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Cronaca Vera: storia del giornale di cronaca e costume

01/07/2025

Nella storia editoriale italiana del Novecento, poche testate rimangono indelebili nella memoria pubblica, continuando ancora la loro attività, come Cronaca Vera. Fondato nel 1969 da Sergio Garassini, il periodico settimanale non si è limitato a informare, ma ha saputo intercettare e, in un certo senso, cambiare il gusto popolare, diventando un vero e proprio fenomeno di costume.

La sua storia è un viaggio attraverso le vicende più oscure e i drammi più intimi dell’Italia, narrati con uno stile inconfondibile che ha generato tanto successo quanto critiche, tracciando una via distintiva nel giornalismo di cronaca nera e intrattenimento.

La nascita di un fenomeno di massa

Cronaca Vera nacque in un’Italia in pieno fermento, in un decennio, quello degli anni ’60, che vedeva il culmine del boom economico e l’accelerazione di profonde trasformazioni sociali e culturali. Il Paese stava vivendo una modernizzazione rapida, le città si espandevano e una nuova cultura di massa cominciava a emergere con forza, alimentata da una televisione sempre più presente nelle case e da una crescente sete di informazione e intrattenimento.

In questo scenario, il mercato dell’editoria popolare era in forte espansione, con settimanali di varia natura che spaziavano dal fotoromanzo al gossip, fino alle prime forme di giornalismo più investigative ma sempre con un occhio al coinvolgimento emotivo del lettore.

Raccontare la cronaca nera

Fu proprio in questo contesto che l’intuizione di Sergio Garassini si rivelò vincente. Garassini lanciò Cronaca Vera con una proposta editoriale audace e, per l’epoca, innovativa: raccontare la cronaca nera non come semplice resoconto giudiziario, ma come un dramma umano, un vero e proprio spettacolo della realtà. L’idea era quella di portare nelle case degli italiani le storie più crude e sorprendenti, spesso accompagnate da immagini forti e titoli a effetto, che si discostavano dalla sobrietà di altri quotidiani e periodici del tempo. Il suo appeal risiedeva proprio nella capacità di dare voce e volto alle vicende che più colpivano l’immaginario collettivo, spesso legate a crimini passionali, misteri irrisolti o scandali che coinvolgevano persone comuni, ma anche figure note.

Il formato e lo stile editoriale

Ciò che ha reso celebre e immediatamente riconoscibile Cronaca Vera è stato indubbiamente il suo formato e il suo stile editoriale distintivo. Le copertine, spesso a colori accessi e con grafiche impattanti (sebbene le foto interne fossero prevalentemente in bianco e nero per molti anni), erano dominate da titoloni a carattere cubitale e a effetto, capaci di catturare immediatamente l’attenzione del lettore e di evocare un senso di urgenza, dramma o mistero. La fotografia giocava un ruolo centrale nella narrazione: immagini spesso crude, talvolta esplicite o suggestive (pur cercando di rispettare, con le sensibilità dell’epoca, i limiti della decenza pubblica), contribuivano a rafforzare l’impatto emotivo delle storie narrate.

Linguaggio diretto e narrazione romanzesca

All’interno delle pagine, gli articoli erano scritti con un linguaggio diretto, popolare e fortemente coinvolgente, che si discostava dal gergo giuridico o accademico, prediligendo una narrazione quasi romanzesca. Si attingeva spesso a dettagli che potevano apparire macabri o a testimonianze scioccanti, proponendo ricostruzioni suggestive degli eventi, facendo leva sul pathos e sulla drammaticità delle situazioni. Ogni storia era trattata come una tragedia in atto, con un focus sul “perché” umano e sulle motivazioni (spesso passionali o legate a dinamiche interpersonali) dietro i fatti di sangue, piuttosto che sulla mera e fredda ricostruzione investigativa o processuale. Un mix sapiente di cronaca nera, vicende di costume e un pizzico di gossip legato a scandali permetteva a Cronaca Vera di toccare gusti diversi nel pubblico, garantendosi una fetta ampia e trasversale di lettori, dalle casalinghe agli operai, curiosi di affacciarsi su un mondo di passioni estreme e misteri della quotidianità.

L’età d’oro di Cronaca Vera

Gli anni ’70 e ’80, a cavallo tra la fine del boom economico e un periodo di crescenti tensioni sociali, rappresentarono l’età d’oro per Cronaca Vera. In un’epoca in cui la televisione stava diventando sempre più influente ma non era ancora così pervasiva e onnipresente come oggi, e le fonti di informazione erano più segmentate, il giornale divenne un appuntamento fisso per milioni di italiani. La sua capacità di portare alla luce storie che altri media, percepiti come più “rispettabili” o legati a un’informazione più istituzionale, tendevano a ignorare o a trattare con maggiore cautela e distacco, ne fece una pubblicazione unica e molto popolare. Il successo di casi di cronaca che divennero veri e veri fenomeni nazionali, come delitti efferati irrisolti, scomparse misteriose o scandali di provincia che svelavano lati oscuri delle comunità, era spesso amplificato dalla copertura dettagliata e, talvolta, spregiudicata di Cronaca Vera.

Dinamiche psicologiche e sociali nella cronaca nera

Il settimanale si trasformò in un punto di riferimento per quel segmento di pubblico che cercava non solo informazioni sui fatti di cronaca, ma anche il lato umano, le dinamiche psicologiche e le implicazioni sociali profonde che i delitti portavano con sé. Le sue vendite raggiunsero cifre molto alte, testimoniando un’enorme popolarità e un’influenza non indifferente sul dibattito pubblico, seppur spesso in modi indiretti e più legati alla percezione popolare. Era un giornale che si trovava nei saloni dei barbieri, nelle sale d’attesa dei medici, nelle edicole di ogni paese e quartiere, diventando un pezzo della quotidianità e dell’immaginario collettivo italiano.

Le critiche e il sensazionalismo esagerato

Naturalmente, il successo e lo stile di Cronaca Vera non furono esenti da aspre critiche e intense controversie. Accuse di sensazionalismo esasperato, di sciacallaggio mediatico sulle tragedie altrui e di mancanza di rigore giornalistico furono all’ordine del giorno, provenienti sia dagli ambienti professionali che dall’opinione pubblica più critica. Spesso, il giornale era accusato di spettacolarizzare il dolore, di invadere la privacy delle vittime e delle loro famiglie con dettagli morbosi, e di anteporre il richiamo della notizia (o della foto più cruda) alla verità processuale dei fatti o alla dignità delle persone coinvolte. La ricerca del particolare scabroso o del dettaglio raccapricciante fu un marchio di fabbrica riconosciuto, ma anche un bersaglio costante per chi promuoveva un giornalismo più etico, misurato, rispettoso delle persone e in linea con i principi della professione di giornalista.

Giornale di nicchia ma di grande impatto culturale

Il dibattito sulla deontologia professionale, sulla presunzione di innocenza e sul diritto alla privacy si infiammava spesso proprio a causa dello stile adottato da Cronaca Vera. Nonostante le critiche e le pressioni, la testata ha mantenuto per decenni la sua linea editoriale, spesso giustificandola come una risposta alla curiosità innata del pubblico e un modo per dare visibilità a storie che altrimenti sarebbero rimaste nell’ombra o trattate con minor risalto. Questa resistenza alle critiche, pur con qualche seppur lieve aggiustamento nel corso degli anni, ha contribuito a definire il suo status di “giornale di nicchia” ma di grande impatto culturale e di vendita, distante dal giornalismo mainstream ma profondamente radicato in un certo segmento dell’immaginario popolare italiano, pubblicato per oltre 50 anni, fino alla recente chiusura con l’ultimo numero, il 2733, avvenuta lo scorso gennaio 2025.

Matteo Di Medio

Giornalista - Content Manager presso Linking Agency; Caporedattore e Autore presso Giocopulito.it e Influentpeople.it