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Paradisi fiscali: cosa sono e come funzionano

I paradisi fiscali continuano ad essere oggetto di accanita discussione soprattutto in un Paese, come il nostro, ove l’evasione fiscale tocca livelli elevatissimi sottraendo preziose risorse al Fisco.
Per capire le dimensioni del fenomeno basterebbe ricordare le cifre fornite da Eurispes, in un rapporto secondo il quale l’evasione fiscale in Italia si attesterebbe tra i 250 e i 270 miliardi di euro all’anno. Una cifra mostruosa, che consegna all’Italia la maglia nera a livello europeo e sembra destinata a rinfocolare le polemiche in un Paese ove pure i furbetti vengono spesso premiati da condoni mai digeriti dai contribuenti onesti.
Capitali che per la maggior parte si dirigono proprio verso i paradisi fiscali, ovvero quei Paesi che propongono legislazioni estremamente convenienti per chi decida di portarvi la propria residenza fiscale. Il tutto frutto anche, come abbiamo visto, della diffusione di nuove discipline tese a supportare il cliente che voglia pagare meno tasse: come l’escapologia fiscale.

Quali sono i principali paradisi fiscali

Se spesso si indicano come paradisi fiscali località esotiche o stati minuscoli, che per poter arrivare ad un certo livello di benessere propongono la strada di un trattamento fiscale di assoluto favore, va precisato che nella realtà i paradisi fiscali esistono anche all’interno del continente europeo e della stessa Unione Europea.
Basti pensare al caso della Svizzera, che è meta di evasori fiscali sin dagli anni ’30 del secolo passato e che continua a proporre un proficuo ristoro a chiunque voglia sottrarsi a regimi fiscali molto più duri. Una meta praticata da moltissimi italiani, ad esempio, che non hanno esitato nel corso degli anni a servirsi dei famigerati “spalloni”, ovvero coloro che passavano il confine con l’Italia per portare poi i soldi nelle banche elvetiche.

Paradisi fiscali in Europe e negli Usa

Oltre alla Svizzera il continente europeo propone però altri paradisi fiscali, ovvero Paesi Bassi, Irlanda, Lussemburgo e Malta, che nonostante la fama acquisita non vengono comunque inclusi in alcuna blacklist da parte delle istituzioni comunitarie, attirando quindi un gran numero di imprese alla ricerca di trattamenti fiscali più favorevoli rispetto a quelli dei Paesi d’origine.
Un po’ quello che succede nel caso della FCA, la società nata dalla fusione tra FIAT e Chrysler, la quale ha deciso di eleggere come propria residenza fiscale proprio il Paese dei mulini a vento.
Anche gli Stati Uniti hanno il loro paradiso fiscale, rappresentato dal Delaware, stato estremamente piccolo che proprio grazie alle scappatoie fiscali è riuscito ad aumentare in maniera notevole il proprio livello di benessere. A renderlo tale è il fatto che il 60% delle società che fanno parte della classifica Fortune 500 ha deciso appunto di domiciliarsi a Wilmington, la capitale dello Stato.

Soscietà off-shore: ecco come si evade il Fisco

Ma l’elenco complessivo dei paesi del mondo considerati paradisi fiscali, come su può leggere su sito di economia Finanzamia, sarebbe ben più lungo e articolato e segue le indicazioni fornite ogni anno dall’Agenzia delle Entrate che traccia la cosiddetta blacklist dei paesi sotto la lente.
Lo strumento che viene utilizzato per sottrarre risorse al fisco è solitamente quello delle società off-shore, ovvero quelle fuori giurisdizione. Grazie ad esse i paradisi fiscali sono in grado di garantire non solo un trattamento fiscale di favore, ma anche un livello di privacy elevatissimo e il segreto bancario. Per violare quest’ultimo i magistrati inoltrano richieste che sono generalmente rimandate al mittente oppure ostacolate in maniera da scoraggiare chiunque intendesse fare luce su un determinato conto.

Il fenomeno dei paradisi fiscali nella storia

Va peraltro sottolineato che, contrariamente a quanto si potrebbe credere, il fenomeno dei paradisi fiscali non è nato in epoca recente, ma addirittura nel ‘600, quando molti padri pellegrini optarono per il Nuovo Mondo proprio al fine di sfuggire al regime fiscale inglese, reputato alla stregua di un’oppressione.
Nacque così quello che gli storici giudicano il primo paradiso fiscale, in anticipo di qualche decennio rispetto alle Cayman, almeno a giudicare da una leggenda di vecchia data, secondo la quale le isole si sarebbero guadagnate questo status grazie ad un pugno di marinai del luogo che alla fine del secolo successivo avrebbero provveduto a salvare alcune navi inglesi dal naufragio.
Un gesto che fu ricompensato da Giorgio III con la promessa che la località non sarebbe mai stata oggetto di tassazione da parte delle autorità coloniali.

La storia dello studio Appleby

Naturalmente la questione torna ad aleggiare con forza sulla politica ogni qual volta escono liste di personaggi coinvolti nelle operazioni tese a sottrarre risorse al fisco del proprio Paese. Come è successo ad esempio nel 2017, quando un consorzio di giornalismo investigativo, l’Icij, è entrato in possesso di un elenco di clienti registrati presso lo studio Appleby proprio al fine di portare a termine le manovre tese ad aggirare le autorità fiscali.
La domanda che in molti si pongono, in queste occasioni, è la seguente: come mai le autorità centrali dei Paesi che si vedono sottrarre ingenti risorse alla tassazione, non fanno praticamente nulla per arginare il fenomeno?

Perché nei paradisi fiscali non si combatte l’evasione

La risposta la fornisce proprio un fatto emerso in margine all’inchiesta dell’Icij, ovvero la presenza di 120 politici di alto livello, tra i quali numerosi Premier e ministri, nella lista in questione. Di fronte ad una realtà di questo genere non riesce difficile capire come alle parole e ai proclami contro l’evasione fiscale, difficilmente faranno seguito i fatti.
Anche perché in molti casi anche i cittadini meno noti possono avere il loro interesse ad un regime che lasci ampi margini di manovra per chi non voglia ottemperare ai propri doveri di cittadino.

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