L’apologia del fascismo in Italia rappresenta un reato specificamente previsto e sanzionato dal codice penale, con una fattispecie criminosa che trova ovviamente origine nella storia dell’Italia, in particolare nel passaggio dal regime fascista alla democrazia repubblicana, un periodo in cui la necessità di consolidare i valori democratici e prevenire il ritorno di ideologie totalitarie era sentita come prioritaria.
Nel corso degli anni la storia di questo provvedimento ha subito diverse evoluzioni e interpretazioni giuridiche, ed è tuttora considerata fondamentale per la tutela costituzionale contro la rinascita di movimenti che hanno negato le libertà fondamentali.
In questo articolo parliamo di:
Origini, dalla caduta del regime alla Costituzione
Il percorso legislativo che ha portato alla determinazione del reato di apologia del fascismo inizia nel dopoguerra, in un’Italia devastata dal conflitto e dalla dittatura. La caduta del fascismo nel 1943 e la successiva Liberazione nel 1945 aprirono una fase di ricostruzione non solo materiale, ma anche morale e giuridica. L’Assemblea Costituente, consapevole dei pericoli che il totalitarismo aveva rappresentato per il Paese, si adoperò per gettare le basi di una democrazia solida e resistente.
Un pilastro fondamentale in questo contesto è l’articolo XII delle Disposizioni transitorie e finali della Costituzione italiana, che recita: “È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista.” L’articolo non solo sanciva un principio di condanna storica e politica, ma forniva anche il mandato costituzionale per la legislazione ordinaria volta a prevenire e reprimere qualsiasi tentativo di ricostituzione del partito fascista o di manifestazioni ad esso riconducibili, sottolineando la volontà dei Padri Costituenti di impedire il riemergere di un’ideologia che aveva soffocato le libertà civili e condotto il Paese alla catastrofe.
L’avvento della Legge Scelba
Il principio costituzionale trovò la sua prima e più significativa attuazione con la Legge 20 giugno 1952, n. 645, nota come “Legge Scelba“, dal nome dell’allora Ministro dell’Interno Mario Scelba, che ha disciplinato in modo organico e puntuale il reato di apologia del fascismo, specificando le condotte sanzionabili. L’articolo 4 della Legge Scelba stabilisce che “chiunque fa apologia del fascismo è punito con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da lire centomila a lire cinquecentomila.”
Definizione di apologia di fascismo
Ma cosa si intende esattamente per apologia del fascismo? La legge stessa fornisce una definizione importante: si considera apologia del fascismo l’esaltazione di principi, fatti e metodi del fascismo, o le sue finalità e caratteristiche generali, con il pericolo concreto che si verifichi la ricostituzione del disciolto partito fascista. In quest’ottica, è fondamentale sottolineare il requisito del “pericolo concreto“. La giurisprudenza ha costantemente interpretato questa clausola nel senso che non è sufficiente una mera espressione di opinione, anche se favorevole al fascismo, ma è necessaria una condotta che, per le sue modalità e il contesto in cui si manifesta, sia idonea a determinare la ricostituzione del partito fascista o comunque a farne rinascere l’ideologia in forme organizzate e pericolose per l’ordine democratico, con una distinzione essenziale per bilanciare la libertà di espressione con la necessità di tutelare i valori antifascisti della Costituzione.
La Legge Mancino e l’evoluzione interpretativa
Negli anni successivi, il panorama legislativo in materia di contrasto all’estremismo politico ha continuato ad evolversi. Un’altra tappa significativa è rappresentata dalla Legge 25 giugno 1993, n. 205, conosciuta come “Legge Mancino“. Sebbene quest’ultima non abbia abrogato o modificato direttamente la Legge Scelba, essa ha introdotto nuove disposizioni per contrastare la discriminazione, l’odio o la violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
La Legge Mancino ha rafforzato la tutela contro manifestazioni di odio che spesso si intersecano con ideologie di matrice fascista, come l’antisemitismo o il razzismo. In particolare, ha criminalizzato la propaganda e l’incitamento alla discriminazione, alla violenza o alla commissione di atti di violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, fornendo nuovi strumenti per reprimere quelle condotte che, pur non configurando strettamente una “apologia del fascismo” ai sensi della Legge Scelba, potevano comunque rappresentare un grave pericolo per la coesione sociale e i principi democratici.
Differenza tra manifestazione del pensiero e esaltazione
La giurisprudenza, nel corso degli anni, ha cercato di affinare l’interpretazione del reato di apologia, distinguendo tra una mera “manifestazione del pensiero”, pur se critica o revisionista, e una vera e propria “esaltazione” che, per le sue modalità, il contesto e l’intento, sia idonea a rievocare l’ideologia fascista con pericolo di ricostituzione del partito o di diffusione di principi antidemocratici. È stato ribadito che l’elemento oggettivo del reato non consiste nella mera “offesa” all’ideale antifascista, ma nell’attività di propaganda che sia concretamente idonea a determinare il pericolo di rifondazione del disciolto partito fascista.
La proposta della Legge Fiano
La cosiddetta Legge Fiano (DDL n. 2196), proposta dall’onorevole Emanuele Fiano e discussa in Parlamento a partire dal 2017, rappresenta un tentativo significativo di aggiornare e rafforzare la legislazione italiana in materia di apologia del fascismo e manifestazioni fasciste e naziste. Sebbene non sia stata approvata nella sua forma originaria, essa mirava a introdurre una serie di modifiche alla Legge Scelba e alla Legge Mancino del 1993.
L’intento principale era quello di sanzionare non solo l’apologia di fascismo intesa come pericolo di riorganizzazione del partito fascista, ma anche la propaganda e l’esaltazione di simboli e gesti fascisti e nazisti, ampliando il raggio d’azione della norma per contrastare più efficacemente le derive neofasciste e neonaziste in un’epoca in cui tali manifestazioni sembrano riemergere, anche attraverso i canali digitali. Il dibattito ha acceso un’intensa discussione pubblica sulla libertà di espressione in contrapposizione alla necessità di tutelare i valori antifascisti fondanti della Repubblica Italiana, evidenziando la persistente complessità di bilanciare questi principi fondamentali nella società contemporanea.
Il dibattito sull’apologia di fascismo
Nonostante la consolidata giurisprudenza e la chiara impostazione legislativa, il dibattito sull’apologia del fascismo, come detto, rimane vivo in Italia. Spesso si accendono polemiche in relazione a manifestazioni, saluti romani, o simboli che rievocano il ventennio fascista. La difficoltà risiede talvolta nel distinguere tra una semplice rievocazione storica, un’espressione goliardica o provocatoria, e una vera e propria apologia che incarna il pericolo concreto di rinascita di un’ideologia liberticida.
Le criticità contemporanee sono amplificate anche dall’uso dei social media e di internet, che consentono una diffusione capillare e immediata di contenuti. Il confine tra la libertà di espressione, garantita dall’articolo 21 della Costituzione, e il limite imposto dalla tutela dei valori democratici e antifascisti è oggetto di costante attenzione da parte dei magistrati.