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Cerri – Savasta – Siviero: il triangolo amoroso mortale

Se dietro di sé non avesse lasciato tre morti, famiglie distrutte, una quantità di dolore e squallore che la metà basterebbe, questa storia ci metterebbe di fronte a un bivio. Si tratterebbe di scegliere tra farne un contemporaneo feuilleton – il sottogenere detto Romanzo d’appendice che tanto successo ebbe a partire dalla metà dell’Ottocento con le sue storie a tinte forti, rocambolesche, sempre sul ciglio di un burrone di emozioni travolgenti ma basiche – e una versione in salsa lombarda di Breaking Bad o Better Call Saul (manca la parte di produzione e spaccio di stupefacenti ma c’è tutto il resto, imprenditori rivali, storie d’amore tormentate e scagnozzi del Centro America pronti più o meno a tutto, oltre che l’inevitabile atto finale in tribunale) ambientata non nel deserto arido di Albuquerque ma in quello urbano del famigerato Hinterland Milanese.

Sarebbe piaciuta a Luigi Pirandello, questa vicenda, perché avrebbe visto nel volto di Ivana Siviero quello della perfetta interprete di Ersilia Drei, che nel suo Vestire gli ignudi annaspa divisa e combattuta fra due uomini che si rifiutano di uscire dalla sua vita, fino ad esserne schiacciata e scegliere di farla finita. In quel dramma di Pirandello Ersilia trova momentaneo conforto in un anziano scrittore che si innamora della sua storia tormentata e ne tira fuori un articolo romanzato, perché Le bugie già, che si chiamano anche storie. Ma non ha mica nessuna colpa, sa, di non esser vera, questa storia. Importa assai che non sia vera se poi è bella.

La storia di Ivana Siviero, Stefano Cerri e Stefano Savasta, però, è vera e non è per niente bella.

La sparizione di Stefano Cerri

È il 10/12/2008 e nevica, forte, da due giorni. Stefano Cerri, piccolo imprenditore nel campo della grafica di Gratosoglio, periferia sud di Milano, alle 18,40 telefona a casa. È una telefonata strana. Gli risponde la figlia e Cerri le chiede solo, in maniera concitata, dove sia sua moglie. La ragazza non sa rispondere, la mamma non è in casa, e la telefonata si interrompe velocemente. Quando la donna rientra viene informata dalla figlia e prova a richiamare il marito. Il cellulare è spento.

Sulle prime la donna non si allarma e non informa le forze dell’ordine. Quando in Tribunale gliene verrà chiesto conto darà una spiegazione che dice molto. Perché questa è sostanzialmente una storia di corna, e come tale, al di là delle tragiche conseguenze, va affrontata.

La Signora Cerri spiega che era in macchina con un collega, evidentemente non per un Test Drive, e avendo notato un’auto simile a quella del marito nelle vicinanze aveva creduto che questi la stesse seguendo. In sostanza pensava che Cerri avesse telefonato per avere conferma che sua moglie non fosse in casa e quella in macchina con un collega fosse lei. A posteriori non si può escludere che il senso della chiamata fosse questo, però di lì a poco succederà ben altro.

Storia di tradimenti tra coniugi

Cerri non rientra a casa ma la moglie, credendo alla tesi della ripicca fra cornuti, non si allarma. Quando la mattina successiva si presenta di fronte all’ingresso della Grafica Service e lo trova chiuso, con il telefono interno che squilla a vuoto e la macchina del marito parcheggiata lì davanti capisce che forse non è la reazione di un uomo geloso e chiama i carabinieri. Il timore è che Cerri si sia sentito male all’interno dell’ufficio, ma salta subito agli occhi un particolare non secondario: la saracinesca non è chiusa, è semplicemente calata fino a terra ma le serrature sono aperte. I carabinieri sentono il collaboratore di Cerri che racconta di essere andato via poco prima delle 18.00, mentre Stefano era rimasto.

La relazione extra coniugale di Cerri

Ancora una volta, la prima ipotesi è quella dell’allontanamento volontario. Gli inquirenti vengono immediatamente a sapere che il Cerri aveva una relazione extra coniugale stabile, con una donna di nome Ivana Siviero; la sera del 10 dicembre i due si sarebbero dovuti vedere ma era stata lei a cancellare l’impegno verso le 17,20. Non lo aveva più sentito e lo aveva cercato per tutta la serata e la mattina seguente fin quando, dal telefono della Grafica Service, la segretaria l’aveva informata che Cerri era scomparso.

A questo punto Ivana Siviero chiama immediatamente le forze dell’ordine e dice che, secondo lei, Cerri è stato ucciso dal suo ex amante, Stefano Savasta. Mi aveva giurato che l’avrebbe fatta pagare a me e al Nano di Gratosoglio.

Stefano Savasta

Savasta, sposato e padre di tre figli, è un affermato imprenditore del settore grafico, la sua Savagrafica serve aziende importanti e in questa storia ambientata nel grigio hinterland sembra l’unico che da un punto di vista economico e sociale può quantomeno affacciarsi sui colori vivaci della Milano da bere che per gli altri personaggi di quella periferia che prima era campagna rimane comunque un miraggio. Nonostante nelle immagini del Processo che, dobbiamo ripeterlo per l’ennesima volta, meritoriamente vengono trasmesse da Un giorno in Pretura appaia con il viso oscurato il suo atteggiamento da padroncino è evidente. Affronta la situazione di petto, regalando anche qualche gustoso scambio con il Pm Sangermano (i due a un certo punto regalano un gustoso siparietto in cui paiono due amici al bar che si confrontano sui concetti di tradimento e perdono chiamando in causa anche Liz Taylor e Richard Burton). Ogni suo intervento è condito da una salsa che recita: io con questa gente non ho niente a che spartire.

Ivana Siviero

Ivana Siviero è stata sua dipendente per quattordici anni e sua amante per quasi tutto il periodo. Anche se forse amante non è la parola giusta: la loro è stata una vera e propria storia d’amore di cui tutti in azienda erano a conoscenza. Bruno La Marca, che nelle intenzioni è per Savasta ciò che Mike Ehrmantraut è per Gustavo Fring (i risultati lo fanno sembrare più simile a Bombolo), dichiara in tribunale che la Siviero era semplicemente la donna del capo.

Savasta aveva persino fatto realizzare in azienda una camera da letto in cui appartarsi o addirittura rimanere per la notte con la Siviero. Lui, a Processo, la chiama Stanza – rifugio, qualcuno dotato di minore – o maggiore, a seconda dei punti di vista – vena poetica la chiamerebbe più prosaicamente scannatoio.

I due si scambiano lettere che sembrano partorite dal cuore palpitante di due adolescenti nemmeno troppo brillanti, che ricalcano lo stile di un contratto e fra le cui righe si possono leggere capolavori come

Mi impegno a vivere nella migliore delle maniere insieme alla signora I.S., avendone cura, abbracciandola e sbaciucchiandola continuamente […] fino a quando compirà i quarant’anni. La risposta è degna e Pirandello ne sarebbe estasiato. Sarà autorizzato da me, I.S., a spararmi un colpo mortale e porre fine alla mia vita solo se si sarà impegnato fedelmente a quanto sopra indicato, con la possibilità di prolungare il termine di anni tre, se il signor Savasta vorrà, all’Infinito.

La relazione nota a tutti tra Savasta e la Siviero

Ci sono poi lettere di promessa di amore eterno nonché di morte reciproca: il calderone a tinte forti comincia da qui. Viene ascoltata in Aula anche la moglie di Savasta, che dichiara di avere sempre sospettato una relazione fra i due (l’uomo aveva provato più volte con delle scuse a far dormire la Siviero a casa loro, persino riuscendoci in un paio di occasioni), ma di essere riuscita ad averne prova solo allo scoppiare del caso Cerri. Rivela inoltre di essere entrata poi nella stanza rifugio e che questa era assolutamente identica alla camera da letto che divideva con il marito nel loro appartamento, quadri compresi.

Precisa di esserne rimasta raggelata scandendo Non – è – nor – ma – le.

Dal dibattimento emerge il ritratto di un Savasta particolarmente possessivo, geloso di qualsiasi cosa. Nel 2001 aveva regalato alla Siviero un’auto: tempo dopo la donna, rendendosi conto che l’amante è a conoscenza di cose che lei non gli ha mai detto, sospetta che prima di consegnarle la macchina vi abbia collocato delle microspie.

Un intreccio amoroso alla base della sparizione di Cerri

Già dieci giorni dopo la scomparsa di Cerri i carabinieri avevano avuto modo di farsi un’idea dei rapporti fra i tre protagonisti della vicenda, convocando in un Ufficio della Terza Sezione della Squadra Mobile di Milano la Siviero, Savasta e La Marca e mettendoli, secondo uno schema classico, ad aspettare in una saletta intercettata.

La Siviero parte in quarta. Si rivolge al Mike del Naviglio Pavese con una domanda retorica: Tu vorresti dire che lui non mi ha mai insultato? Insiste: Non mi dire che non era geloso, possessivo e ossessivo. La Marca annuisce. La donna si rivolge quindi direttamente a Savasta: Tu dovevi farti i cazzi tuoi, io sono uscita dalla tua vita tempo prima del 24 novembre del 2006, hai continuato, hai continuato. Risposta: Tu mi hai promesso che non mi avresti mai lasciato. Savasta viene prelevato da un poliziotto, gli altri due restano soli e la Siviero si lascia andare a un flusso di coscienza: Lo odiava, non mi dire che non lo odiava, dai, perché lui era convinto che io l’avessi lasciato per lui, ma io l’avrei lasciato comunque. Dieci giorni che manca, dove può essere? Sottoterra, perché nessuno si tiene una persona sequestrata dieci giorni.

Fine della relazione tra Savasta e la Siviero

Nella fase finale della relazione con Savasta la Siviero è consapevole che le cose non vanno. I due rompono del tutto gli argini, litigando spesso anche di fronte ai dipendenti, non curandosi di svelare quello che oramai era per tutti o quasi un segreto di Pulcinella. Si lasciano nel 2006.

Savasta dichiarerà in aula che la relazione termina per una saturazione reciproca. Peccato che i suoi comportamenti successivi non somiglino molto a quelli di un uomo saturo, bensì a quelli di un uomo disperato, come lo definirà davanti ai giudici La Marca. Ivana Siviero racconta di aver ricevuto chiare minacce dall’ex e il suo Psicologo Primo Gelati, ascoltato come testimone, spiega che la donna gli aveva raccontato di aver paura a lasciare Savasta in quanto temeva di perdere fisicamente la  vita.

Il colpo di fulmine tra la Siviero e Cerri

Nel febbraio del 2006 la Siviero e Cerri, che si conoscevano perché l’azienda dell’uomo svolgeva alcuni lavori per quella di Savasta, iniziano una relazione. Anche questa diventa presto una storia sentimentale vera e propria, per quanto senza futuro; Cerri non aveva infatti intenzione di allontanarsi dalla figlia adolescente e la Siviero non contemplava la possibilità di abbandonare il marito disabile. La nuova coppia non deve guardarsi dalle famiglie in quanto la situazione era accettata (si è visto come anche la moglie di Cerri trovasse modo di svagarsi), più che altro deve prestare attenzione ai movimenti di Savasta.

Ivana Siviero per i primi mesi di frequentazione con Cerri è convinta che il suo ex non ne sappia nulla. Quando nove mesi dopo aver lasciato la Savagrafica vi fa ritorno per ritirare la liquidazione capisce che Savasta sa tutto di lei: dove lavora, che auto guida, con chi esce.

La Siviero e Cerri sono convinti che Savasta li faccia pedinare, assumono addirittura un investigatore privato che in Aula confermerà di avere accertato il fatto, nonostante l’imputato neghi con decisione.

Pedinamenti e angherie

Sul tema dei pedinamenti e delle angherie ai danni di Ivana Siviero sale in cattedra, in Tribunale, Bruno La Marca. L’uomo, che si è fatto qualche anno di carcere per questioni di stupefacenti, racconta come Savasta lo avesse all’epoca eletto a suo personale problem solver. Sul problem ci siamo sicuramente, quanto al solving ci sarà qualche difficoltà di troppo.

Innanzitutto gli avrebbe chiesto di pedinare o far pedinare Ivana Siviero da un altro personaggio notevole, Leopoldo Picciotta (braccio armato dello stesso La Marca). Voleva delle foto, voleva addirittura che il pedinatore la investisse mentre percorreva in bicicletta le strade di una località di villeggiatura.

Anche in questo Processo c’è un momento di totale nonsense. La Marca racconta che Savasta avrebbe fatto costruire una enorme trappola per topi e l’avrebbe fatta collocare all’uscita di Assago sotto un cavalcavia, dove c’è quello che lui chiama una specie di fiume artificiale diciamo, che è evidentemente un canale. Là ci sono dei topi che sono dei cristiani proprio, son così (apre le braccia a croce), immensi. Al di sotto della trappola, spiega fra le risate – malcelate dai fogli dei fascicoli – dei presenti, era stata messa una lastra da stampa in alluminio, flessibile, al fine di raccogliere gli escrementi dei topi – cristiani. Il suo principale lo avrebbe poi incaricato del ruolo di custode della trappola, proprio io che ho la fobia dei topi, veda un po’ lei.

L’enorme trappola per topi e il progetto di avvelenamento

A questo punto, anche per evitare che questa deposizione diventi un monologo del grande Giovanni Cacioppo, il Presidente prende parola e a nome di tutti noi chiede quale fosse il motivo di tutto questo industriarsi contro i topi e soprattutto cosa c’entri col Processo. La Marca spiega che l’intenzione di Savasta era quella di raccogliere gli escrementi dei roditori sulla lastra di alluminio per poi ricavarne un liquido da iniettare negli Estathè che la Siviero era solita bere con grande assiduità. Interrogato sul punto Savasta risponde che questo racconto è il frutto della farneticante deficienza di La Marca e che fosse stato proprio quest’ultimo, a mo’ di battuta, a suggerire una risoluzione così fuori di testa.

Aggiunge che l’uomo è un tossicodipendente e che probabilmente in certi momenti i topi grossi come cristiani li vede nella sua testa. La Marca giurerà sui suoi figli – e questa al Pm Sangermano, che rappresenterà l’Accusa anche al Processo Ruby, sarà suonata familiare – di aver visto Savasta preparare la pozione e la Siviero bere il tè avvelenato. Nessuna analisi confermerà l’ipotesi dell’avvelenamento.

L’agente sotto copertura e il pedinamento della donna

La Marca non chiude qui la sua notevole partecipazione al Processo. Racconta poi che, nell’imminenza di un viaggio all’estero della donna (si rincorrerà in aula nei racconti di La Marca e del suo scagnozzo Picciotta un equivoco continuo fra Turchia e Tunisia) gli avrebbe chiesto di scipparla per privarla dei documenti ed impedirle così di partire.

L’idea viene abortita perché Savasta pensa bene di cambiare l’approccio alla questione: lascerà che la donna si metta in viaggio e la farà seguire per verificare a chi si accompagni. L’agente sotto copertura sarà Picciotta, dietro corrispettivo di volo e soggiorno pagati e 500 euro per il disturbo. L’uomo dimostra una certa disinvoltura vacanziera aggregandosi immediatamente al gruppo della Siviero, condividendo nella grande serenità di tutti escursioni, pranzi, cene e chi più ne ha più ne metta. Del resto si sa, quando ci incontriamo all’estero noi italiani diventiamo subito parenti.

Sul tema del viaggio, che a quanto pare di capire era in Turchia, Bruno La Marca regala in aula uno dei suoi momenti di più vivida e scintillante poesia: avrebbe catechizzato prima della partenza Picciotta, raccomandandogli, se anche avesse visto la Siviero in compagnia di un uomo, anche avesse visto un Kamasutra intero, di non raccontare nulla a Savasta una volta rientrato, per evitare che il suo principale si suicidasse in preda alla disperazione. Se pure vedeva cinque marocchini insieme a lei – Vabbè, abbiamo capito il senso delle sue raccomandazioni chiude esasperato il Presidente.

Non sarà elegantissima ma non c’è dubbio che l’immagine renda l’idea.

2 uomini armati e la minaccia di lasciar stare la donna

Viene naturale domandare a Savasta se sia vero che abbia deciso di far pedinare la sua ex durante un viaggio di piacere all’estero. Lui risponde serenamente che sì, è vero, ma che lo aveva fatto perché temeva che la donna in questo modo sottraesse clienti all’azienda. C’è da dire che sarebbe una modalità di spionaggio industriale quantomeno arzigogolata. Non deve pensarla così Savasta, che in aula conferma come avesse un tale timore che la donna gli soffiasse gli investitori da farla pedinare anche dal proprio cugino.

L’investigatore privato assoldato da Cerri ricostruisce in Aula che l’uomo gli aveva raccontato come si fossero presentati da lui due uomini armati e che lo avessero minacciato, intimandogli di non vedere più la Siviero.

La Marca spiega che uno era lui, l’altro era suo padre, e che ci erano andati perché gli risultava che la Siviero e Cerri fossero in combutta per soffiare clienti a Savasta e quindi la minaccia non riguardava eventuali frequentazioni galanti fra i due. Per le minacce saranno entrambi condannati.

Savasta sta ormai perdendo il lume della ragione, e dopo aver messo su questa gang di dubbio spessore cerca di tirare dentro anche suo cugino, chiedendogli di aggredire la Siviero. L’uomo si rifiuta ma il problema è di facile risoluzione: ci pensa Picciotta. Una bella rapina con pestaggio. Lo scagnozzo racconta che l’imprenditore si raccomanda di spaccarla di botte e farle fare almeno sei mesi di ospedale.

Aggressione e denuncia della Siviero

Dopo essere stata aggredita la Siviero sporge denuncia e segnala Savasta come possibile, se non probabile, mandante. Sentito in aula sul punto Savasta nega: categoricamente no.

Picciotta, a Processo, racconta che Savasta gli aveva chiesto di pestare anche Cerri ma lui, da vero gentleman, le donne le picchia ma gli uomini no, infatti rifiuta. Spiega di aver detto no perché la richiesta questa volta era stata diversa: un pestaggio molto più pesante di quello pensato per la Siviero (sei mesi di ospedale dovevano essergli parsi una richiesta minima) o addirittura la possibilità di farlo sparire. Savasta, visto il suo rifiuto, gli avrebbe chiesto se conoscesse qualcuno che potesse farlo. Anche qui Picciotta riferisce di aver risposto negativamente.

La chiamata anonima a casa di Cerri

Savasta vessa la Siviero ma non lascia tranquillo nemmeno Cerri. Nel dicembre 2006 qualcuno chiama casa Cerri, risponde la figlia. L’uomo al telefono si presenta come Ciccio, il Processo non chiarirà chi fosse realmente ma un’idea ce la siamo fatta tutti, e informa la ragazza che il padre in quel momento non sta lavorando ma è con una donna. Si fa passare la madre e alla donna dice Se vuoi vedere cosa fa tuo marito vai in ufficio che sta con la Siviero.

Stefano Cerri affronta la questione con la figlia, le spiega che ci sono persone che gli vogliono male e che vogliono far male a lui e alla sua famiglia.

Sulla scorta di questa informazione la Difesa di Savasta proverà a sostenere la tesi di un allontanamento volontario di Cerri per sfuggire ai suoi nemici.

Peccato che sia la figlia che la moglie dell’uomo ribadiscano in Aula che Cerri abbia chiaramente detto che a volergli fare del male è Stefano Savasta.

Il plico con le prove del tradimento

I Cerri abitano in una zona di villette e strade chiuse, tipo comprensorio, e un giorno la figlia vede degli uomini, alla vista sudamericani, appostati sotto casa. Stefano Cerri realizzerà dei volantini che affiggerà in tutta la zona raccomandando attenzione.

Un giorno sua moglie riceve un plico contenente una lettera, delle foto e un cd con le prove del tradimento del marito. Cerri sa che è stato Savasta, memore delle minacce con pistola di La Marca padre e figlio.

Una storia di stalking

Al di là del tono ironico che sempre utilizziamo va sottolineato come questa sia in tutto e per tutto una schifosa, triste e violenta storia di stalking come troppe se ne sentono ancora oggi. Storie di uomini che non accettano di essere lasciati, che non contemplano il rifiuto, che ritengono che le donne siano di loro proprietà e che ne possano disporre a loro piacimento.

Nonostante l’introduzione nel 2009 del reato di stalking, l’inasprimento delle pene, le mobilitazioni pubbliche e di opinione, le manifestazioni, i frequenti dibattiti sul tema, siamo tuttora di fronte a quella che è una vera e propria piaga sociale che va combattuta quotidianamente con l’educazione e con l’esempio, anche se a guardarsi intorno siamo ancora, direbbe il Poeta, a carissimo amico.

La seconda parte della vicenda

Fatta questa doverosa precisazione veniamo a quella che sarebbe la seconda stagione di questa vicenda. Perché, se fossimo veramente all’interno del cosiddetto Universo Breaking Bad, questo è il momento in cui arriverebbero i Salamanca.

Nel corso delle indagini si viene a scoprire che Savasta ha la disponibilità di un secondo cellulare segreto e che il 10 dicembre del 2008 quell’utenza ha avuto dei contatti sms con il numero di un barman dominicano trentenne, Omar Càlcano. Le verifiche sui tabulati accertano che nei giorni intorno alla scomparsa di Stefano Cerri il cellulare di Càlcano ha avuto un numero esorbitante di contatti con le utenze di tre suoi connazionali.

I 3 dominicani e la confessione del delitto

I tre vengono convocati dalle forze dell’ordine ed immediatamente uno di loro, Wilton Valles, confessa di aver partecipato all’omicidio di Cerri.

Secondo la Difesa di Savasta Valles non confessa per un rimorso di coscienza ma perché, vistosi portato in Questura e quindi pensando di essere stato arrestato, spaventato, abbia preferito assumersi la responsabilità di qualcosa che non aveva fatto. L’avvocato sostiene che questi sono cittadini di serie Z e che, nella certezza di venire condannato da innocente, l’uomo abbia scelto di confessare per ricevere una pena più lieve.

La ricostruzione in fase di processo

Ascoltato a Processo in qualità di testimone Valles, fisico da buttafuori ma nomea di fesso fra i suoi connazionali, ricostruisce che Càlcano lo aveva chiamato proponendogli 2000 euro per picchiare uno che deve dei soldi a un altro. I due si danno appuntamento alla fermata della metro San Donato. Càlcano si presenta con un Alfa Romeo e dice a Valles di aspettarlo lì. Fa ritorno con un furgone bianco e dice all’amico che devono passare a prendere un altro. Valles domanda chi sia e quello gli risponde Adesso lo vedi. È Marthy Hernandez Rodriguez, che siede davanti con gli altri due. Nel vano di carico posteriore c’è invece un certo Fran Budu, nome d’arte – fa lo stregone – di Frian Sanchez , l’unico che riuscirà a darsi alla macchia prima degli arresti.

Quando arrivano davanti alla ditta di Cerri Càlcano dice a Vallles di fare il palo. Uno degli avvocati dei dominicani, che ricorda un po’ un cartone animato con la vocina stridula un po’ il Dottor Nowzaradan di Vite al limite, fa notare come sia singolare che un uomo della prestanza fisica di Valles, evidentemente il più grosso fra i tre dominicani arrestati, si ritagli il ruolo di palo, suggerendo che sia solamente un tentativo di ridimensionare le proprie responsabilità.

Secondo il racconto di Valles sono Càlcano ed Hernandez a sorprendere Cerri mentre è chinato e sta abbassando la saracinesca, per poi caricarlo uno per le spalle e uno per le caviglie e portarlo verso il furgone.

Le contestazioni della difesa

La Difesa contesta due fatti: in primis Cerri usava un telecomando per chiudere la saracinesca, non si vede perché quel giorno avrebbe dovuto farlo a mano, in secondo luogo d’accordo che siamo su Via Gratosoglio e non a Times Square, ma non è notte fonda, non sono nemmeno le 19.00, è credibile che nessuno abbia visto due bruti caricare di peso un uomo in un furgone?

Villas racconta di aver udito cinque – dieci colpi di piccone, dopodichè si apre il portellone del furgone e vede Cerri steso e sanguinante dal volto. Dietro di lui un sacco nero, una pala e un piccone.

A questo punto i dominicani ripartono. Poco dopo Càlcano ferma il furgone in una via di Rozzano e si allontana con gli altri due, lasciando Valles per due o tre ore da solo, seduto nel mezzo, con il cadavere caldo dietro. Il racconto è quantomeno bizzarro.

Valles spiega di avere aspettato, semplicemente. Quando gli altri fanno ritorno si recano a Rozzano nelle vicinanze di un centro commerciale. Lì, in fondo a una strada buia che costeggia i capannoni di un’azienda Fran Budu scava la fossa in cui vengono seppelliti i resti di Cerri. Gli inquirenti seguono le indicazioni dell’uomo alla ricerca del cadavere ma non lo trovano, lui ripete con convinzione che era lì.

Mancati riscontri e stranezza del racconto

Al di là dei mancati riscontri e delle stranezze nel racconto di Valles rimane un fatto: per quale motivo un barman dominicano che non aveva ragione di conoscere Stefano Savasta disponeva invece del numero del suo cellulare segreto?

Càlcano sostiene di aver ricevuto da un proprio connazionale alcuni profumi da vendere. Frutto probabilmente di furto, i cosmetici erano privi di confezione e quindi molto difficili da piazzare. Era stato lo stesso ricettatore a consigliare al barman di contattare Savasta in quanto la sua azienda realizzava soprattutto astucci stampati per conto di grandi marchi, quindi lo avrebbe potuto aiutare. I due si sarebbero quindi visti. Savasta, ci mancherebbe altro, conferma l’incontro e spiega che a quel punto i due avrebbero messo su un business.

Dalla sfilata di testimoni che sembrano appena usciti da uno di quei locali di salsa che andavano fortissimo prima dell’invenzione di Tinder, emerge il ritratto di un Càlcano sentimentalmente molto attivo, capace di avere contemporaneamente una compagna italiana e una dominicana, evidentemente perché nella sua mentalità se la nazionalità differisce non è tradimento. Non deve essere della stessa opinione la fidanzata dominicana che, in Aula, non si fa remore a raccontare come l’uomo le avesse chiesto di fornirgli un alibi attraverso falsa testimonianza.

Quando sul banco degli imputati sale Marthy Hernandez pensi che uno così in Better Call Saul ci starebbe molto bene. È una specie di Nacho Salamanca dei poveri, evasivo, di poche parole, infastidito di trovarsi lì, con aria strafottente la fa breve e dice che lui del 10 dicembre 2008 non si ricorda niente.

Una testimone aveva però dichiarato al Pubblico Ministero che Hernandez aveva confidato alla propria fidanzata di avere partecipato alla spedizione in veste di autista; ascoltata in aula correggerà il tiro, spiegando che questo era quello di cui l’avvocato aveva informato il Nacho dell’Hinterland. Hernandez lo aveva poi raccontato alla fidanzata che lo aveva riportato a lei. Era l’accusa, non la verità.

Sentenza della Corte d’Assise: ergastolo

Nonostante l’assenza del cadavere e i passaggi oscuri nella confessione di Valles (che processato con rito abbreviato era stato condannato a otto anni di reclusione) la Corte di Assise condanna Savasta e gli altri tre dominicani all’ergastolo, sentenza confermata in Appello e in Cassazione.

Questa storia, però, non finisce qui, altrimenti non sarebbe uno di quei drammoni a tinte forti che Pirandello parodiava nel suo Teatro.

Quando nel novembre del 2014 la Cassazione conferma l’ergastolo Stefano Savasta, che si trovava ai domiciliari per motivi di salute, decide di fuggire. Muore d’infarto sulla banchina della Stazione Porta Nuova di Verona. In tasca ha un documento falso e 10.000 euro in contanti.

Morte di Savasta e nuova versione dei fatti

Un mese dopo gli inquirenti ricevono una lettera dal carcere, mittente Marthy Hernandez. Spiega che ora che il mandante è morto non ha più paura e non c’è più ragione di nascondere come sono andati i fatti. Il racconto di Valles corrisponde grossomodo alla realtà, il buttafuori si sbagliava solo su un punto: il cadavere non lo hanno seppellito nei dintorni di Rozzano ma in un bosco nel pavese, nelle vicinanze di un centro protagonista da anni della cronaca giudiziaria di questo Paese, Garlasco. Non sa indicare il punto con precisione, ma dopo qualche ricerca il corpo di Stefano Cerri viene ritrovato, e la sua famiglia ha ora un luogo dove piangerlo.

Il suicidio di Ivana Siviero nel 2015

Nel maggio del 2015 le acque di Loano, in Liguria, restituiscono il corpo senza vita di Ivana Siviero. Stando alle ricostruzioni non vi sono dubbi sul fatto che si sia tolta la vita. Abbandonarsi ai flutti, in un suicidio malinconico che ancora una volta sembra partorito dalla penna di Pirandello, è un gesto del resto perfettamente in linea con la figura della Ersilia Drei del Gratosoglio, una donna che ha amato sinceramente e disperatamente due uomini diversamente sbagliati.

E chissà che negli ultimi momenti non abbia ripensato alle parole che anni prima, nei corridoi della Questura, aveva frustato sul volto del suo antico amore Ma pensa te dove devi essere arrivato, per che cosa poi! Per che cosa figa? Ma per chi? Ma perché? Ma dimmi perché. Mi dici cazzo perché? Mi dici perché o no? Ma per quale cazzo di motivo? È assurdo… è assurdo, uno distrugge la propria vita e la vita di tutti quelli che gli stanno di fianco per l’orgoglio?!? Ma cos’è, un motivo serio? L’orgoglio. L’orgoglio. L’uomo ferito. Cosa fa? Distrugge la vita di tante persone che gli stanno intorno, compresa la sua, vita, e la vita delle persone che gli stanno intorno: figli, moglie, padre, cognata, tutti no? Tutti, per che cosa? Per l’orgoglio. Per la vendetta. Per la vendetta. Che squallida, schifida cosa la vendetta. La vendetta. Pazzesco.

Viene da chiedersi da dove le sia uscita quella parola fuori moda, schifida, che tanto sarebbe piaciuta allo scrittore di Agrigento.

Edoardo Ciufoletti

Edoardo Ciufoletti è attore e autore teatrale. Da sempre studioso e appassionato di cronaca nera.