La mozione di sfiducia è uno degli strumenti più incisivi e “impattanti” a disposizione del parlamento nelle democrazie parlamentari. Rappresenta il meccanismo attraverso cui il corpo legislativo può esprimere la sua mancanza di fiducia nell’operato del governo o di un singolo ministro, potendo portare, nel caso in cui venga approvata, alla crisi di governo, caduta dell’esecutivo o alla dimissione del ministro.
Questo meccanismo è il pilastro del principio di responsabilità politica del governo di fronte al parlamento, garantendo che il potere esecutivo rimanga sotto il controllo e la legittimazione dell’organo che rappresenta la volontà popolare.
In questo articolo parliamo di:
I fondamenti costituzionali e il principio della fiducia
In Italia, la mozione è presente nella Costituzione, in particolare nell’articolo 94: “Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere. Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale.”, stabilendo chiaramente il legame fiduciario tra il Governo e il Parlamento, che è la caratteristica distintiva della forma di governo parlamentare italiana.
Il principio della fiducia implica che il Governo non può operare senza il sostegno della maggioranza parlamentare. Se tale sostegno viene meno, l’esecutivo perde la sua legittimazione politica e deve dimettersi, distinguendo nettamente le democrazie parlamentari da quelle presidenziali (come gli Stati Uniti), dove il potere esecutivo e legislativo sono separati e indipendenti, e il presidente non ha bisogno della fiducia del congresso per rimanere in carica.
Le tipologie di mozione di sfiducia
Esistono diverse tipologie di mozione di sfiducia, a seconda del soggetto a cui è rivolta e delle circostanze.
Mozione di sfiducia al Governo
La mozione di sfiducia al Governo è la forma più comune e dirompente. In Italia, il suddetto articolo 94 della Costituzione disciplina la mozione di sfiducia all’intero Governo. Deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera, essere motivata (cioè spiegare le ragioni della sfiducia) e votata per appello nominale (cioè con voto palese, in modo che sia chiaro come ogni parlamentare ha votato). Non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione, un lasso di tempo che consente al Governo di preparare la propria difesa e al Parlamento di riflettere e dibattere. Se approvata dalla maggioranza assoluta dei votanti (il 50%+1 dei voti validi), il Governo è obbligato a dimettersi.
Mozione di sfiducia individuale
La mozione di sfiducia individuale (a un singolo ministro) in Italia non è esplicitamente prevista dalla Costituzione. Tuttavia, la prassi parlamentare e la dottrina hanno consolidato la possibilità di presentare mozioni che richiedono le dimissioni di un ministro. Queste procedure seguono un iter simile a quelle per l’intero Governo, ma, se approvate, comportano solo le dimissioni del ministro interessato, senza necessariamente far cadere l’intero esecutivo. La decisione finale spetta comunque al Presidente del Consiglio, che può accettare le dimissioni o meno, ma una sfiducia parlamentare è un segnale politico fortissimo che di solito porta alle dimissioni dell’interessato.
La questione di fiducia, sebbene non sia una mozione di sfiducia, è strettamente correlata. Il Governo stesso può porre la questione di fiducia su un proprio disegno di legge, un emendamento o una risoluzione, cosa che accade spesso nelle nostre legislature. Facendo ciò, il Governo dichiara che se l’atto in questione non viene approvato, esso rassegnerà le dimissioni. E’ sostanzialmente uno strumento utilizzato dall’esecutivo per compattare la propria maggioranza, superare ostruzionismi, accelerare l’approvazione di provvedimenti fondamentali o testare la propria tenuta parlamentare.
Mozione di sfiducia costruttiva
Infine, c’è la mozione di sfiducia costruttiva, che non è prevista in Italia, ma presente in altri Paesi, come la Germania, e necessita che i promotori abbiano già un programma e un nuovo esecutivo pronto a sostituire quello in essere.
Il processo della mozione di sfiducia
Il processo di una mozione di sfiducia è rigidamente regolamentato per garantire trasparenza e democraticità.
La mozione deve essere presentata per iscritto e firmata da un numero minimo di parlamentari (un decimo dei componenti della Camera o del Senato, come detto) e deve contenere le motivazioni dettagliate della sfiducia.
Una volta depositata, la mozione viene annunciata in Aula e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione. Questo periodo, come detto, è atto a permettere a tutti i gruppi parlamentari di prepararsi al dibattito e per il Governo di organizzare la propria difesa. La discussione in Aula è spesso molto accesa e mediatica, con interventi dei firmatari, del Presidente del Consiglio (o del ministro coinvolto) e dei rappresentanti di tutti i gruppi.
La votazione avviene per appello nominale, il che significa che ogni parlamentare viene chiamato per nome ed esprime pubblicamente il proprio voto, garantendo la massima trasparenza e responsabilità individuale.
Se la mozione ottiene la maggioranza assoluta dei voti validi dei presenti (e non solo dei votanti), si considera approvata. In tal caso, il Presidente del Consiglio (o il ministro) è costituzionalmente obbligato a rassegnare le proprie dimissioni al Presidente della Repubblica.
Le implicazioni della mozione di sfiducia
Nella storia della Repubblica Italiana, molteplici sono stati i tentativi di mozioni di sfiducia, anche se quelle effettivamente approvate sono state poche. Questo perché la presentazione di una mozione di sfiducia è di per sé un atto politico forte, spesso utilizzato più come strumento di pressione e visibilità politica da parte dell’opposizione, piuttosto che con la reale aspettativa di far cadere il governo, in quanto richiede una solida coesione delle forze di opposizione e, talvolta, la defezione di parte della maggioranza, eventi non sempre facili da concretizzare.
Tuttavia, anche le mozioni respinte hanno un peso politico. Esse costringono il governo a difendere la propria azione, a confrontarsi pubblicamente con le critiche e a “ricompattare” la propria base di consenso, agendo anche come uno strumento di dibattito pubblico e di controllo democratico, evidenziando le linee di divisione tra maggioranza e opposizione e permettendo ai cittadini di valutare l’operato dei propri rappresentanti.