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Paolo Adinolfi: storia del magistrato scomparso nel nulla

È come se lei camminasse per la strada, a un certo punto c’è una buca, ci casca dentro e scompare. (Nicoletta Grimaldi Adinolfi)

Questa è la storia di un uomo svanito nel nulla. Una mattina è uscito per fare delle commissioni e poi, semplicemente, è scomparso. È la storia di una famiglia che, incredibilmente, si troverà a combattere una solitaria battaglia contro i mulini a vento, sbattendo contro un vero e proprio muro di gomma di inquirenti, istituzioni, falsi amici, veri nemici. È una storia di depistaggi, avvistamenti che danno l’idea di essere “sceneggiati”, di speranza e di dolore.

È la storia della scomparsa di un uomo che dopo aver passato l’intera vita a servire la Giustizia e le Istituzioni, da quelle istituzioni è stato prima isolato, poi insolentito, infine dimenticato. È la storia di mille indizi e suggestioni che chiamano in causa mezzo mondo – imprenditori falliti, alti magistrati, politici, criminali, faccendieri, riciclatori professionisti di soldi sporchi, pentiti da strapazzo, società fantasma, gli immancabili Servizi Segreti, la mai fuori moda Banda della Magliana, preti e mitomani – ma che alla fine non portano a niente. È la storia di un padre di famiglia premuroso, di un Giudice coscienzioso e integerrimo.

È la storia di Paolo Adinolfi, che una mattina è uscito di casa e non è più tornato.

Chi era Paolo Adinolfi

Paolo Adinolfi era nato a Roma, nel 1942; durante l’Università aveva conosciuto Nicoletta Grimaldi, che presto era diventata sua moglie. Laureatosi in Giurisprudenza e vinto il concorso in Magistratura partecipò, a Milano, alla stagione dei cosiddetti Pretori d’assalto, giovani magistrati che non temevano di mettere le mani nel torbido degli affari dei potenti. Era poi tornato a Roma nel 1977, lavorando a lungo presso la Sezione Fallimentare del Tribunale Civile di Roma; un bel giorno aveva chiesto ed ottenuto con inconsueta rapidità il trasferimento, alla Corte d’Appello.

Profondamente religioso, al limite del bigottismo per diretta ammissione dei suoi familiari, non perse mai quella spinta, quella profonda appartenenza al concetto più alto di Giustizia, dedicandosi al proprio lavoro indefessamente, anche fuori dall’orario stabilito, anche nel periodo feriale, anche quando la famiglia andava al mare. Anche il sabato.

La sparizione di Paolo Adinolfi

Ed era proprio un sabato quel 02 luglio del 1994 quando, contrariamente alle previsioni, decise di uscire di casa alle 09.00, camicia bianca e completo leggero blu, i grandi occhiali da sole poggiati sul naso, per svolgere alcune commissioni in zona tribunale. Faceva caldissimo, quel giorno. Era uno di quei sabati di luglio in cui la città sonnecchia, mezza svuotata da chi è partito per un weekend al riparo dall’afa, uno di quei giorni in cui ti sembra che l’aria sia tanto pesante da potersi toccare, in cui l’unico sollievo è l’assenza di traffico e l’insolita disponibilità di parcheggio.

Vedremo come questi due ultimi punti, atavici problemi della viabilità romana, avranno un ruolo nella scomparsa di Adinolfi.

Secondo le ricostruzioni successive il Consigliere Adinolfi raggiunge presto l’ufficio, fra le 10.00 e le 10.30 si reca nella biblioteca per ritirare due fotocopie di una sentenza. Non è da solo. Con lui c’è un giovane sui 30 anni, che l’inserviente presente quel giorno non ha mai visto, e al quale chiede se abbia bisogno di qualcosa. Adinolfi risponde No, è con me. Il giovane non verrà mai rintracciato.

È fatto certo che nel corso della stessa mattinata il Giudice si sia recato allo sportello bancario del Tribunale Civile in Viale delle Milizie per estinguere il suo conto e trasferirlo a Piazzale Clodio, evidentemente per motivi di praticità visto che è lì che da qualche tempo lavora. Alle Poste di Piazzale Clodio paga un paio di bollette per conto della madre. Un collega, che lo incrocia mentre esce dal Tribunale, lo descrive come in preda a preoccupazione, disagio.

All’ufficio postale per pagare le bollette

Se fino a questo punto le ricostruzioni sono confermate dalle testimonianze e da una certa logica, d’ora in avanti la questione si fa meno chiara.

La anziana madre di Adinolfi abitava ai Parioli, in un appartamento in cui il Giudice aveva un piccolo studiolo dove si dedicava ad alcune pratiche fuori dall’orario e dall’ambiente di lavoro. Si crede che fosse sua intenzione recarsi lì quella mattina. Sta di fatto però che il Consigliere non fa rotta verso l’appartamento di Via Slataper ma devia verso il Villaggio Olimpico, ai piedi dei Parioli, parcheggia l’auto in Via Svezia e percorre un chilometro a piedi, sotto il sole, per recarsi all’Ufficio Postale di zona, da cui spedisce alla moglie un vaglia di 500 mila lire che arriverà alla consorte esattamente una settimana più tardi. Ma perché?

È un comportamento semplicemente illogico: se è pur vero che spesso il Giudice parcheggiava in quella zona, in cui era ed è tuttora molto più facile trovare posto di quanto non sia ai Parioli, raggiungibili in poche fermate di autobus, non si vede per quale motivo lo abbia fatto in una giornata in cui in giro non c’era nessuno, una delle poche nel corso dell’anno in cui persino in Via Slataper era possibile sistemare comodamente l’auto. Ancora meno senso hanno la sfacchinata sotto il sole e la deviazione alle Poste con tanto di vaglia alla consorte. Era stato all’ufficio postale di Piazzale Clodio poco prima e non si vede il motivo di quel trasferimento di denaro.

Detto questo, se Adinolfi aveva in programma di andare a fare visita alla madre avrebbe dovuto appunto prendere l’autobus numero 3.

L’ultima testimonianza: sul bus verso Termini

Peccato che l’ultima testimonianza, quella di un suo vecchio amico e compagno di studi, avvocato, lo collochi dopo mezzogiorno sul bus numero 4 in direzione Stazione Termini. I due si sarebbero salutati e avrebbero avuto una breve e cordiale conversazione. Adinolfi gli avrebbe parlato della famiglia, in particolare della figlia, che era da poco tornata da Bruxelles e aveva una grande passione, da lui poco condivisa, per il diritto comparato. L’avvocato sarebbe poi sceso in Via XX Settembre, lasciando sul bus un Adinolfi sereno, normale. Le informazioni che il testimone riporta sulla figlia sono corrette, la descrizione che fa degli abiti del Giudice corrisponde.

Ma c’è anche qualcosa di strano. Nemmeno poco.

Adinolfi, lo abbiamo detto, scompare sabato 02 luglio; la notizia però diviene di dominio pubblico solo due giorni dopo, il lunedì pomeriggio, quando per la prima volta un tg riporta il fatto. Peccato che l’Avvocato telefoni al 113 per fare questa sua segnalazione la domenica, e il lunedì mattina la vada a mettere a verbale in Questura. Come faceva l’avvocato a sapere che Adinolfi era sparito?

Tutto quello che non torna nella sparizione

Singolare il fatto che il primo a porgli questa semplice domanda sia un giornalista di Chi l’ha visto?, addirittura nel 2009. Il testimone, ostile, si rifiuta di rispondere. Gli investigatori propendono per l’allontanamento volontario, nonostante la famiglia lo ritenga impossibile. Vista la profonda Fede del Giudice vengono fatte ricerche in diversi conventi e santuari, senza successo.

Ulteriore fatto strano è la comparsa, 72 ore dopo la sparizione, delle chiavi di casa e dell’auto del Giudice. Dove? Nella cassetta della posta della madre. Eppure quella mattina nessuno lo ha visto nel palazzo. La Bmw di Adinolfi verrà rinvenuta regolarmente parcheggiata in Via Svezia la notte fra il 02 e il 03 luglio, all’interno le bollette pagate per la madre. Se stava andando da lei perché non le ha portate con sé? Verrà fuori anche qualche altro presunto avvistamento: un pensionato dichiara di averlo visto intorno alle 13,30 di quel sabato sulla metro A. Sarebbe sceso a Piazza Vittorio. Tre giorni dopo invece se ne starebbe seduto da solo, secondo una testimone, ad un tavolo del ristorante Il Galeone, fino a mezzanotte.

La telefonata anonima al parroco e l’avvistamento a Grosseto

Il Parroco della chiesa di San Valentino, che Adinolfi frequentava, riceve una telefonata il 06 luglio. Dall’altro capo del filo un uomo che non parla, sospira e mette giù. Poi richiama Domani ci vediamo o ci sentiamo. Riattacca. Richiama ancora Al telegiornale hai parlato bene del Giudice. Sappi che è un mascalzone. Prima di riappendere assicura che il giorno dopo andrà in parrocchia, tra le 09.00 e le 09.30. La polizia lo aspetterà invano.

Più di un mese dopo c’è una segnalazione che assumerà contorni inquietanti. È il giorno di ferragosto e un automobilista chiama il 113 raccontando di avere raccattato sull’Aurelia, poco fuori Roma, un autostoppista, e di avergli dato un passaggio fino alla Comunità di Nomadelfia, in provincia di Grosseto. È sicuro che fosse Adinolfi. Non era lui. Era un Ragioniere, Francesco Tocci, ed effettivamente somiglia al Giudice scomparso.

La figura di Tocci

Il punto però non è questo. Il punto è che Tocci e Adinolfi si conoscevano. Il Ragioniere era stato più volte a trovare Adinolfi in ufficio, e aveva raccontato ad alcuni conoscenti che con il Giudice stava nascendo un’amicizia, lo aveva addirittura invitato in una sua proprietà di campagna che voleva adibire a centro Caritas, o qualcosa di simile. Differiscono le memorie di altri testimoni e della moglie di Adinolfi, che ricordano come Tocci fosse un soggetto petulante, abituale frequentatore del Tribunale in quanto ossessionato dalla propria causa di divorzio, al punto da dirsi intenzionato ad uccidere il giudice che l’aveva istruita.

Quel Giudice era Paolo Adinolfi. Sentito sul punto, Tocci rimarcherà di aver visto lo scomparso un paio di volte, di avergli effettivamente parlato dei suoi progetti assistenziali e di averlo ricevuto in campagna. Curiosamente non ricorda che proprio quel magistrato così gentile e disponibile aveva presieduto le prime udienze della sua causa di separazione. Ad ogni modo, chiarisce, quale che fosse il Giudice lui non aveva motivi di risentimento, stava solo facendo il suo mestiere. Rimane quantomeno strano il fatto che il ragioniere compaia sul ciglio dell’Aurelia, il giorno di ferragosto, in cerca di un passaggio verso una comunità chiusa di cattolici che vivono in isolamento, in una versione meno divertente e, visto il contesto, più inquietante de Il Sorpasso di Dino Risi.

Una donna dichiara poi di averlo visto il 17 luglio a Isola Maggiore una delle tre isole del Lago Trasimeno. Il Trasimeno tornerà in altre due telefonate anonime, la prima arriva nuovamente alla chiesa di San Valentino. – Il Dottor Adinolfi se lo volete trovare è nel Lago Trasimeno. – Dove? – Al centro, al centro. La seconda la riceverà invece la cognata del Giudice Non lo cercate da altre parti, perché si trova nel Trasimeno, dove è morto il 27 luglio.

La Sezione Fallimentare del Tribunale Civile di Roma

Telefonate, avvistamenti, strani ritrovamenti, gli inquirenti che credono all’allontanamento volontario; ma cosa è successo a Paolo Adinolfi? Per capirlo bisogna fare un passo indietro, e dare un’occhiata dentro alla Sezione Fallimentare del Tribunale Civile di Roma.

Il 07 gennaio del 1949, al Teatro delle Arti di Roma, debutta in prima assoluta un dramma in prosa scritto da un alto magistrato che fu anche uno dei più importanti drammaturghi del nostro 900, Ugo Betti. Il titolo è eloquente: Corruzione al Palazzo di Giustizia. In breve, si può dire che il dramma affronta i complessi rapporti che intercorrono fra Giustizia e Morale.

Una quarantina di anni dopo la situazione della Procura di Roma è tutt’altro che limpida, se è vero che questa viene definita Il Porto delle Nebbie, per via delle tante inchieste che si intoppano, dei mille processi che non vanno a dama. Alla Sezione Fallimentare le cose vanno ancora peggio.

La necessità di reinvestire i profitti delle attività criminali

Fra la fine degli anni 70 e l’inizio dei 90, svariate organizzazioni criminali attive sul territorio nazionale, individuano la necessità di reinvestire nell’economia legale i proventi delle attività illecite. Si diffonde quindi l’utilizzo delle teste di legno, prestanome che risultano a capo di aziende, in quanto i soci occulti, per varie ragioni che è facile intuire, non possono figurare. Dilaga l’utilizzo di società fantasma, matrioske, scatole cinesi, che vengono riempite e svuotate di denaro a seconda delle esigenze dei truffaldini detentori e, quando non servono più, vengono mandate in fallimento. Poi ci sono le ingenti somme di denaro promesse quando una società proprio non deve fallire o è necessario insabbiare.

Senza entrare nel merito da un punto di vista tecnico, ci limitiamo a riportare come fosse voce diffusa e successivamente accertata che, alla Sezione fallimentare, fosse da tempo in piedi quello che i testimoni definiranno Commercio di Sentenze. Inoltre, sarebbe pratica comune anche un singolare criterio di assegnazione delle pratiche di fallimento. Certi magistrati vanno bene, altri no. Un avvocato, tanto per cambiare anonimo, chiama casa Adinolfi tempo dopo la scomparsa e racconta In tribunale lo sapevano tutti: certe cause non dovevano andare ad Adinolfi. Altri diranno che alla Fallimentare c’era una linea, dettata dal Presidente O fai così o sei fuori.

Un magistrato con l’alto senso della Giustizia

Adinolfi era fuori. L’alto senso che aveva della Giustizia, la profonda dedizione verso il suo lavoro, facevano di lui un uomo neanche incorruttibile, semplicemente inavvicinabile. Arrivava a non frequentare ambienti e situazioni, anche nel privato, che a suo dire avrebbero potuto metterlo in imbarazzo per il suo lavoro. E non parliamo di circoli d’elite o locali privatissimi. Il Giudice non andava a teatro, non andava ai concerti se c’era il rischio che quella sera potesse incrociare qualcuno che potesse anche lontanamente avere a che fare con le sue attività di indagine. Non stupisce quindi che Adinolfi non si fosse fatto la minima remora ad andare a pestare i piedi a gente importante e pericolosa, guadagnandosene l’inimicizia.

Inimicizia che, in certi ambienti, tende ad avere conseguenze letali. Quando, dopo una prima archiviazione che sposava la tesi dell’allontanamento volontario, l’inchiesta verrà riaperta, la lente di ingrandimento punterà proprio sull’attività professionale di Adinolfi, e sulle ragioni che lo avevano spinto a lasciare in fretta e furia la Fallimentare.

I casi spinosi che aveva dovuto trattare

Negli ultimi anni a Viale delle Milizie aveva avuto a che fare con una serie di casi rognosi che lo avevano portato a scontri dentro e fuori le carte. La goccia che fa traboccare il vaso risale al 1991, quando, mentre Adinolfi si trova in ferie, un suo provvedimento viene revocato dal Giudice che lo sostituisce. Una volta rientrato si trova davanti al fatto compiuto. Vedendo venire meno il sostegno che pensava di meritare, sentendosi isolato, Paolo Adinolfi decide che non ne può più e chiede il trasferimento. Gli viene concesso nel corso della stessa giornata.

Ascoltati dagli inquirenti dopo la scomparsa, praticamente tutti i colleghi forniscono una risposta identica, che si può sintetizzare così Adinolfi aveva un brutto carattere. Manca totalmente l’empatia, il sostegno, lo spirito di corpo che si dovrebbero rilevare in un caso come questo. L’attenzione alla storia del Giudice scomparso è praticamente inesistente. Fosse scomparso un suo collega si sarebbero smossi mari e monti, diranno i familiari e i pochi amici. La moglie di Adinolfi ebbe a dire che il marito era preoccupato di aver pestato i piedi a gente pericolosa.

Quell’impressione di essere pedinato

Francesco Chiofalo, amico e collega, dichiara agli inquirenti che pochi giorni prima della sua scomparsa Adinolfi gli avrebbe confidato Se mi fanno saltare la mosca al naso… ho un cassetto pieno di documenti. Non gli dice di che tipo, o su chi, ma la suggestione è forte.

Nell’ultimo periodo il Giudice aveva confidato di avere l’impressione di essere pedinato. E questo fornirebbe una spiegazione ad almeno un paio degli illogici comportamenti tenuti da Adinolfi quella mattina: la passeggiata sotto al sole e il vaglia. Il Giudice, nel corso della mattinata, avrebbe avuto il sospetto che qualcuno lo stesse seguendo. A quel punto, per togliersi il dubbio, si sarebbe diretto verso il Villaggio Olimpico, deserto. Avrebbe poi parcheggiato la macchina in un posto qualunque e percorso un chilometro a piedi valutando la presenza di eventuali accompagnatori. Lascia le bollette in macchina in quanto non sta andando a casa della madre. Giunto in prossimità delle Poste entra e compie un’operazione che richiede un tempo minimo, così da verificare se all’uscita avesse trovato nuovamente qualcuno ad attenderlo. A questo punto Adinolfi sparirebbe, prelevato da qualcuno. La strana testimonianza dell’amico avvocato, a questo punto, sarebbe il primo depistaggio.

Quella testimonianza che era pronto a deporre

Due giorni dopo la sparizione Adinolfi sarebbe dovuto andare a Milano, dal PM Carlo Nocerino. Nel 1994 c’erano ancora gli strascichi di Tangentopoli, di lì a poco si parlerà di inchiesta Toghe sporche, con una pioggia di accuse di corruzione ai danni di magistrati romani e non solo.

Era stato Adinolfi a contattare il collega, spiegandogli di voler essere ascoltato come privato cittadino e non come magistrato, su fatti di cui era venuto a conoscenza. Pochi giorni dopo svanisce nel nulla.

Riapertura dell’inchiesta

L’inchiesta viene riaperta quando fa la sua comparsa sulla scena il collaboratore di giustizia Francesco Elmo, nel 1996. Si tratta di uno di quegli strani personaggi che ogni tanto compaiono nella Storia della nostra Repubblica (specie se parliamo del periodo che va fra i 70 e il 90) e cominciano a raccontare fatti appresi non si sa bene da chi, non facilmente verificabili, che però una logica ce l’hanno e che, dopo un primo momento in cui sembrano fornire una chiave di lettura efficace, si rivelano fumo negli occhi.

Tira fuori una frase che spesso si legge in storie come questa Ci sono di mezzo i Servizi Segreti. Effettivamente mancavano solo loro. La ricostruzione è tortuosa, Elmo parla di incontri segreti nella hall di un albergo di lusso nel centro di Roma (si confonde anche fra Sheraton e Hilton), ma il senso è chiaro. Esponenti del SISDE e del SISMI (fra cui Mario Ferraro, protagonista di una morte altrettanto misteriosa nel 1995) sarebbero stati implicati in traffici poco limpidi riguardanti società fantasma la cui attività principale era la compravendita di società in via di fallimento, con tanto di impiego di denaro pubblico. Adinolfi lo avrebbe scoperto e sarebbe stato Sisdemato, secondo il titolo che la semisconosciuta agenzia di stampa

Caso Adinolfi: il giudice fu Sisdemato?

PubliCondor dedicata al fatto: Caso Adinolfi: il giudice fu Sisdemato? Secondo l’articolo Adinolfi era in procinto di rivelare al Pm milanese Nocerino le proprie scoperte sugli investimenti miliardari di esponenti dei Servizi Segreti, coinvolti in reati come bancarotte fraudolente, falsi, peculati, compravendita fittizia di immobili. Braccio esecutivo della sparizione del Giudice sarebbe stata la più importante Agenzia disbrigo pratiche romana, la Banda della Magliana.

Sembra il solito calderone alla carbonara, che salta fuori periodicamente – Sequestro Moro, Strage di Bologna, Emanuela Orlandi e così via – quando c’è da spiegare un mistero.

L’ultima segnalazione

L’ultima voce che innesca un’accelerazione delle indagini risale al 1997. Ad una cena, una di quelle che a Roma si tengono tutte le sere e che fanno un po’ La grande Bellezza un po’ Simpatici e Antipatici di Christian De Sica, qualcuno dice serenamente Paolo si sa benissimo dov’è. E indica la villa di un noto pregiudicato romano come il luogo in cui sarebbero seppellite le spoglie del Magistrato. Alla cena sono presenti due parenti di Adinolfi che, come è ovvio, riportano la voce. Le ricerche non condurranno a nessun esito, pur lasciando il dubbio.

Giudice integerrimo e mosca bianca

Certo che, pur senza prove, i conti sembrano tornare. Un Giudice integerrimo, una mosca bianca in un ambiente corrotto e opaco, va avanti da anni per la sua strada. Non solo ha smascherato criminali e faccendieri, è arrivato a sfere più alte, ha capito cose sulla magistratura italiana che altri capiranno una ventina di anni più tardi. Ha rotto le scatole a tutti, resistendo all’isolamento, all’ostilità, alle sentenze aggiustate che hanno insultato il suo lavoro. Perché aveva una cosa dalla sua: la sua memoria, i suoi collegamenti che, se pure erano stati cancellati nei documenti ufficiali, rimanevano nel suo archivio personale. Aveva deciso di tirarli fuori perché, sì, gliela avevano fatta saltare la mosca al naso.

Dall’altra parte però sono in troppi: i colleghi che verrebbero sputtanati dalle sue dichiarazioni, e che guarderanno alla sua scomparsa sempre con disinteresse, quasi con irrisione, gli agenti dei servizi segreti, gli imprenditori, i funzionari, i criminali che, se possono far fuori uno che gli sta sulle palle, ci tengono particolarmente a togliersi lo sfizio in prima persona. Siamo in un periodo storico in cui la Teoria del Mondo di Mezzo è praticata costantemente, questa convergenza di interessi fra alto e basso la ritroviamo spesso.

Sparizione possibile solo con la regia di un’organizzazione criminale

Una sparizione così oscura, così poco lineare di un uomo assolutamente lineare, è possibile solo con la regia occulta di un’organizzazione criminale che aveva l’interesse a confondere le acque.

Il punto, per la famiglia Adinolfi, non è nemmeno questo. Quando muore una persona, anche se in maniera tragica, violenta, si prova un dolore acuto e inconsolabile; ma ci sono una serie di momenti, di occasioni, di eventi che ti aiutano a fare i conti con quel dolore, a lenirlo, forse anche a comprenderlo e ti porteranno a superarlo. La notizia che un tuo caro non c’è più, il funerale, gli abbracci degli amici, le visite sulla tomba per portare un fiore.

Quando una persona cara scompare invece, si prova un dolore diluito nel tempo, appiccicoso, incrollabile. Che ti fa fare i conti con l’assenza ogni Natale, ogni compleanno, ogni matrimonio di famiglia. Che ti fa girare l’occhio ogni volta che vedi un barbone per strada, qualcuno che fisicamente ti ricorda chi manca. Perché il nemico più acerrimo della famiglia di uno scomparso è la speranza.

L’ANM ha dimenticato Adinolfi?

L’Associazione Nazionale Magistrati, gli organi di categoria, le Istituzioni non ricordano mai Paolo Adinolfi fra i magistrati caduti. Non lo ricordano proprio mai, in nessuna circostanza. È come se non fosse sparito solo il suo corpo, ma anche la sua memoria.

Paolo Adinolfi era un uomo retto, un servitore dello Stato di cui andare fieri. Soltanto la famiglia e pochi altri si battono perché il suo ricordo non si perda e, magari, un domani ci sia una tomba su cui posare un fiore.

Uno Stato degno dovrebbe battersi con loro.

Edoardo Ciufoletti

Edoardo Ciufoletti è attore e autore teatrale. Da sempre studioso e appassionato di cronaca nera.