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Residuo Fiscale e referendum: di cosa si parla?

Il 22 ottobre 2017 è diventata una data importante in Italia in quanto si tengono i referendum indetti da Lombardia e Veneto per richiedere maggiore autonomia fiscale. Nella prima regione si è aperto un certo dibattito, che ha diviso i due fronti per il sì e per il no; mentre in Veneto il no non ha trovato un fronte molto ampio sebbene le polemiche sui costi del referendum abbiano costituito la più grande contrarietà.
Si vota per l’autonomia? Cosa significa? Perché si è deciso di andare alle urne? Sono queste le domande più comuni circolate tra i cittadini delle due aree interessate dalla tornata referendaria ma anche tra la gente del resto d’Italia.
Va detto che il quesito posto agli elettori non è vincolante, ma solamente consultivo. In realtà si chiede ai cittadini se vogliano che le amministrazioni regionali trattino con il governo centrale per avere una maggiore autonomia.

Referendum inutile: bastava l’articolo 116 della Costituzione

La Costituzione italiana, con l’articolo 116 del Titolo V, prevede che una Regione possa presentare al Governo istanza per avere più materie di competenza. Nessuno ha mai utilizzato questa opportunità, ma il referendum sembra essere il motore politico per dare ai presidenti di Lombardia e Veneto un consenso che dovrebbe avere peso nell’eventuale trattativa con Roma.
Insomma le votazioni non hanno altro valore e nemmeno sarebbero necessarie. E allora, ci si chiede, cosa ha realmente dato una spinta alla richiesta di questi due referendum?

La questione dell’autonomia fiscale

In effetti il problema dell’autonomia sorge da problemi prettamente economici e in particolare dal cosiddetto residuo fiscale. Queste due parole descrivono semplicemente la differenza tra i versamenti del territorio allo Stato e le somme ricevute.
I contribuenti lombardi e veneti pagano più di quanto ricevono. Pensando alle cinque Regioni a statuto speciale è ovvio cercare di conquistare maggiore autonomia, così da conquistare maggiori fondi.
In Lombardia l’amministrazione dichiara che il saldo è negativo per 56 miliardi di euro, mentre in Veneto lo è per 15,5 miliardi di euro. Da Milano si chiede allo Stato di avere 24 miliardi di euro in più, mentre da Venezia la richiesta è di 8 miliardi di euro.

Residuo fiscale: quanti soldi chiedono Lombardia e Veneto?

Si vorrebbe recuperare il 50% del disavanzo. Significherebbe concedere ai territori di incassare maggiori proventi dalle tasse ora trattenute da Roma. I governatori regionali hanno scelto la strada della consultazione per fare maggiore pressione sullo Stato, in modo da avere una maggiore risonanza all’istanza di ridurre il residuo fiscale.
La differenza tra le tasse pagate e i finanziamenti ricevuti deve essere diversa. Le proposte dei due presidenti leghisti, Maroni e Zaia, appoggiati da altri partiti presenti nei due Consigli regionali, sono semplici e puntano a far rimanere più tasse nel territorio in cui vengono pagate.

L’esempio dell’Emilia Romagna

Tale situazione rimanda alle proposte di federalismo fiscale che lo stesso partito del Nord avanzava negli anni passati. La gestione delle risorse regionali è certamente un tema importante, specialmente in tempi di crisi, ma ciò che si richiede è di aumentare la quota da spendere nelle due regioni.
Per questa ragione quindi si vuole autonomia. Chi si contrappone alla realizzazione del referendum spiega che esiste in Italia un caso che dovrebbe dare il buon esempio: l’Emilia Romagna. Da Bologna, infatti, è stata recentemente presentata la richiesta di autonomia semplicemente seguendo quanto riportato dalla Costituzione, sfruttando l’apposito articolo.
Ciò significa che il compito dell’amministrazione è semplicemente quello di fare la richiesta a Roma, senza dover avere nessun benestare da parte dei cittadini.

La difficoltà di calcolare con esattezza il residuo fiscale

Chiaramente i fautori del sì al referendum sostengono che grazie alla votazione si avrà una maggiore forza. Il vero scontro, però, avviene tra politici e tecnici. Infatti la reale analisi del residuo fiscale fornisce informazioni differenti rispetto a quelle sostenute dai proponenti del referendum. La prospettiva, al di là dei risultati ottenuti, è quindi molto diversa dalle aspettative dei presidenti e di chi li appoggia.
Il residuo fiscale indica la differenza tra le entrate e la spesa pubblica di ogni regione. Non è facile fare i conti e avere le cifre, ma non lo è neppure adottare il sistema delle regioni a statuto speciale, soprattutto perché loro spendono denaro per la difesa nazionale, aspetto tipico dei territori di confine.
I criteri applicati sono piuttosto discrezionali, come ad esempio accade con la dimensione demografica, rapportata ai costi. La richiesta di autonomia deve essere necessariamente presentata secondo l’iter previsto dalle normative e ciò significa che il referendum non serve, ma anche che il residuo fiscale rimarrà identico.

Negoziare con il Governo: il Referendum non serve

Le Regioni possono chiedere maggiori competenze sulle materie concorrenziali tra i territori regionali e lo Stato, ma le risorse dovrebbero comunque essere rapportate alle spese. Insomma ottenendo più materie di cui occuparsi si ricevono più fondi, ma aumenteranno anche i costi.
Il Governo, secondo le corrette procedure stabilite dalla Costituzione, non avrà ragione per dire di no, mentre con il referendum potrà semplicemente non occuparsene. L’Emilia Romagna che ha avviato l’iter sta percorrendo la strada giusta e tenendo presente che deve occuparsi di avere un equilibrio tra entrate e uscite, assolutamente da garantire per legge.
L’unico criterio applicabile per l’ottenimento dell’autonomia delle Regioni è quello selettivo. Lombardia e Veneto potranno quindi chiedere una negoziazione con il Governo sulle materie concorrenti previste dall’articolo 116 della Costituzione, così da rivedere le proprie posizioni e ricalcolare le risorse economiche.

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Scritto da

Giornalista indipendente, web writer, fondatore e direttore del giornale online La Vera Cronaca e del progetto Professione Scrittura

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