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Misteri di Cronaca Nera

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Serial killer italiani: Gaspare Zinnanti, uccideva per salvare le anime

“Nessun dubbio per quanto attiene alla pericolosità di Gaspare Zinnanti. E’ elevatissima, sia nei confronti del prossimo sia di se medesimo (…) in ogni momento, e del tutto imprevedibilmente, egli può mettere in atto il proposito, apertamente dichiarato, di uccidere chiunque gli capiti a tiro”.
Lo scrive il professor Gianluigi Ponti nella perizia psichiatrica effettuata i primi giorni di aprile del 1997 e richiesta dai sostituti procuratori Cairati e Spina dopo l’arresto di Gaspare Zinnanti. L’uomo ha una altissima pericolosità sociale, ma nessuno lo sapeva fino al 23 marzo 1997, giorno in cui è arrestato. Questo fatto di cronaca nera si è svolto tutto nel giro di undici giorni e attraverso un crescendo impressionante di follia.
Gaspare è schizofrenico. La sua malattia si manifesta, improvvisamente e repentinamente, il 10 marzo del 1997. Ha 35 anni, è disoccupato e tossicodipendente. Si è trasferito da Torino, dove aveva un lavoro e una moglie, a Milano.
Qui, adesso, è solo e vive per strada. Gira spesso per la Stazione Centrale e dorme dove capita, sulle panchine, a casa di un amico o di qualche cliente. Si prostituisce, sia con gli uomini sia con le donne. I soldi se li procura così. Anche compiendo scippi e rubando qualche macchina.

L’inizio della follia di Zinnanti:

Benché faccia largo uso di hashish, eroina e Roipnol, non è ancora completamente dipendente dalle droghe. Non deve farne uso tutti i giorni. Mantiene un bell’aspetto, interagisce bene con gli altri e i suoi modi sono gentili. Riesce, per questo, a conoscere un’ex insegnante, Francesca Coelli, una donna benestante di 52 anni.
Francesca è divorziata, le piace la bella vita e divertirsi. Le piace anche Gaspare, con il quale inizia ad avere un rapporto di natura strettamente sessuale. Presto vanno a vivere insieme, a casa di Francesca, in via Vanvitelli.
Sembra tutto normale e la vita procede, per un po’ di tempo, nella quotidianità di entrambi. Poi, il 10 marzo 1997 succede qualcosa. I due stanno pranzando in casa. Non parlano molto. E’ Francesca, a un certo punto, a rompere il silenzio con queste cinque parole: ”Tu sai cosa devi fare”. E Gaspare, che fino a quel momento non sapeva nulla, improvvisamente, ha un’ illuminazione. Nella sua testa, la parte più in ombra, alienata da una malattia mai riconosciuta, inizia a mettersi in luce e a prendere il sopravvento.
E’ stata Francesca ad accendere la lampadina. L’ha fatto dicendogli quelle cinque parole: tu sai cosa devi fare. Gaspare sa, ha capito, ma un ultimo dubbio etico, su ciò che è bene e ciò che è male, lo frena ancora. Gli serve un giorno per pensare. Poi, l’11 marzo 1997, quel dubbio etico cade nell’oblio e Gaspare è pronto. Prende un martello dalla cassetta degli attrezzi. Francesca intanto sta girando per casa. Nessun sospetto.
Lui veloce le arriva alle spalle e la colpisce in testa. Un colpo fortissimo. La donna è morta. Quando si troverà, dodici giorni più tardi, davanti al pubblico ministero, Gaspare confesserà subito di aver ucciso Francesca.

L’ha uccisa per salvarle l’anima:

Ha ucciso quella donna per salvarle l’anima. Al giudice Alessandro Rossato dirà poi cose diverse, negherà tutto ciò che ha confessato. Ma a quel punto Gaspare ormai delira, ridacchia in continuazione, parla di cose strane. Ha una ‘missione’:
“Ho ucciso per fare del bene (…) la morte è buio, ma poi viene la luce (…) Sapevo di dover castigare la gente, ma è solo da due tre mesi che sentivo nell’aria delle voci e delle presenze, come se Dio mi chiedesse aiuto, e il Crocifisso mi diceva ho bisogno di te, vienimi incontro…”.
Lasciamo Gaspare alla sua confessione delirante e torniamo all’11 marzo 1997, in via Vanvitelli. Francesca è morta. E’ lì, in ginocchio sul pavimento, stesa in avanti con la testa fracassata. C’è tanto sangue. Gaspare è assalito da una forte emozione. Scoppia a piangere. Piange per ore, finché qualcos’altro scatta nei suoi pensieri e tutto è risucchiato, velocemente, nel buco nero della follia. Smette di piangere. Lascia Francesca sul pavimento, il corpo della donna sarà scoperto solo dieci giorni dopo, e va a lavarsi. Si cambia. I vestiti sporchi e il martello li butta nella spazzatura sotto casa. Poi, va alla Stazione Centrale e prende un treno per Roma.
E’ deciso a trasferirsi. Ma come arriva a Roma, cambia idea. Prende subito un altro treno e riparte per Milano. Si è ricordato che deve fare una cosa importante. Deve andare a trovare un suo amico, Alvaro Calvi, un pensionato omosessuale di 58 anni che vive in Viale Monza. Così Gaspare arriva a Milano, ma prima di raggiungere la casa di Alvaro, si ferma in metropolitana. Stazione Sondrio, linea 3.

I delitti come purificazione:

Sono le nove e trenta di mattina. Ci sono molte persone che aspettano il treno. Tante. Troppe. Gaspare inizia a sentirsi soffocare in mezzo a tutta quella gente. Sta per morire, ne è convinto. “Mi mancava l’aria – Dirà, poi, sempre nel corso della confessione – E dovevo fare qualcosa prima di morire”. Quindi, si fa largo tra la folla per raggiungere i binari. Arriva così alle spalle della signora Genoveffa Nuzzo, una donna di 40 anni, e la spinge giù dal marciapiede pochi istanti prima che il treno passi. Compiuto il folle gesto scappa.
Esce dalla stazione e corre via. La signora Genoveffa, fortunatamente, non è morta. La portano in ospedale, dove è operata alla testa. Si riprenderà dopo dieci giorni di coma. Gaspare, intanto, è arrivato a casa di Alvaro. L’uomo è contento di rivederlo. Lo invita a stare da lui. I due convivono per un po’ di giorni, quelli che servono a Gaspare per decidersi a compiere il terzo atto di purificazione. “ (…) Me l’ha chiesto lui – Dirà al pubblico ministero – L’ho letto nei suoi occhi quello che dovevo fare”.
Così, la mattina del 21 marzo 1997, mentre Alvaro è seduto in cucina, intento a scrivere la schedina, Gaspare gli arriva alle spalle, in mano ha un martello comprato pochi giorni prima, e subito lo colpisce sulla testa con violenza. Fatto. L’ha ucciso, il cadavere sarà trovato il giorno dopo dalla polizia. Questa volta, però, non si dispera. Non piange. Provvede subito a togliersi i vestiti sporchi di sangue. Si lava, si cambia e va via, chiudendo la porta a chiave. Una volta in strada, getta il martello nella spazzatura.

Delirio schizofrenico: uccideva per volontà divina

Il professor Ponti scrive nella sua perizia: “Soffre di una forma acuta di schizofrenia, caratterizzata dalla presenza di deliri bizzarri e confusi che comportano nel paziente il convincimento di essere stato investito, per volontà divina, del compito di uccidere le vittime per la loro salvezza”.
Infatti, Gaspare è  convintissimo di aver fatto del bene, lo dice chiaramente: “ Io non li odiavo (…) Non volevo che soffrissero, la vita è triste è fatta di passaggi, si deve passare da uno stadio all’altro, io volevo fare del bene”.
Sempre il 21 marzo, dopo aver lasciato la casa di Alvaro, Gaspare torna alla Stazione Centrale. Qui incontra Vincenzo Zenzola, 43 anni, tossicodipendente pure lui. Anche Zenzola vive di espedienti, gironzola qua e là. Anche lui non possiede una casa. Dorme in un vecchio stabile di nessuno alla periferia sud di Milano. Gaspare, quel 21 marzo, va a dormire da lui. Vorrebbe ucciderlo subito, ma non ci riesce. Ha paura. Perché Vincenzo è un uomo grande e grosso. E allora aspetta. Aspetta che Vincenzo si addormenti.
La notte del 22 marzo, nella palazzina abbandonata di via Sibari, Gaspare uccide Zenzola nel sonno. “ (…) Con Vincenzo – Dirà il giorno dopo nel corso dell’interrogatorio – ho compiuto un atto di purificazione”. Scrive ancora il professor Ponti: “Nonostante avesse compiuto la missione facendo tre vittime, afferma poi che avrebbe dovuto ucciderne ancora altre, tanto che dopo l’omicidio dello Zenzola tenne con sé il martello, del quale si sbarazzò solo più tardi”.

L’arresto per rapina:

Proprio così, dopo aver ucciso Vincenzo Zenzola, Gaspare si reca nuovamente alla Stazione Centrale. Ha uno scopo preciso: uccidere. Ma c’é troppa gente in giro e non riesce a trovare la giusta occasione. Passa tutto il giorno e la notte del 23 marzo alla Stazione Centrale.
La mattina, spinto dalla fame, decide di procurarsi i soldi rapinando qualcuno, una donna, che minaccia con una siringa usata. La vittima, però, riconosce Gaspare. E’ l’uomo che stanno cercando come testimone chiave di due omicidi. La foto segnaletica è su tutti i giornali. La donna, allora, lasciata libera, corre ad avvisare due agenti della Polfer che trovano ancora lì nei pressi Gaspare e lo arrestano per rapina.
Ma Gaspare Zinnanti non è solo un testimone, come fatto trapelare dalla polizia, e non ha solo commesso una rapina. Contro di lui si sono accumulati indizi e prove riguardanti gli omicidi di Coelli e Calvi. Ci sono le impronte digitale rinvenute sui martelli, i vestiti che indossava mentre compiva i delitti e quelli sporchi del sangue di Zenzola che ha ancora addosso nel momento dell’arresto. Gaspare poi, dà una mano agli inquirenti, si autoaccusa. Non ci sono dubbi. E’ stato lui a uccidere Francesca Coelli, Alvaro Calvi e anche Vincenzo Zenzola.

La confessione di Zinnanti:

E’ Gaspare stesso a indicare dove trovare il corpo di quest’ultimo. E’ stato sempre lui, continua ad autoaccusarsi, a spingere, qualche giorno prima, quella donna sui binari della metropolitana. Tre omicidi, dunque, e un quarto tentato. Gaspare Zinnanti è un serial killer. Francesco De Fazio, criminologo dell’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Modena, usa un altro termine. Preferisce parlare di mass murder e non di assassino seriale:
“Gaspare Zinnanti non è un serial killer. I suoi non sono omicidi seriali, manca la spinta perversa che muove il serial killer. Qui, piuttosto, sembra di essere di fronte ad un delirio di purificazione”. Lo afferma anche un altro criminologo, Francesco Bruno: “La mano che ha ucciso è quella di mass murder, ha ucciso prima gli amici per arrivare, se non fosse stato arrestato, a sopprimere chissà quanta altra gente. Sembra avere la tipica patologia mentale del ‘missionario’ che agisce sotto una spinta interiore incontrollabile. Da qui un comportamento disorganizzato che lo porta a lasciare un’infinità di tracce e a essere arrestato”.

Serial killer non in grado di intendere e volere:

Serial killer o mass murder, Gaspare Zinnanti, alla fine, è stato giudicato non in grado di intendere e volere. Ancora nella perizia del professor Ponti c’è scritto: “Venendo ora alla valutazione psichiatrico – forense, la gravità della sintomatologia è di tale rilievo che deve necessariamente comportare il giudizio di totale assenza di capacità di intendere e di volere al momento della commissione dei delitti”.
Quindi, vizio totale di mente, Art. 88 C.P., non imputabile. Gaspare Zinnanti non comprendeva il valore o disvalore sociale delle sue azioni, mentre le commetteva, né era in grado di autodeterminarsi in funzione dell’azione stessa o per evitarla.
Per i giudici, quindi, deve essere internato in un ospedale psichiatrico giudiziario, passare lì non meno di dieci anni e sottoporsi a regolari valutazioni che verifichino i miglioramenti o le regressioni della sua malattia.
Si chiuse così questo triste fatto di cronaca nera italiana. Gaspare Zinnanti fu portato nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia. I deliri e le allucinazioni continuarono a tormentarlo.
Quella luce che aveva illuminato e svegliato la sua follia accecandolo, lo portò a impiccarsi alle sbarre della cella. Era il mese di luglio del 2001. L’ultimo atto di purificazione, Gaspare, l’ha compiuto per salvare se stesso.

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