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Misteri di Cronaca Nera

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Michele Vinci e le 3 bambine trucidate. Storia del Mostro di Marsala

“… Come qualificare quest’uomo? … Verme? Bestia? No, offenderemmo ingenerosamente degli animali … Mostro? Possiamo chiamarlo mostro? … Quest’uomo non è da mostrare, da far vedere, è da relegare, da nascondere, perché non offenda e contamini il genere umano … Lo chiameremo dunque con il suo nome e cognome … Michele Vinci e per sempre questo nome significherà viltà, obbrobrio, ferocia…”
(tratto dall’arringa accusatoria dell’Avv. Cino Traina, parte civile famiglia Marchese, Corte d’Assise di Trapani, luglio 1975).

Il 10 luglio 1975, quest’uomo, Michele Vinci, alle 16:40, dopo cinque ore di camera di consiglio, ascolta la sua sentenza: ergastolo. Sentenza poi tramutata, in appello, a 28 anni di reclusione.
Fu un processo lungo e tormentato da tanti colpi di scena, che produsse una verità giuridica additante Vinci come unico e solo responsabile del sequestro di tre bambine, della loro morte, del successivo occultamento e vilipendio dei cadaveri.

La passione per la nipote di 9 anni:

Verità forse non unica, anche se supportata da prove certe: Vinci rapì le bambine; Vinci conosceva e indicò il luogo dove furono ritrovati i cadaveri di due di esse.
Prove a loro volta sostenute dal movente sessuale, dalla morbosa passione che Vinci provava per Antonella Valenti, la nipote di nove anni, il cui corpo fu ritrovato, casualmente, in una scuola abbandonata, carbonizzato e con la testa fasciata da nastro adesivo.
Un movente che associava all’azione delittuosa una seminfermità mentale, non riconosciuta, però, nella seconda perizia psichiatrica. Una verità che, letti i fatti di questa sordida cronaca nera di Marsala, datata 1971, potrebbe averne offuscata un’altra, più complicata, pericolosa e a tutt’oggi mai dimostrata.

La questione del sequestro dell’onorevole Dc:

L’analisi di ciò che accadde si apre con tre premesse, la prima fa riferimento a una puntata della trasmissione Telefono Giallo, in onda su Rai 3, 1989, condotta da Corrado Augias.
E’ bene ricordare anche due cose: l’onorevole Salvatore Grillo, citato nello stralcio d’intervista che segue, era diventato il principale esponente Dc nella provincia di Trapani e aveva sconvolto tutti i vecchi assetti di potere; il fantomatico rapimento di cui si parla non fu preso molto in considerazione, almeno per accertarne la veridicità.
1989, Rai 3, durante una puntata della trasmissione Telefono Giallo va in onda un’intervista a Vito Palmeri, all’epoca dei fatti, corrispondente Rai per la provincia di Trapani:

“…Ogni qualvolta c’era una sospensione del processo, io cercavo di avvicinarlo, magari offrendogli un caffè o la sigaretta e mi raccontava spontaneamente qualcosa, fino a quando non siamo arrivati a due giorni dalla chiusura del dibattimento …
Mi raccontò una cosa strana, mi disse che il cognato, Pino Valenti (padre di Antonella Valenti), avrebbe dovuto partecipare al sequestro dell’Onorevole Grillo e che, siccome qualche giorno prima di andare a effettuare il sequestro, Valenti aveva preferito scappare in Germania, allora era stato avvisato che lo avrebbero fatto tornare con le lacrime agli occhi”.

Gli inquirenti non presero in considerazione quanto riferito da Vito Palmeri perché, lo disse poi l’Avv. Elio Esposito, all’epoca difensore dell’imputato, tali dichiarazioni, fatte da Vinci nel 1975, furono rese a un giornalista e non nel corso del processo.

L’intervista a Vincenzo Consolo:

Seconda premessa, è un’intervista allo scrittore Vincenzo Consolo, all’epoca redattore del giornale L’ORA di Palermo:

“… Il processo era al cosiddetto Mostro di Marsala … Un alienato che aveva ucciso tre bambine che non aveva violentato, non era un caso di pedofilia … Un delitto inspiegabile. Il Pubblico Ministero in quel processo era un giudice che si chiamava Ciaccio Montalto, che è stato poi ucciso dalla mafia. La sua tesi era che il padre di una bambina, che si chiamava Valenti, era un corriere della droga.
A un certo punto lui aveva voluto smettere con questi legami, con questi che avevano il monopolio della distribuzione della droga, che erano i mafiosi, e quindi era emigrato in Germania. I mafiosi per far tornare in Sicilia questo Valenti avevano detto a questo deficiente (a Vinci) di rapire la bambina
Andai a Valderice, a cena da Ciaccio Montalto … Mi disse – Io ricevo minacce di morte, sia con lettere anonime sia per telefono, minacce di morte, se mi capita qualcosa, lei lo scriva -. Fatto è che il processo finì, io tornai a Milano e dopo non so quanti anni questo poveretto viene ucciso … Lui stava indagando sui rapporti di “Cosa Nostra” trapanese con la mafia americana, sul traffico della droga. …
Io a Montalto avevo detto – Ma scusi, perché lo dice a me e non ai suoi superiori, ai magistrati? – e lui, candidamente, mi dice – Dei miei superiori non mi fido -”
(tratto da un’intervista a Vincenzo Consolo, sito internet www.italialibri.net).

Le dichiarazioni di Michele Vinci 17 anni dopo:

La terza premessa la fa Michele Vinci che, 17 anni e 68 giorni dopo il fattaccio di cronaca nera, in un’intervista andata in onda sia in una puntata di Telefono Giallo, Rai 3, 1989, sia durante una trasmissione del 2006 di “Chi l’ha Visto?”, parla di complotto. E’ il 28 dicembre 1988:

“…Le ho prese per conto del prof. Franco Nania e portate nel fondo Guarrato nel quale le ho consegnate a Nicola De Vita (nomi dietro i quali ci sono persone che saranno tutte scagionate per mancanza di prove).
Tutto è successo perché avevo detto a mio cognato di non partire che i suoi figli erano in pericolo, però non mi ha dato ascolto, è partito ugualmente per la Germania. … Mi era stato assicurato che nulla gli sarebbe successo alle povere creature. Prima di ciò si era organizzato il sequestro dell’Onorevole Grillo, il quale è fallito perché io non volevo partecipare.
Anche mio cognato Valenti Leonardo non ha voluto partecipare … Ripeto, li ho presi e li ho portati nel fondo Guarrato e consegnati a Nicola De Vita per conto del prof. Franco Nania la quale mi ha minacciato pì mia moglie e i miei familiari. Purtroppo la paura è stata più forte di me e li ho presi, non ho commesso altro
Valenti mi dice – Non si fa più nulla del sequestro dell’Onorevole Grillo -, così è sfumato tutto … Dovevo prendere solo Antonella Valenti, purtroppo, quel maledetto giorno erano tutti e tre insieme…“.

I fatti del 21 ottobre 1971: la sparizione delle 3 bambine

Dalle premesse ai fatti. Quel maledetto giorno era il 21 ottobre 1971, tutto iniziò nelle prime ore del pomeriggio. All’istituto elementare Pestalozzi di Marsala sta per cominciare il turno pomeridiano.
Antonella Valenti, nove anni, a scuola è già stata, sta ora accompagnando la sorellina di sei anni, Liliana, con loro ci sono due vicine di casa, due amichette, Ninfa Marchese, sette anni, e Virginia Marchese, che di anni ne ha cinque.
Liliana entra alla Pestalozzi, Antonella, Ninfa e Virginia possono quindi tornare indietro, ma sulla strada di casa, un percorso di duecentocinquanta metri, le tracce di queste tre bambine si perdono. Sparite. Che è successo?
Se lo chiedono i familiari, non vedendole tornare iniziano le prime ricerche fai da te, frenetiche, disperate e soprattutto infruttuose. Verso sera, il nonno di Antonella denuncia la scomparsa. Le ricerche ufficiali iniziano subito.
Intanto, tra la gente, corre voce che a prendere quelle tre bambine sia stato un maniaco sessuale, un pedofilo. Certo è che di rapimento a scopo di riscatto proprio non si può parlare, le due famiglie colpite sono povere, poverissime.

La ricerca della 500 Blu:

Leonardo Valenti e la moglie Maria Impiccichè sono a Baden, in Germania, perché il lavoro a Marsala non c’è e Paolo Marchese, che di mestiere fa il bottaio, di lavoro ne ha sempre meno.
Il Procuratore di Marsala, il giudice Cesare Terranova, ha iniziato ad ascoltare i primi testimoni o presunti tali. Tra questi spicca un certo Hans Hoffmann, un tedesco che fa il benzinaio e che è sposato con una siciliana.
Lui qualcosa ha visto. Spontaneamente, si presenta al Comando dei Carabinieri dicendo che quella mattina, mentre era al lavoro, ha notato una Fiat 500 blu con dei bambini dentro: ”… Vedevo solo quei bambini che battevano con le mani nel vetro, pensavo che volevano uscire di là” (tratto da intervista a Hans Hoffmann, Telefono Giallo, Rai 3, 1989).
Le indagini prendono un senso di marcia, ma di lì a pochissimo devono cambiare direzione e tornare indietro. C’è, infatti, un altro testimone, anche lui si presenta spontaneamente, è Giuseppe Li Mandri, muratore.
Dichiara che quella 500 blu vista da Hoffmann è la sua e che stava andando in ospedale a trovare un parente, con il figlio in macchina che piangeva e faceva i capricci. Bisognerebbe riascoltare Hoffmann, ma il tedesco è tornato di corsa in Germania e di lui non si hanno più notizie.

Nuove piste ed alibi:

Molto tempo dopo, lo si sentirà parlare in una puntata di Telefono Giallo del 1989, Rai 3: ”Mia moglie tutta impaurita, tu non devi parlare, non dire niente, qua tutti i parenti, qua non si parla e abbiamo cercato degli agganci in Germania, cosa avevamo ancora e siamo tornati nuovamente in Germania.Li Mandri ha smentito la mia deposizione”.
E Li Mandri? Pochi giorni dopo aver fatto la sua smentita, muore in un poco chiaro incidente sul lavoro. Le indagini proseguono. Al pubblico registro automobilistico di Trapani si cercano i nomi di tutti quelli che possiedono una Fiat 500 di colore blu.
Salta fuori un giovane, di cui non si fa il nome, che possiede quel tipo di macchina e corrisponde alla descrizione data da Hoffmann. Polizia e Carabinieri si muovono con molta cautela, non vogliono dire e fare cose affrettate che possano nuocere all’incolumità delle bimbe.
Ma il giovane sospettato, rintracciato poi a Castelvetrano, ha un alibi inconfutabile, niente di fatto, si torna nuovamente indietro.

Il corpo carbonizzato della prima bimba:

26 ottobre 1971. Vito Passalaqua, idraulico, si trova a passare con un amico nei pressi di una scuola abbandonata: ”… Non appena vado per entrare (nella scuola) per fare la pipì, quando entro e proprio nell’angolo dove io stavo per entrare, mi accorgo che c’era il corpo di una bambina e subito, per associazione di idee, ho pensato che si trattava di una delle tre bambine che erano scomparse a Marsala” (intervista a Vito Passalaqua, Telefono Giallo, Rai 3, 1989).
Il corpo è di Antonella Valenti, è carbonizzato, con tracce di violenza fisica e sevizie. Ha la testa fasciata da nastro adesivo, quello che ne ha causata la morte per asfissia e che si trova anche accanto al corpo.
Ecco il primo indizio fondamentale, quello che porterà di lì a poco all’identificazione del colpevole. Si tratta, infatti, di un particolare nastro autoadesivo, utilizzato soltanto da un’azienda di Marsala, la Cartotecnica S. Giovanni, di Contrada S. Giuseppe Tafalia.
Iniziano le indagini tra i dipendenti della cartotecnica. Dell’omicida e delle sorelline Marchese non si ha ancora alcuna traccia. Gli unici indizi sono la dichiarazione del benzinaio tedesco e il rotolo di nastro adesivo.

Nessun movente sessuale: ma le altre due bambine non si trovano

Un secondo e più attento esame autoptico, effettuato sul cadavere di Antonella, ha intanto evidenziato che, pur sottoposta a sevizie, la bambina non ha subìto violenza carnale.
Cesare Terranova, durante una conferenza stampa: ”Non posso certamente rivelare ciò che è venuto fuori dall’autopsia, però, debbo ammettere che guardando il corpo della bambina anch’io, come il medico che aveva effettuato il primo esame esterno, mi sono sbagliato per via di certe bruciature che vi si riscontrano nella regione anale”.
In sostanza, venendo a mancare la violenza carnale, vacillano il movente sessuale e l’ipotesi che ha commettere il delitto sia stato un maniaco con impeto omicida. Si tratta allora di altro, di vendetta? Ninfa e Virginia intanto non si trovano ancora.

”Le ho semplicemente uccise”

Seguendo ora l’ipotesi del delitto per vendetta, il procuratore Terranova cerca connessioni valide tra parenti e amici della famiglia Valenti. C’è un uomo, un sospetto. È proprietario di una Fiat 500 azzurra e lavora pure come fattorino alla Cartotecnica S. Giovanni.
Nel segreto più assoluto, i Carabinieri del Comando di Marsala seguono per giorni il possibile colpevole, finché il 9 novembre 1971, nella mattinata, è condotto in procura per essere sentito. Dopo un incalzante interrogatorio, alle 22:40, la confessione:
”… Ho bevuto una bibita, non ricordo se alcolica o analcolica, al bar di piazza Caprera e da quel momento mi si è sconvolto il cervello … Non ho fatto niente di male alle bambine, non ho usato violenza, le ho semplicemente uccise … Ho dato da mangiare ad Antonella, ma ho dovuto bendarle gli occhi perché non sopportavo il suo sguardo pieno di terrore” (dichiarazione di Michele Vinci, “Il Vomere”, Marsala, 20 novembre 1971).

I corpi delle altre 2 bambine:

Il Mostro di Marsala è Michele Vinci, zio Michele, marito di Anna Impiccichè, sorella di Maria Impiccichè, la mamma di Antonella Valenti. Confessa tutto, ha ucciso anche Ninfa e Virginia Marchese, le ha buttate ancora vive in una cava abbandonata in contrada Amabilina, presso l’orto di Giuseppe Guarrato.
Il 10 novembre 1971, a poche ore dalla confessione di Michele Vinci, esattamente alle 05:45, sono tratti da un pozzo, profondo circa venti metri, i corpi senza vita di Ninfa Marchese e sua sorella Virginia. Sui corpi non ci sono segni evidenti di violenza. Secondo la relazione medico legale del prof. Del Carpio e del dott. Bellafiore:
”Ninfa e Virginia Marchese non sono state buttate dentro la cava del fondo Guarrato perché sui loro corpi non sono state riscontrate lesioni, fratture, lussazioni… Le due bambine non sono morte nella cava. Si deve ritenere impossibile che le due bambine siano vissute dieci o quindici giorni nella cava, prive di cibo o bevande. Non sono state trovate tracce organiche di sopravvivenza”.

La versione del Mostri di Marsala e la realtà dei fatti:

Né sono morte a causa dei gas sviluppatesi da vegetali in fermentazione, perché lì sotto non c’erano vegetali secchi che potessero sviluppare anidride carbonica, anche se l’autopsia rileva tracce di asfissia nei tessuti polmonari. Infatti, segue la relazione:
”… Si può confermare che la morte fu dovuta a fenomeni asfittici, per la mancanza di qualsiasi segno di violenza … Si potrebbe pensare a un soffocamento praticato con mezzi soffici”.
Cade qui la storia raccontata all’inizio da Michele Vinci. Dopo averle rapite, il 21 ottobre 1971, Vinci aveva detto di aver tenuto Antonella in una casa di campagna, finché un giorno la trovò morta e portò il corpo nella scuola abbandonata, dandogli poi fuoco, e di essersi invece liberato subito delle altre due bambine, facendole precipitare in un pozzo vicino.
Stando alla relazione dell’autopsia, le cose, per Ninfa e Virginia, sono andate in maniera diversa. C’è qualcosa di misterioso che non trova la giusta spiegazione.
L’Avv. Elio Esposito, difensore di Vinci, dopo qualche anno dal fatto, dichiara: ”Il Vinci era terrorizzato da qualcosa, allora operò una scelta. Preferì una prospettiva di ergastolo per se alla morte e/o a gravissimi danni per i suoi familiari …” (dichiarazione dell’Avv. Elio Esposito nel corso di una puntata di Telefono Giallo, Rai 3, 1989).

Una misteriosa complice mai trovata:

Anche qui, in prossimità del pozzo, è ritrovato del nastro adesivo, lo stesso tipo di nastro usato per avvolgere la testa di Antonella, su cui sono stati rinvenuti capelli biondi di donna.
Chi fosse questa donna non si è mai saputo, una probabile complice? Forse. E’ possibile che Michele Vinci, da solo, abbia potuto architettare tutto questo? Il dubbio c’è. Dal carcere, due anni dopo la tragedia, Vinci scrive alla moglie Anna Impiccichè:
“Lascia pure che la gente creda che io sia il diretto colpevole. L’ho fatto per salvare te e i mie familiari, anche se non conosco le persone che hanno voluto questo” (tratto da una lettera scritta da Michele Vinci, pubblicata sul IL VOMERE di Marsala, ottobre 1973).
A complicare la vicenda, ci sarebbe anche un alibi. La notte tra il 25 e il 26 ottobre 1971, data dell’uccisione di Antonella Valenti, Michele Vinci è in casa dei suoceri, per incontrarsi con i familiari arrivati dalla Germania, insieme con lui, per tutta la notte, c’è la moglie, Anna Impiccichè.
Per questo, il giudice Libertino Russo ipotizzò la possibilità dell’esistenza di complici, nel perpetrare tali oscuri delitti.

Nessuna infermità mentale: agì in piena coscienza

La seconda perizia psichiatrica, ottobre 1972, accorda i medici su un unanime verdetto: al momento dei fatti, Vinci era perfettamente capace di intendere e volere.
Quindi, Vinci ha agito in piena coscienza, non è seminfermo di mente, un maniaco, potrebbe essere invece il capro espiatorio di un affare spietato, orribile. La possibilità che si tratti di un complotto mafioso è razionalmente concepibile. Davanti ai giudici, prima di muovere accuse contro Nicola De Vita, Vinci aveva affermato:

Prima del fatto, poco prima, … Un tizio che non conoscevo, con un berretto in testa, mi ha avvicinato e mi ha chiesto un passaggio in macchina. Mi ha detto – Lei non lavora alla S. Giovanni? Oggi è giovedì? Oggi deve fare una certa operazione. Non va alla scuola -. Ho capito subito. Mi sono sentito male. Lo sconosciuto mi ha invitato in un bar dove ho preso un bitter. Subito dopo è sparito. Non l’ho visto più. Sono andato a scuola. Speravo vi fosse solo Antonella. Invece non è stato così, c’erano anche le sorelline Marchese e dovetti prenderle pure”.

Le tessere di questo vecchio e incomponibile puzzle di cronaca nera rimangono così, sparse nella memoria. Il Mostro, quello giudicato tale e per questo condannato, è poi uscito dal carcere nel 2002. Vive nella Tuscia, in un paesino in provincia di Viterbo. Giù in Sicilia, a Marsala, non è più tornato.

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