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Banche popolari in Italia: vantaggi e criticità principali

Le banche popolari in Italia hanno subito una trasformazione importante negli ultimi due anni, continuando comunque a rivestire un ruolo importantissimo nel panorama economico e finanziario.
Il loro punto di forza, apprezzabile come concetto di partenza, è il legame con il territorio su cui operano e di cui sono espressione. Per comprendere le caratteristiche delle banche popolari bisogna partire dalle differenze con gli istituti di credito, piuttosto rilevanti.
Sono in gran numero e sono costituite, come vuole la legge, nella forma di società cooperative. Ciò significa che i loro soci possono avere quote non superiori allo 0,05% dell’intero capitale sociale, purché la maggioranza delle quote sia detenuta dai soci.
La loro attività si svolge solamente sul territorio italiano, con investimenti e operazioni finanziarie che non varcano mai i confini del Paese. Tuttavia, su questo punto, negli anni ci sono state alcune deroghe, perché le banche popolari si sono unite e fuse con entità straniere simili, iniziando a operare sui mercati esteri.

L’associazione delle banche popolari:

La maggior parte delle banche popolari aderisce all’associazione AssoPopolari che le rappresenta, con lo scopo di affermare il loro importante ruolo nell’economia italiana. L’organizzazione ne conta novanta, il cui numero complessivo di soci ammonta a più di un milione.
Il compito dell’associazione, però, non si limita solamente a sottolineare la loro importanza, bensì a supportare un rapporto costante tra le banche popolari stesse e il territorio di riferimento, svolgendo una comunicazione con finalità di responsabilità sociale.
Tali istituti puntano ad avere un ruolo attivo nello sviluppo economico delle aree in cui sono inserite, fornendo alle aziende un aiuto con studi e analisi, nonché una consulenza precisa.

La trasformazione in Società per azioni:

La crescita del tessuto produttivo è certamente uno degli obiettivi primari delle banche popolari o almeno lo è stato fino agli ultimi mesi dello scorso anno, quando è entrato in vigore un nuovo decreto, una legge che le porta a diventare società per azioni.
L’Investment compact, approvato dal Consiglio dei ministri nel gennaio del 2015, chiede alle banche popolari con bilanci in attivo per cifre superiori agli 8 miliardi di euro di eseguire la trasformazione.
La recente riforma, ufficialmente, punta a rinforzare le banche popolari, ma uno dei problemi più importanti che vuole risolvere riguarda l’operatività.
Infatti per gli investimenti e le operazioni finanziarie di un certo rilievo ci vuole la decisione dell’assemblea, che deve deliberare con la metà più uno dei soci. Spesso le difficoltà di trovare un accordo per la maggioranza, ha portato ad allungare i tempi.

Banche popolari e scenari negativi del mercato:

Uno dei casi da manuale è l’estromissione di un dirigente o del gruppo insediato alla dirigenza. Bisogna convincere la maggior parte dei soci per procedere con la decisione del cambio ed è ancora più importante riuscire a portare in assemblea un numero di soci sufficiente per poter avere valore legale.
La BCE, sostenitrice della necessità della riforma, ha evidenziato come le banche popolari più grandi non abbiano disponibilità finanziarie adeguate a sostenere eventuali scenari negativi e le possibili variazioni del mercato.
Ad ottobre 2016 sono così iniziate le grandi manovre per alcune delle banche popolari più grosse, che hanno cominciato piani di assorbimento, trasformando il proprio statuto per diventare società per azioni.

Lo stop alla riforma da parte del Consiglio di Stato;

A dicembre 2016 è intervenuto, però, il Consiglio di Stato fermando l’applicazione della riforma e rinviandola alla Corte Costituzionale. Il suo percorso è sospeso tra i ricorsi.
Oltre al limite sulle azioni da possedere, le caratteristiche riguardano la maggioranza delle azioni in possesso dei clienti, il voto capitario, ossia un voto per persona, e la clausola di gradimento.
Questi elementi garantiscono il collegamento con il tessuto locale e permettono di investire nelle piccole e medie imprese, il vero fulcro dell’economia italiana.

Cosa potrebbe cambiare con la riforma delle banche popolari?

Le peculiarità delle banche popolari, operanti nel Paese dal XIX secolo, sono la governance cooperativa, l’attenzione ai soci e al territorio, l’impegno sociale. Il rapporto stretto con imprese e famiglie contraddistingue questo tipo di istituti di credito.
Detengono il 29,5% del mercato, il 28,3% degli sportelli bancari e oltre 11 milioni di clienti. La riforma proposta intende cancellare il voto capitario e il limite imposto alla quantità di azioni che si possono detenere.
Ciò significa che altre banche potrebbero acquisire azioni e controllare le nuove società per azioni popolari.
Lo scenario potrebbe quindi cambiare se la riforma dovesse tornare a fare il suo corso, perché le banche popolari in Italia verrebbero gestite in modo meno legato al territorio.

Un modello simile al credito cooperativo:

In particolare il mondo delle aziende si ritroverebbe a trattare con una banca che potrebbe essere assimilata alle altre e quindi con una politica diversa sui finanziamenti.
Va precisato che le banche popolari sono abbastanza simili al credito cooperativo (e certamente in questo momento storico, in Italia, ciò potrebbe non essere del tutto positivo) ispirate dallo stesso principio di aiuto e sostegno alle aree in cui si trovano e alle popolazioni locali.
Negli ultimi tempi le banche popolari in Italia hanno registrato una forte crescita in termini di utili e quindi di depositi da parte dei risparmiatori, contribuendo all’incremento del settore del credito. Le previsioni di Asso indicano un’ulteriore crescita anche per tutto il 2017.

Pubblicato in Focus

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Giornalista scomodo - "L'unico dovere di un giornalista è scrivere quello che vede..."

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