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Antonio Bardellino: la vera storia del re della camorra

No Tonì, non mi chiamo Alberto Ratto […] Tony, ma se io ti dico il mio nome tu potresti pure avere un infarto. Lo capisci questo? Perché il mio nome vero, tu, quando stavi in Italia, lo hai sentito e letto sui giornali un sacco di volte. Anch’io, nel mio piccolo, sono stato famosetto. […] Il mio nome vero, per te, è quello di un uomo morto. Così credevano tutti, ma io lo so che tu lo pensasti già dal primo giorno che c’incontrammo, che Alberto Ratto è uno che non morirà mai. È vero che lo pensasti? Sì, lo pensasti. E avevi ragione. Perché infatti sono vivo. In Brasile, non in Italia, ma sono vivo.

Alberto Ratto, Buzios, Brasile

Hanno tutti ragione è l’esordio letterario del regista Paolo Sorrentino e narra le vicende di Tony Pagoda, un cantante neomelodico napoletano che, per una serie di peripezie, si ritrova in Brasile, a Manaus. Qui incontra un italiano affascinante, misterioso e carismatico: Alberto Ratto. Quando dopo anni di frequentazione Tony si decide ad affrontare il tema della verità ottiene questa risposta.

Buzios è una cittadina brasiliana distante circa 180 km da Rio che si affaccia sull’Atlantico. Negli anni ‘80 le sue acque cristalline, le insenature dolci che abbracciano spiagge per tutti i gusti, il centro turistico con ristoranti e locali, quell’atmosfera comune a tutti i Sud del Mondo di tempo sospeso, rallentato e goduto, fanno della località che fu base dei Pirati francesi nel diciassettesimo secolo il classico posto di cui dire, se ci si trova lì in vacanza, Mollo tutto e mi trasferisco qui.

Al proposito non viene quasi mai dato seguito. A meno che tu non sia un ricco pensionato alla ricerca di un Buen Retiro per una placida vecchiaia o un mafioso italiano che alla necessità di cambiare aria accorda l’occasione di diversificare gli investimenti.

Formia e il Golfo di Gaeta

Formia è una cittadina costiera stretta fra i Monti Aurunci e il Golfo di Gaeta. Negli anni ‘80 il clima mite, il mare pulito, le spiagge, la pratica vicinanza con Napoli e Roma, gli investimenti provenienti da Sud che concorsero a configurarla come una sorta di Rimini della costa tirrenica, ne fanno il classico posto di cui dire, se ci si trova lì in vacanza, Quasi quasi mi prendo una villa qui, magari si può anche fare qualche business. Al proposito non viene quasi mai dato seguito. A meno che…

Cosa lega Buzios e Gaeta?

Qual è il filo rosso che lega due piccoli centri affacciati sul mare, ai due versanti opposti dell’Atlantico? Solo il fatto che i porti, ovunque si trovino, sono un po’ tutti uguali? Dei non luoghi quelli enormi, zeppi di navi che sembrano palazzi, quasi dei luoghi dell’anima quelli piccoli, con qualche peschereccio che in piena notte prende la via del largo, sotto lo sguardo annoiato di un paio di avventori che al bancone della locanda che si affaccia sul molo si godono il bicchiere della staffa, ritardando il più possibile il rientro a casa.

E poi c’è un fatto. Che gli affari, specie quelli loschi, si fanno nei porti. Per raccontare questa storia che parla di porti e di affari dobbiamo partire da un dato certo: Antonio Bardellino è morto. Forse.

Casal di Principe e la scalata di Antonio Bardellino

 San Cipriano di Aversa è un paese della provincia di Caserta praticamente tutt’uno con Casal di Principe, qui, il 4 maggio del 1945, è nato Antonio Bardellino. A soli 15 anni ha già capito che non vale la pena di perdere tempo con i giochi da ragazzi, e frequenta i bar biliardo della zona, rubando con gli occhi ai piccoli boss della provincia.

Si fa notare, ha le stimmate del Capo, tanto che per tutta la sua carriera criminale mai avrà un soprannome, il che certifica la statura e la considerazione da parte dell’ambiente. La sua scalata ai vertici della Camorra prende l’abbrivio negli anni ‘70, quando una serie di avvenimenti creano i presupposti per un ricambio generazionale.

Per cominciare, molti mafiosi siciliani in quel periodo vengono mandati in soggiorno obbligato in Campania. È l’occasione per fare fronte comune con i camorristi locali nella lotta al Clan dei Marsigliesi per il controllo del Contrabbando di sigarette, all’epoca vero e proprio core business di qualsiasi organizzazione criminale ramificata. I campani, dal canto loro, ne approfittano per trarre insegnamenti da una serie di uomini che hanno già fatto il passaggio da delinquenti comuni a banditi con mentalità internazionale.

La vicinanza tra camorra e famiglie siciliane

Il Clan più vicino alle famiglie siciliane è quello dei Nuvoletta, di Marano. Si tratta di una vera e propria famiglia mafiosa, affiliata a Cosa Nostra. I tre fratelli al vertice, Lorenzo, Ciro e Angelo, notano Bardellino e decidono di farlo diventare il loro braccio armato. La stima e la fiducia di cui gode presso i Nuvoletta porteranno Bardellino ad assere affiliato a Cosa Nostra a propria volta. Con il tempo gli verrà riconosciuto anche il raro diritto di decidere l’affiliazione di altre persone, senza dover chiedere il permesso a nessuno.

Nello stesso periodo Antonio stringe una profonda amicizia con Umberto Ammaturo, uno dei pochi protagonisti di questa storia che ad oggi può permettersi il lusso di essere ancora in vita, e che sarà suo sodale fino alla morte. E anche dopo. I due investono in locali notturni e intuiscono le potenzialità del traffico di cocaina, sostanza destinata a scavalcare l’eroina nella classifica dei consumi.

La Nuova Camorra Organizzata di Cutolo si fa strada

Nel frattempo, nell’area vesuviana della provincia di Napoli, si sta facendo largo la Nuova Camorra Organizzata, fondata e guidata da Raffaele Cutolo. Cutolo vuole espandersi e non tollera ingerenze nei territori che controlla, quando ritiene che la sua organizzazione sia abbastanza potente decide addirittura di imporre agli altri clan una tassa su ogni cassa di sigarette contrabbandata. Chi vuole lavorare lo deve pagare.

Decisi a non sottostare a questa imposizione, diversi altri clan camorristici si consorziano nella Fratellanza Napoletana, che diventerà in seguito la Nuova Famiglia. Scoppia la più sanguinosa Guerra di Camorra di sempre, capace di fare 984 morti in sei anni, fra il il 1979 e il 1984.

I Nuvoletta assumono una posizione neutrale con l’obiettivo di trarre vantaggio dalla situazione, Bardellino li molla ed a quel punto assurge a Boss della zona di Caserta, allorché tutti i capi del circondario, dopo essersi confederati, lo eleggono Leader. Questo è l’atto che segna la nascita del Clan dei Casalesi.

La nascita del Clan dei Casalesi

Antonio Bardellino a questo punto ha già le sue importanti entrature in Cosa Nostra, essendo strettamente legato a Tano Badalamenti, Stefano Bontate e Tommaso Buscetta, mentre i Nuvoletta sono più connessi con i Corleonesi di Totò Riina.

Nel 1980 la guerra sta vivendo un momento di tregua di cui Bardellino è poco contento. Umberto Ammaturo pensa così di smuovere le acque piazzando una bomba sotto casa di Cutolo il quale, comprensibilmente, ci trova qualcosa da ridire e chiede la testa del responsabile. Riina e i Nuvoletta, che gradivano i momenti di tregua in quanto non facevano che allungare i tempi della guerra e il conseguente loro controllo dell’intera regione, si rivolgono a Bardellino, intimandogli di eliminare Ammaturo.

Bardellino rifiuta, e questo rende l’idea della sua statura criminale. La guerra riprende e non ci saranno più tregue.

Nel 1982 Cutolo, che persino dalle varie carceri aveva dimostrato di non avere problemi a gestire la NCO mediante messaggeri, viene spedito al Carcere dell’Asinara come unico detenuto. La conseguente impossibilità di comunicare con l’esterno e l’uccisione del suo braccio destro Vincenzo Casillo a Roma indeboliscono l’organizzazione cutoliana, che viene poi falcidiata da una mega operazione dei carabinieri che nel giugno del 1983 porta in galera più di 800 persone. Fra, queste in maniera del tutto immotivata, c’è anche il conduttore televisivo Enzo Tortora.

Arresto e scarcerazione di Bardellino

La guerra è finita e Bardellino e il suo sodale Carmine Alfieri, boss della zona di Nola, diventano capi indiscussi. Bardellino prenderà letteralmente possesso della provincia di Caserta, di quella di Benevento e del Basso Lazio.

Nel novembre del 1983, però, mentre paga un cognac in un bar di Barcellona, viene arrestato. Viene clamorosamente scarcerato su cauzione, grazie all’interessamento di Badalamenti e, a quanto pare, di due magistrati corrotti assidui frequentatori di Night Club in Spagna.

Persuaso che l’arresto sia frutto di una soffiata dei Nuvoletta, Bardellino torna in Patria deciso a vendicarsi, ed in modo eclatante. Lui ed Alfieri decidono di assaltare direttamente la masseria di cui i Nuvoletta hanno fatto il loro quartier generale; il 10 giugno del 1984 un manipolo di uomini dei Casalesi travestiti da carabinieri citofonano fingendo un normale controllo. Appena dentro cominciano a sparare all’impazzata, riuscendo però ad uccidere solo uno dei fratelli, Ciro. I Nuvoletta reagiscono, respingono gli uomini di Bardellino e li inseguono. Il conflitto a fuoco si sposta nel centro di Marano.

A cadere è l’unico che non c’entra niente: Salvatore Squillace, imbianchino ventottenne, è colto alla tempia mentre è in piedi appena fuori da un bar.

La strage di Torre Annunziata

I Nuvoletta cercano sostegno nella battaglia contro il duo Bardellino – Alfieri e lo trovano nel Clan Gionta di Torre Annunziata, saranno proprio loro ad uccidere, sempre nel giugno del 1984, un uomo vicino agli Alfieri nel bel mezzo del mercato del pesce di Torre Annunziata. L’omicidio pretende una reazione, l’alleanza con i Nuvoletta anche. E la reazione non può che essere clamorosa.

Il 26 agosto un pullman con in bella vista un cartello che recita Gita Turistica si ferma nel piazzale antistante il Circolo dei Pescatori di Torre Annunziata. Dal mezzo scendono quattordici sicari armati di AK-47, mitragliette Uzi e fucili a pompa. Fanno una carneficina. Non riescono a cogliere gli uomini di spicco del Clan Gionta ma lasciano sull’asfalto 8 morti e 7 feriti. Molti dei quali, anche stavolta, non c’entravano assolutamente niente.

È la Strage di Torre Annunziata.

L’omicidio di Giancarlo Siani

I Nuvoletta capiscono che è meglio arrendersi. Poco meno di un anno dopo, nel giugno del 1985, il Boss Valentino Gionta viene arrestato mentre passa la latitanza in una tenuta di proprietà dei Nuvoletta.

Il Mattino di Napoli pubblica un articolo in cui il giovane giornalista sostiene che questo arresto fu il prezzo pagato dai Nuvoletta ai Bardellino – Alfieri per firmare la pace.

In ragione di questo articolo il 23 settembre 1985 il cronista verrà ucciso dai Nuvoletta con 10 colpi di pistola alla testa. Si chiamava Giancarlo Siani e la sua vicenda è stata raccontata da Marco Risi nel film Fortapàsc.

Bardellino e il trasferimento a Santo Domingo 

Sistemate le questioni di controllo del territorio, Bardellino ritiene sia meglio allontanarsi dall’Italia e si trasferisce a Santo Domingo, da dove è più facile gestire il traffico di droga che mette in piedi fra Sud America e Italia.

Qui sfugge ad un arresto e, ritenendo che a venderlo sia stato Domenico Iovine, ne decide l’eliminazione sebbene il fratello di questi, Mario, sia il suo braccio destro. A Santo Domingo si sta bene – infatti Bardellino ci tornerà periodicamente – ma gli affari si fanno meglio più a Sud.

Buzios, Brasile

All’inizio degli anni ‘80 Buzios è poco più di un villaggio di pescatori. La natura è incantevole, il mare pazzesco, la distanza da Rio de Janeiro relativa. È proprio il posto adatto per fare affari, investendo nel business della pesca, dell’import – export e del turismo. È proprio il perfetto territorio di caccia per gli italiani.

Ne sbarca infatti un variopinto manipolo capeggiato dal discendente di un uomo che in un altro genere di mare naufragava dolcemente, Vladimiro Leopardi, per gli amici Miro, il quale, proprietario a Rio di uno dei ristoranti meglio frequentati del Brasile, il Satyricon, decide di aprirne la succursale in quel piccolo centro che da villaggio di pescatori si sta trasformando, complice la presenza in massa dell’alta borghesia brasiliana che qui costruisce ville vista mare, in località turistica esclusiva.

È un uomo d’affari poliedrico, Miro, così apre anche la Brasfish, società che si occupa di pesca ed esportazione del pescato verso l’Europa, insieme ad alcuni soci italiani, fra cui Giorgio, Marco e Peppe, che a loro volta si lanciano pure nella ristorazione e con Miro rilevano un altro ristorante cui danno il nome Oasis. Si danno da fare gli italiani di Buzios, simpatici, guasconi, amici di tutti e sempre pronti a dare una mano, che ci sia da pescare, commerciare in gamberi o fare lavori pesanti, e molti abitanti del paese ancora oggi li ricordano con affetto.

‘Peppe’, ovvero Tommaso Buscetta

Peppe, carnagione scura e baffetti scolpiti tipo Abatantuono in Regalo di Natale, lo chiamano La Formica Atomica, perché non sta mai fermo, chiacchiera con tutti, fa gli acquisti per il ristorante, pesa personalmente il pesce prima di pagarlo. Peccato un giorno sia sparito nel nulla. Che dritto, Peppe. Che però non si chiama Peppe, si chiama Tommaso Buscetta, ed oltre alla villa di Buzios ha anche un bellissimo e panoramico appartamento a Rio con vista sull’Oceano, giusto di fianco a quello di Marco. Che ovviamente non si chiama Marco, si chiama Antonio Bardellino.

C’è anche un altro italiano coinvolto negli affari, Renato Coppola, che naturalmente non si chiama così ma Mario Iovine, oltre a Giorgio che si fa chiamare anche George, parla bene lo spagnolo e infatti dichiara di essere nato in Argentina e che sembra proprio essere Umberto Ammaturo visto che anche l’amico storico di Bardellino ha una casa lì.

Investimento legale dei proventi criminali

Il giornalista Andrea Palladino ha realizzato una bella ed approfondita inchiesta su Antonio Bardellino per il programma 100 Minuti in onda su La7 intitolata Lo Spettro, ed ha seguito le tracce del Boss fino a Buzios, regalando un vivido affresco delle attività degli italiani in quel periodo attraverso i ricordi degli abitanti.

Durante il periodo brasiliano, dunque, i bravi ragazzi nostrani mettono in atto quella che diventerà la linea guida delle grandi organizzazioni di stampo mafioso da un certo punto in poi: l’investimento in attività legali dei proventi delle attività criminali, il traffico di droga – anche attraverso la ditta di esportazione del pesce – continua a fruttare enormi somme di denaro, che però vengono reinvestite in attività ben comprese nella sfera della legalità, che sia pesca o, più avanti, lo smaltimento dei rifiuti che diede vita al triste capitolo della cosiddetta Terra dei fuochi.

Mentre si trova in Brasile Bardellino riceve da Riina un caloroso invito, per non dire un ordine: ammazzare Tommaso Buscetta. Bardellino dice no. Il Boss dei Casalesi non prende ordini da nessuno, nemmeno da ‘U Curtu.

Poi, ad un certo punto, Antonio Bardellino muore. Sembrerebbe.

Bardellino è morto?

Il 26 maggio del 1988 a Casal di Principe arriva una telefonata intercontinentale da Mario Iovine, il senso è questo: Bardellino è morto, l’ho ammazzato io.

Anni prima Bardellino aveva fatto eliminare il fratello di Iovine, Domenico, ed era chiaro a entrambi che la cosa non poteva finire lì. Stando a quello che racconterà Iovine, Bardellino lo convoca in Brasile, dandogli appuntamento all’aeroporto di Rio. Iovine capisce che il suo Boss lo vuole fare fuori e allora anticipa la partenza cambiando oltretutto destinazione, atterrando a San Paolo, dove lo aspetta un tassista parente di sua moglie, che lo porta direttamente a Buzios. Lì si apposta nelle vicinanze della villa di Bardellino, quando lo vede uscire si introduce all’interno dell’abitazione e lo aspetta. Non appena quello rientra lo massacra a martellate e butta il cadavere in una buca che aveva scavato sulla spiaggia. Nel frattempo, la moglie lava via il sangue dalla casa. Detta così, sembra abbastanza lineare. Poi vediamo.

Formia

Già da tempo membri di spicco del Clan Bardellino, a cominciare dai suoi fratelli Ernesto e Silvio, si sono stabiliti a Formia e hanno cominciato a fare enormi investimenti. Con quali soldi, sarebbe lecito chiedere. Ernesto Bardellino, già sindaco di San Cipriano di Aversa, racconta ad Andrea Palladino all’interno di 100 Minuti che ormai molti anni fa, quando era assessore del comune natìo, fece una forzatura: dopo aver comprato per 80 milioni di lire un terreno agricolo lo aveva fatto inserire nel Piano Regolatore come edificabile. In 6 mesi aveva guadagnato un miliardo e cinquanta milioni.

Si era trasferito qualche chilometro più su e, affacciato sul Golfo di Ulisse, aveva investito nel mattone. Lo dicono in parecchi che Ernesto era la vera mente imprenditoriale. Del resto Formia, già negli anni ‘80 veniva definita La Svizzera dei Casalesi.

C’era anche il SevenUp, una delle discoteche più frequentate d’Italia. Un tempo era un piccolo locale, poi erano arrivati i Bardellino e ci avevano investito, trasformandola in un tempio della Discomusic di circa 5000 metri quadri con più piste e un faro esterno che illuminava dal Circeo a Caserta.

I ragazzi venivano da tutta Italia per ballare al 7up.

Ci venivano anche i narcotrafficanti, a fare le riunioni nelle ore di chiusura. Fin quando, come talvolta accade a locali del genere, venne distrutta da un incendio e mai rimessa in piedi. In un comprensorio di Formia c’è una villetta, lì per alcuni anni ha abitato la moglie di Antonio Bardellino, Rita De Vita. Sotto quella villa, non molto tempo fa, venne trovato un vero e proprio bunker. A chi serviva?

Bardellino (non) è morto

Negli anni si sono rincorse voci secondo le quali Bardellino non sarebbe morto ma avrebbe deciso di sfilarsi dalla prima linea simulando la propria eliminazione per continuare le proprie attività in segreto e sfuggire così a eventuali nuove sanguinose faide di Camorra che negli anni a seguire, ad onor del vero, si sono puntualmente riproposte. Se torniamo a Buzios e alla versione di Iovine, effettivamente, dobbiamo riscontrare che qualcosa non torna.

Tanto per cominciare non c’è il corpo e la circostanza è quantomeno singolare. Negli omicidi di alto rango nel mondo della malavita, infatti, i cadaveri illustri non vengono occultati bensì esposti, ostentati, come a dire L’ho ammazzato io e adesso si gioca con le regole mie.

Iovine invece racconta di averlo seppellito in spiaggia, spiaggia che non restituirà alcun resto. Lo stesso sedicente assassino, poi, racconterà almeno un paio di diverse versioni dell’omicidio: in quella riportata da Carmine Schiavone dice di avere utilizzato un martello, in altre circostanze parla di una pistola.

In Brasile Bardellino risulta ricercato, e quindi in vita, fino al 1994. Anche i detectives italiani non smettono sostanzialmente mai di cercarlo, secondo alcuni si sarebbe spostato nella zona di Tabatinga, in Amazzonia, al confine con Perù e Colombia, in quella che viene chiamata La Triplice Frontiera, impiantando lì il traffico di cocaina. Del resto si trattava di una zona controllata dagli uomini di Pablo Escobar, che da anni aveva solidi rapporti con Umberto Ammaturo, il quale aveva aperto in Perù una ditta di esportazioni con la quale facilitare l’invio della merce in Italia. Lo stesso Ammaturo nel 2010 rilascia un’intervista a Repubblica dichiarando di non credere alla morte di Bardellino.

Tommaso Buscetta, ascoltato dalla Commissione Parlamentare Antimafia nel 1992, aveva detto È già scontato che Bardellino è morto? A me non risulta, e non credo sia morto. Per me è vivo.

Don Masino, lo sanno tutti, non parla mai a caso.

L’uomo di fiducia di Bardellino: Antonio è vivo

Il Generale Cesare Pucci, allora direttore del Sismi, il servizio segreto militare, alla stessa Commissione dichiara Credo che occorra, quanto prima, trovare Bardellino, possibilmente vivo

Nella sua inchiesta Andrea Palladino incontra altri due personaggi. La prima è la moglie di Mario Iovine, alla quale viene chiesto se effettivamente ricordi l’omicidio e di aver pulito la casa. La risposta è no.

Poi c’è Peppe Favoccia detto ‘O Americano, perché oltre ad essere l’uomo di fiducia di Ernesto Bardellino ha gestito per anni un ristorante italiano a New York, frequentato da tutte le famiglie mafiose di Little Italy. E non si fa fatica a crederlo, basta guardarlo. Secondo la DDA di Napoli Favoccia è stato per anni il contatto fra Ernesto ed Antonio, ipotizzando una permanenza più o meno stabile di quest’ultimo all’ombra dell’Empire State Building. Sembra uscito da un film di mafia nemmeno troppo ben riuscito, Favoccia, e inciampa spesso in dichiarazioni compromettenti: nel 2014 dichiara alla Digos di aver fatto incontrare Antonio con moglie e figlia di Ernesto all’aeroporto di New York, nel 2017 dice invece alla Squadra Mobile che Bardellino è vivo fra Uruguay e Paraguay. Quando il giornalista di La7 gliene chiede conto derubrica queste rivelazioni a semplici battute di spirito.

Però, quando pensa che Palladino abbia spento la telecamera, lo guarda fisso negli occhi e gli dice Antonio è vivo, non sta più in Brasile. Aveva le sue basi, ‘na pescheria, operai, tre figli. Alla scontata domanda del cronista su dove sia oggi risponde con uno sguardo vago che volge all’indietro Eh, vabbuò…

Ernesto Bardellino chiederà a Palladino di non utilizzare l’intervista a Favoccia perché È un mentecatto.

Finale

Nel febbraio del 1989 un Boing 747 decollato da Bergamo e diretto a Santo Domingo si schianta sul Pico Alto, nelle Azzorre. Muoiono 144 persone. Fra loro un uomo legato al Clan dei Casalesi che porta con sé un passaporto. Il passaporto del vigile urbano Antonio Diana, ucciso a colpi di fucile a San Cipriano di Aversa qualche giorno prima. A chi era destinato quel passaporto?

Infine, nel 2003 Rita De Vita si reca all’anagrafe di Formia per registrare la nascita di una figlia cui viene imposto il cognome Bardellino poiché sarebbe nata dall’unione con un uomo di cui non si è mai riuscita a provare l’esistenza, il cui cognome sarebbe Bardellino Diana. Il nome di battesimo? Marco, naturalmente.

Edoardo Ciufoletti

Edoardo Ciufoletti è attore e autore teatrale. Da sempre studioso e appassionato di cronaca nera.

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