, e siamo andati avanti per circa tre quarti d’ora…
Abbiamo chiesto alle ragazze in tono scherzoso di avere rapporti tra loro. Le due rifiutaron … A questo punto chiedemmo loro di fare un po’ d’orgia tutti insieme. Le due ragazze dissero che a loro non andava, che erano vergini, e insistevano nel voler andare a casa.
Visto che le ragazze si opponevano alle nostre richieste, io le ho anche minacciate dicendo loro: ‘Ma che, ora vi mettete a fare le stronze?!’. Vi devo dire che avevo un gran sonno. A mangiare non ci avevo pensato. Preciso che dicemmo alle ragazze: ‘Cosa vi siete messe in testa? Per chi ci avete preso? Non siamo gli ultimi fessi. Ora ci dovete fare divertire‘…
Il problema in sostanza era che le ragazze volevano tornare a Roma, mentre noi volevamo dormire. Per convincerle a non fare storie, oltre alle minacce, offrimmo loro anche dei soldi. Alla fine per dormire in pace le chiudemmo nel bagno che era vicino alla stanza dove stavamo.
Demmo loro una coperta e un cuscino e ordinammo: ‘Ora dormite’. Le due ragazze erano nude. Non restituimmo loro i vestiti … Non mi sono reso conto che chiudendo le ragazze nel bagno la nostra amicizia si sarebbe rotta e che si sarebbe chiuso il dialogo con loro. Ritengo che Gianni si fosse reso conto più di me di quello che stavamo facendo, capì che stavamo commettendo un reato, ma io non gli diedi il tempo di avere una reazione, senza mezzi termini le spinsi dentro il bagno e chiusi a chiave. Cercammo poi di riposare”
. Fonte: F. Sciarrelli, G. Rinaldi, Tre bravi ragazzi, Milano, Rizzoli, 2006.

Dalla deposizione di Gianni Guido:

“…Le ragazze erano state fatte uscire dal bagno. Erano ancora nude. Non le abbiamo fatte rivestire per paura che scappassero. Già dalla mattina del martedì la nostra preoccupazione era che potessero attirare l’attenzione della polizia o di qualcuno durante il viaggio di ritorno.
Avevamo capito di aver ecceduto, non perché avevamo messo loro le mani addosso, ma perché le avevamo chiuse nel bagno. Siamo rimasti con loro fino alle 9, io con la pistola in pugno per farle stare zitte. Loro non hanno fatto più storie perché pensavano che avrei sparato e che ci fosse qualcuno di fuori…
Izzo mi disse che aveva telefonato Andrea Ghira, e che sarebbe arrivato verso le 14. Avrebbe portato del sonnifero così non ci saremmo dovuti preoccupare del viaggio di ritorno. Siccome le ragazze ripresero a fare storie, le chiudemmo nuovamente nel bagno, dove una delle due ruppe il lavandino. Izzo le prese a schiaffi. E così feci io.
Andrea Ghira arrivò verso le 16… Le ragazze erano arrabbiate perché volevano tornare a Roma. Lui scese con loro nel salone e ci parlò per una ventina di minuti. Poi fece uscire dalla stanza Donatella e rimase solo con Rosaria. Noi restammo con Donatella…


Izzo tentò nuovamente di avere rapporti sessuali con Donatella, lei si rifiutò e cominciò a strillare. Io le mostrai la pistola per farla stare zitta e per metterle paura. In quel momento sentimmo gli strilli dall’altra parte. E Izzo si alzò da sopra Donatella. Quando sentii gli strilli aprii la porta.
Vidi Ghira che stava sopra la Lopez, e lei strillava, penso di dolore perché la stava sverginando. Io guardai dentro la stanza. Non so se Izzo abbia fatto lo stesso. Ghira e la Lopez erano tutti e due nudi. Quando la Lopez uscì dalla stanza era un po’ stranita, e ci chiese se poteva andare in bagno per lavarsi.
Poi Ghira si chiuse con la Colasanti. Fu lui a dire di portare la Lopez all’ultimo Piano… A un certo punto Ghira venne al piano terra con Donatella, aveva in mano una scatola bianca, un laccio di gomma e una siringa … Ruppe quattro fiale versando il liquido, di un colore rossiccio, in un portacenere pulito. Quando fece la prima iniezione a Donatella, lei era nuda, come tutti noi.
Poi Ghira fece la spola da un piano all’altro, fece una seconda iniezione a Donatella e ci disse che perché avesse effetto bisognava aspettare almeno un quarto d’ora. Quindi risalì al piano di sopra dove c’era la Lopez … A un certo punto Donatella svenne e cadde per terra … Ma a un tratto ci accorgemmo che Donatella stava telefonando.


Mi precipitai verso di lei, la colpii alle spalle e le strappai il telefono dalle mani, riattaccai e la colpii con un calcio sul viso. Per questo avete trovato schizzi di sangue sul muro di fronte al telefono.
Poi la scaraventai a terra, oltre gli scalini, all’interno della sala. Donatella si alzò e cercò di lanciarsi verso la porta che era semi-aperta. La precedetti e presi un bastone che stava all’esterno della villa. La colpii per due volte sulla testa.
Era il bastone che usava il giardiniere, aveva all’estremità un anello di ferro. La colpii anche sul corpo, tre o quattro volte. Cadde per terra, e io chiesi a Izzo se fosse morta. Lui mi disse che non era possibile.
Intanto arrivò Ghira, che ci disse di comporre altri numeri di telefono per evitare che la polizia individuasse l’apparecchio da dove era partita la telefonata al 113. Così facemmo. La Lopez intanto era rimasta su. Ghira ci consigliò di stordire a botte la Colasanti che era ancora sveglia.
Mentre io componevo altri numeri di telefono, Izzo prese la cinta dal tavolino e la mise attorno al collo della Colasanti. Lei strillava. Izzo stringeva la cinta, che però si ruppe. Allora prese la pistola e cominciò a colpirla con questa, più volte.


Io intanto continuavo a bastonarla. A un certo punto ci accorgemmo che la ragazza non si muoveva più. Scesi al piano di sotto per prendere dei teli di cellofan e le chiavi della macchina. La ragazza non dava segni di vita, allora le demmo degli schiaffi in faccia. Poi la colpii con un calcio per vedere se era morta o viva.
La ragazza si mosse, alzò leggermente il capo portandosi la mano al viso nel punto dove l’avevo colpita con il calcio. Poi rimise nuovamente giù la testa. Non so se lo fece apposta, per evitare di essere colpita ancora”.
Fonte: F. Sciarrelli, G. Rinaldi, Tre bravi ragazzi, Milano, Rizzoli, 2006.

Donatella Colasanti:

Quando mi hanno messo il laccio intorno al collo cercavo… mi legavano con il laccio, mi tiravano, tiravano… e poi, vedendo che non riuscivo a morire mi hanno preso a sprangate sulla testa e dicevano: Questa qui, Madonna!, resiste troppo, quando è che muore?” (Tg Rai del 2/10/1975).

Dalla deposizione di Angelo Izzo:

“…C’era tanto sangue, eravamo impressionati. Ho visto Gianni colpire alla testa Donatella con estrema violenza quando si è accorto che stava telefonando. Il telefono è volato per aria, e lei e caduta.
Io le ho messo una cinta intorno al collo e le ho detto: ‘Se strilli, stringo’. A un certo punto si è calmata, forse perché ho stretto un poco. Mi ricordo che il mio amico (l’amico è Andrea Ghira) è sceso dal piano di sopra e ci ha detto: ‘Ormai avete cominciato, ora dovete addormentarla con tre o quattro botte in testa’.
Però aggiunse di mettere un giornale per terra per non sporcare. Gianni la colpiva con un oggetto che doveva essere del giardiniere. A un certo punto Donatella cadde lanciando un urlo e lui mi disse: ‘Ma non sarà morta?’. E io gli risposi: ‘Ma questa quando muore…’.
Poi l’avvolgemmo nel cellofan, ma siccome questo non reggeva usammo una coperta, anche perché io non riuscivo a guardare il viso insanguinato della ragazza. Quando la trasportammo nel portabagagli, lei non si mosse, mi pare abbia avuto un sobbalzo quando l’abbiamo messa dentro”.
Fonte: F. Sciarrelli, G. Rinaldi, Tre bravi ragazzi, Milano, Rizzoli, 2006.

Dalla deposizione di Gianni Guido:

“… Ero sicuro che l’aria sarebbe passata perché mio padre e io eravamo soliti metterci il cane quando andavamo a caccia. Appena rientrammo in casa, Izzo provò a telefonare alle nostre famiglie per avvertire del ritardo.
Non riuscì a prendere la linea. Telefonò a Gianluca Sonnino e riuscì a parlare con lui. Gli disse di avvertire che saremmo tornati tardi e gli diede un appuntamento per le 23,30 in viale Pola, a lui e agli altri amici che stavano insieme a cena. Subito dopo cominciammo a pulire il piano terra, a togliere il sangue, sia sul pavimento che sul muro.
Mentre facevamo questo Ghira era su con Rosaria, ma io non sentii rumore di acqua … Ghira ci disse che il sonnifero non aveva fatto troppo effetto, e per questo era stato costretto ad addormentare la ragazza con un flacone di bagnoschiuma e a pugni.
Ci disse che l’aveva già portata in macchina. Io dovevo aver lasciato le chiavi attaccate al portabagagli, quando lo avevo chiuso per non far scappare Donatella …”.
Fonte: F. Sciarrelli, G. Rinaldi, Tre bravi ragazzi, Milano, Rizzoli, 2006.

Dalla deposizione di Angelo Izzo:

“…Quando uscimmo dalla villa concertammo come ritornare a Roma e il luogo dove scaricare le due ragazze … Io salii sulla macchina del mio amico (Andrea Ghira) e Gianni sulla 127. Marciammo uno dietro l’altro.
Ci allontanammo percorrendo la Pontina, e lungo la strada ci sbarazzammo del sacchetto con le siringhe buttandolo nei pressi di una villa … Domandai al mio amico come aveva fatto ad addormentare Rosaria e lui mi disse che ce l’aveva fatta con un cuscino e due o tre cazzotti. Mi disse anche che, una volta a Roma, avremmo dovuto scaricare le due ragazze in un prato, mentre lui ci avrebbe coperto…
Arrivammo alla fine della Pontina, all’incrocio con il semaforo. C’era un posto di blocco. All’incrocio con viale Europa ci fermammo per aspettare la 127 di Gianni Guido. Dal finestrino ci disse che era inutile lasciarle perché c’era la polizia in giro. Allora ci demmo appuntamento in viale Pola e decidemmo di andare a cena con i nostri amici…
Arrivammo nella traversa prima della via dove abita Guido. A quel punto scendemmo dalla macchina e ci chiedemmo cosa fare delle ragazze. Il nostro amico ci disse: ‘Pensateci voi due, dopo essere andati a cena’.


Erano le 22,30 … Andammo all’appuntamento con i nostri amici, in viale Pola. Gianni mi disse che siccome era tardi e non poteva aspettare Sonnino, era meglio parcheggiare, lui sarebbe andato a casa e ci saremmo rivisti verso le 4,30 del mattino. Decise di parcheggiare la macchina in un posto dove non poteva essere vista dai genitori…
Non mi preoccupavo delle ragazze perché ero convinto che nel portabagagli non facessero rumore … Mi diressi verso casa di Gianni e non feci caso che sul luogo dove avevamo lasciato la 127 c’erano già i carabinieri. Arrivai nel palazzo di Gianni e sentii gridare: ‘Mio figlio!’. Mi misi paura perché avevo capito subito che era successo qualcosa.
Allora uscii e mi avviai verso viale Pola. Sotto il portone mi fermò una persona, forse era un giornalista. Mi allontanai … Cercai una fontanella, avevo bisogno di lavarmi il viso perché la testa mi scoppiava. E in quel momento arrivò una Giulia con una persona a bordo che aveva una pistola. Ebbi l’impulso di fuggire, ma la persona con la pistola mi stava di fronte. E venni arrestato”.
Fonte: F. Sciarrelli, G. Rinaldi, Tre bravi ragazzi, Milano, Rizzoli, 2006.

Arresti e processo:

Dopo la confessione di Donatella Colasanti (morta nel dicembre del 2005 per un tumore al seno), non ci vuole molto per arrivare a Gianni Guido, da lui poi a Angelo Izzo e a Ghira. I primi due sono arrestati e finiscono in galera. Andrea Ghira invece è da subito introvabile, probabilmente è già scappato fuori dai confini italiani, grazie all’aiuto di qualcuno.
Il processo del 1976 si chiude con la sentenza di ergastolo per tutti e tre gli autori del massacro. Nel 1980, in appello, l’ergastolo è confermato per Andrea Ghira, sempre latitante, e per Angelo Izzo (https://tg24.sky.it/cronaca/2018/05/25/angelo-izzo-massacro-circeo.html). A Gianni Guido, invece, la pena è commutata in 30 anni di carcere, più 3 di libertà vigilata, questo perché i familiari di Rosaria Lopez hanno rinunciato a costituirsi in giudizio parte civile, accettando cento milioni di risarcimento dalla famiglia di Guido.
Nel settembree del 1983, la Suprema Corte di Cassazione respinge i ricorsi di Ghira e conferma le pene di Guido e Izzo.

Ergastoli e latitanze all’estero:

Gianni Guido oggi è libero, Izzo invece è ancora in carcere con isolamento diurno (nel 2005, in regime di semilibertà, uccise Maria Carmela e Valentina Maiorano, moglie e figlia del pentito Giovanni Maiorano, legato alla Sacra Corona Unita).
Andrea Ghira non fu mai arrestato, morì nel 1994 per overdose, il corpo fu sepolto nel cimitero comunale di Melilla, enclave spagnola in Marocco. Riesumati ultimamente i resti per la prova del Dna, si è stabilito che il materiale organico, analizzato dai medici legali dell’accusa, i professori Giovanni Arcudi e Giuseppe Novelli, è senza dubbio quello di Ghira. Così il Marsigliese scriveva ai suoi amici, Izzo e Guido, prima di sparire per sempre:

Lettera di Andrea Ghira agli amici detenuti nel carcere di Latina:

“Cari amici, non mi avranno mai. Vi assicuro che quella bastarda la faccio fuori, per voi non c’è pericolo, a fine anno ’76 uscirete tutti per libertà provvisoria. Anche se sanno tutto questi bastardi, faranno una brutta fine anche loro.
Comunque, non vi preoccupate per la mia latitanza, ho circa 13 milioni di lire, forse andrò via da Roma. Per quanto riguarda quella stronzetta, farà la fine della Lopez. State calmi, a presto, Berenguer Ghira”.

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