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Il petrolio in Italia: la situazione reale dopo il referendum

Si è concluso come in molti avevano previsto il referendum sulle trivelle; nessuno stop alle trivellazioni a causa del mancato raggiungimento del quorum per validare la consultazione.
Risultato di ciò, continueranno le estrazioni di petrolio nei mari italiani entro le 12 miglia e fino a che ci saranno riserve da sfruttare. Senza quindi una scadenza fissa.
Il referendum quindi è ormai acqua passata: quello che è interessante evidenziare a questo punto è come si andrà avanti in tema di trivellazioni; capire la situazione relativa al petrolio in Italia, alle piattaforme già esistenti, a quanto petrolio riescono ad estrarre. Cerchiamo di approfondire la questione.

Piattaforme petrolifere in Italia:

Ad oggi sono 88 le piattaforme esistenti entro le 12 miglia e fanno capo a 31 concessione per estrarre gaso petrolio. Si trovano per lo più nell’Adriatico, ma ci sono anche nello Ionio e nel mare di Sicilia.
Con l’esito negativo del referendum, si potrà continuare ad estrarre materie prime da queste piattaforme fino a tutta la durata di vita utile del giacimento. Per un tempo quindi indefinito.
Il che per molti rappresenta una anomalia perchè è di per sè anomalo che una risorsa dello Stato venga data in concessione senza limiti temporali prestabiliti. Ma tant’è.
Le piattaforme resteranno queste, o almeno dovrebbero, perchè la legge di Stabilità ha bloccato il rilascio di nuovi permessi; fattore che tuttavia non impedisce di perforare nuovi pozzi e costruire nuove piattaforme all’interno di concessioni già esistenti.

A quanto ammonta la produzione di petrolio in Italia:

Un settore molto florido che offre occupazione a un ampio numero di lavoratori; si parla di circa 13mila persone. Il tutto per una produzione di petrolio che, in Italia, arriva a quasi 543mila tonnellate; questo il dato relativo al 2015. Per il gas si parla di 1,84miliardi di smc (standard metro cubo).
Tale è il numero legato alla produzione entro le 12 miglia; quella per capirci che è stata soggetta a referendum. Il totale di produzione italiana, tra mare e terra, arriva a circa 7miliardi di smc per il gas; e a 5,5 milioni di tonnellate di petrolio.
A fronte di questi dati è interessante sapere che in Italia si consumano ogni anno circa 67miliardi di smc di gas e 57 milioni di tonnellate di petrolio. Numeri in netto calo negli ultimi 10 anni, segno di un approvvigionamento energetico sempre più diversificato.

La questione delle royalty:

E veniamo ora ad un’altra questione delicata; quella legata alle royalty. Le royalty rappresentano il valore di una quota percentuale del greggio o gas estratto che le compagnie petrolifere che estraggono idrocarburi in Italia devono versare allo Stato.
Per dirla in sintesi, la somma versata dalle compagnie in cambio dello sfruttamento commerciale di un bene; l’Italia impone royalty molto basse. Circa il 7% del valore del petrolio estratto in mare, e circa il 10% del valore del petrolio estratto in terra o del gas.
Percentuali tra le più basse al mondo. E ci sono alcune piattaforme che non pagano proprio poichè, grazie ad una franchigia, sono esenti al pagamento le prime 50mila tonnellate di petrolio e i primi 80mila metri cubi di gas estratti off shore.
Nel 2015 il totale delle royalty pagate a Stato ed enti locali è stato pari a 351 milioni di euro. Solo il 21% delle piattaforme presenti nei mari italiani versa royalty.

Le piattaforme sono sicure?

Altro aspetto non da poco, quello legato alla sicurezza delle piattaforme italiane. Tema del quale si dibatte molto. Tra le piattaforme presenti in Italia circa la metà risale a 30 anni fa, ovvero prima del 1986 data nella quale entrò in vigore la legge che istituì le procedure di valutazione di impatto ambientale.
In sostanza, circa la metà delle piattaforme entro le 12 miglia non è mai stata sottoposta a procedure di verifica di impatto ambientale. Il rischio di cedimento strutturale sarebbe quindi presente e, contando che si tratta di impianti entro le 12 miglia e quindi vicini alla costa, un eventuale incidente potrebbe avere effetti deleteri sull’ambiente.
Per questo motivo nel 2010 l’allora governo Berlusconi decise di bloccare, sull’onda dell’emotività legata all’incidente avvenuto in Messico su una piattaforma petrolifera, nuove attività di estrazione nei mari italiani.
Il governo Monti nel 2012 riaprì a nuove concessioni e, nel 2014, il governo Renzi tutt’ora in carica ha definito come ‘strategica’ l’attività di estrazione di idrocarburi. Quindi, l’attività non è più vincolata a consenso delle singole regioni.

Pubblicato in Inchieste

Scritto da

Giornalista indipendente, web writer, fondatore e direttore del giornale online La Vera Cronaca e del progetto Professione Scrittura

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