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La Noia | Il martirio di Suor Maria Laura Mainetti

Questa è la storia di un omicidio brutale, efferato, orrendo. Orrendo perché perpetrato ai danni di una persona che si trovava in quel luogo, quella sera, per aiutare una ragazza. Per dare sostegno, aiuto, conforto a qualcuno che, a quanto le era stato detto, ne aveva bisogno. Per quanto brutale, efferato e orrendo fu un omicidio di semplice risoluzione. Gli inquirenti arrivarono agli arresti in una ventina di giorni e le responsabilità furono assegnate con relativa semplicità. Non è questo, il fulcro di questa storia. Il fulcro è il perché. Non nel senso di movente, che si va che si va sempre a ricercare nei casi di omicidio. Un perché più grande, assoluto, esistenziale.

Una domanda a cui si fatica a dare una risposta perché quelle che vengono fuori sono talmente oscure da fare paura: come sono arrivate 3 ragazze minorenni a ideare, organizzare e realizzare un omicidio? Inquirenti, psicologi, psichiatri, persone comuni si sono scervellati di fronte all’enormità di un fatto del genere e forse ancor di più di fronte alla risposta che, a quella domanda, diede una delle tre.

Avete mai provato a stare seduti al tavolino di un bar per 6 ore?

Hanno ammazzato per noia

Avevano ammazzato per noia. Stavano sempre insieme, tutti i giorni, tutto il giorno, ai tavolini di un bar a bere, a parlare, a fantasticare. Fin quando hanno superato il confine che separa le fantasticherie dalla realtà, sovrapponendole e rendendo accettabile l’idea di tendere un agguato mortale a una persona mite e indifesa.

È una storia di frontiera questa, non solo in senso geografico, per la particolare collocazione di Chiavenna, paese della Valtellina che ne fu palcoscenico. È una storia che si incunea sul confine fra due millenni e fra due epoche. Prima del dilagare di internet, dell’avvento dei social network che favoriscono l’alienazione ma intrattengono, offrono ai ragazzi uno sguardo sul mondo, che hanno le loro storture, i loro baratri, ma che se fossero esistiti, in quei primi mesi del 2000, forse avrebbero incanalato la noia di Ambra, Veronica e Milena verso altro. Quei pomeriggi di nulla li avrebbero passati bevendo, tagliandosi le braccia e scrollando. Invece, un giorno, avevano deciso di ammazzare una suora.

L’omicidio della suora di Chiavenna

Chiavenna deve essere uno di quei posti che se ci vai in villeggiatura, o per un fine settimana, ti sembra un Paradiso, mentre se ci vivi, se ci sei nato, non hai nemmeno diciott’anni e la voglia di prendere a morsi la vita, rischia di sembrarti un Inferno. La valle, le chiese, gli alberi secolari, il basso continuo del fiume Mera che scorre in sottofondo, anziché darti la pace del silenzio ti agitano nella testa demoni urlanti e non hai la forza, la struttura, l’età, il sostegno esterno per tenerli a bada.

Qui, il 06 giugno del 2000, fu commesso uno degli omicidi più sconcertanti della storia recente del nostro Paese.

Fu un caso che impegnò non solo gli inquirenti e i giudici ma anche e soprattutto gli psicologi, gli psichiatri, gli opinionisti, non esclusivamente per accertare cosa fosse accaduto prima, per comprendere, o almeno provarci, quel perché, ma anche per stabilire cosa sarebbe dovuto seguire, quale fosse la pena giusta, che tipo di supporto e cura le assassine avrebbero meritato. La storia giudiziaria di questo caso, scritta nelle aule del Tribunale Minorile e nelle pagine delle perizie, fu altrettanto controversa, costringendo le parti in causa a questioni in punta di diritto ma anche di fioretto, e ci permetterà di affrontare concetti giuridicamente centrali come reformatio in peius e diritto all’oblio.

7 Giugno 2000: ritrovato il cadavere di Suor Maria Mainetti

Alle 6 di mattina del 07 giugno 2000, pochi giorni prima dell’inizio del Campionato Europeo di Calcio reso celebre da una frase ormai storica, Mo je faccio er cucchiaio, un pensionato entra in bicicletta nel Parco delle Marmitte dei Giganti di Chiavenna e, in un viottolo di sampietrini, si imbatte nel cadavere di Suor Maria Laura Mainetti, Madre Superiora dell’Istituto dell’Immacolata.

A terra è pieno di sangue, la religiosa è stata colpita in testa con una mattonella, e poi accoltellata 19 volte a torace, schiena, collo e viso.

Non appena si viene a sapere del fatto si scatena una ridda di voci incontrollate: alcuni parlano di un uomo del posto considerato violento, altri chiamano in causa i tossici di Chiavenna, ma i più sono convinti (come sempre in casi simili) che una roba del genere non possa essere opera di uno del posto, sarà stato sicuramente un forestiero. Qualcuno, con notevole eleganza, dice chiaramente ai cronisti che Sarà un negro.

Una determinata pista investigativa, gli inquirenti, la battono da subito. Non appena interrogano le consorelle di Suor Maria Laura ed il Parroco Don Ambrogio Balatti vengono a conoscenza di un fatto strano che potrebbe essere collegato all’omicidio.

Primi sospetti: quella richiesta di aiuto di una donna incinta

Pochi giorni prima, il 03 giugno, all’Istituto era giunta una telefonata; una giovane donna aveva chiesto di Suor Maria Laura alla quale aveva raccontato di chiamarsi Erica e di avere bisogno di aiuto in quanto rimasta incinta a seguito di una violenza sessuale. Invocava aiuto, conforto, aveva il terrore di comunicare la notizia ai genitori. La Superiora e la ragazza si danno dunque appuntamento per la sera stessa in Piazza Castello.

Vista la delicatezza della situazione Suor Maria Laura pensa di coinvolgere la propria amica Elide Luzzi, che si occupa del Centro di aiuto alla Vita locale. La Luzzi arriva in piazza e trova la Superiora e la ragazza sedute su una panchina. Racconterà agli inquirenti che la giovane aveva detto loro di essere stata stuprata un mese e mezzo prima da un uomo di circa cinquant’anni e di essere scappata di casa da tre giorni.

Durante questa conversazione la ragazza aveva ricevuto una telefonata, una volta attaccato aveva sostenuto fosse un’amica che la invitava a passare la notte da lei. Se ne era quindi andata.

Alle 22.00 del 06 giugno – orario tardo per le abitudini della Valle – il silenzio dell’Istituto viene rotto da un nuovo squillo del telefono. È ancora Erica che, verrà poi accertato, chiama da un telefono pubblico di Piazza Castello. Chiede a Suor Maria Laura di raggiungerla. Prima di uscire la Superiora, chissà se per istinto o per semplice abitudine, informa il Parroco, che, probabilmente allarmato da un’uscita a quell’ora, esce a propria volta. Arriva in piazza e trova Suor Maria Laura che lo rassicura, spiegandogli che Erica si è allontanata un attimo per recuperare delle valigie in macchina di un’amica. Successivamente, dice, la ragazza si trasferirà all’interno dell’Istituto. Il prete, tranquillizzato, se ne va.

Le 3 ragazze minorenni sotto la lente d’ingrandimento

L’appuntamento in piazza è dunque il punto di partenza per gli inquirenti, che devono ora capire cosa sia successo dopo, cosa abbia cioè portato la Suora a morire ammazzata nel parco poco distante. L’unico elemento certo è Erica, Elide Luzzi la ha vista e può aiutare a realizzarne un identikit. Dando momentaneamente per scontato che la ragazza sia realmente incinta si fanno ricerche negli ospedali della zona, senza esito. Gli inquirenti pensano a una tossicodipendente, anche se presto prendono in considerazione l’ipotesi Satanismo.

Il Comandante del Nucleo Operativo dei Carabinieri Raffaele Grega, ricorda di aver notato sulla scena una Stella di David rovesciata con accanto il numero 666 e che, avendo alla fine degli anni 90 lavorato alla scomparsa di Chiara Marino (verrà in seguito accertato che la ragazza fu vittima delle Bestie di Satana del varesotto), la suggestione era stata immediata.

Il paese è piccolo, la gente mormora e presto finiscono sotto la lente degli investigatori tre ragazze: Ambra Gianasso di 17 anni, Veronica Pietroballi e Milena Di Giambattista entrambe sedicenni. Nonostante fossero minorenni all’epoca dei fatti possiamo scrivere tranquillamente i loro nomi.

Scoperte grazie al Metodo Maigret

Oggi quelle tre persone non esistono più, vivono lontano da Chiavenna protette da nuove identità. Si sono rifatte una vita presto, due di loro hanno anche parlato pubblicamente dei fatti. Solo Ambra non ha mai voluto tornare sull’omicidio di Suor Maria Laura, scrivano d’altro, ha detto al suo Avvocato riferendosi ai giornalisti che la cercavano, rivendicando il Diritto all’oblio, ossia quella forma di garanzia che tutela la persona dalla diffusione senza particolari motivi di informazioni che possano costituire un precedente pregiudizievole del suo onore. Quindi, principalmente i suoi precedenti penali. Ha pagato, vedremo poi in che maniera, è la storia deve essere chiusa.

Si arriva alle tre minorenni grazie ad un carabiniere che, per dirla con Leonardo Sciascia, utilizza il Metodo Maigret. Il Commissario nato dalla fantasia di Simenon non appartiene alla schiera dei seguaci della logica tipici del Giallo Inglese, al contrario si immerge nelle atmosfere dei luoghi in cui i delitti su cui indaga sono stati commessi, annusandole alla ricerca dell’ispirazione.

Veronica, Ambra ed Erica

Il Carabiniere, infatti, comincia a frequentare assiduamente un Bar di Chiavenna. Si siede, ordina, passa lì del tempo, orecchia le chiacchiere degli avventori. Un giorno si presenta con un giornale che ha pubblicato l’identikit di Erica. Dopo aver consumato lo lascia aperto su un tavolino con la foto bene in vista, come se lo avesse dimenticato.

Più tardi torna. Il giornale è ancora lì. Sotto l’identikit qualcuno ha aggiunto una didascalia a mano: AMBRA.

Curiosamente, Ambra è il nome di una delle tre ragazze effettivamente coinvolte, anche se non di quella che Elide Luzzi aveva conosciuto e di cui era stato realizzato l’identikit. L’effettivo peso di Ambra in questa storiaccia sarà valutato nel corso del tempo in maniera altalenante.

Le 3 ragazze cominciano ad essere pedinate ed intercettate. Non sembrano curarsi particolarmente di tenere stretto il loro terribile segreto: ne parlano continuamente, non solo nel chiuso del loro trio ma anche ad altri. Non paiono inquietarsi nemmeno quando capiscono di essere pedinate, Veronica una sera, finito il suo turno in pizzeria, accetterà un passaggio in auto ben sapendo che l’uomo alla guida è un carabiniere che la segue da giorni.

Arresto delle 3 ragazze e interrogatori

Alle 06.00 del 28 giugno i carabinieri suonano simultaneamente alle porte delle ragazze. Avendole intercettate sapevano che le tre erano d’accordo: se fosse successo qualcosa, si sarebbero avvisate via sms. Gli inquirenti sono sulla porta di casa di Veronica, la ragazza è immobile in corridoio, si sente il trillo di un messaggio. È il messaggio di Ambra? chiede un carabiniere.

Conclusa con gli arresti la fase investigativa, si apre quella degli interrogatori e dei riscontri, seguita da quella delle perizie. Il tutto fa emergere prepotentemente uno scenario di disagio giovanile profondo. La Pubblico Ministero Maria Cristina Rota ricorda come la prima impressione ricavata sia stata quella di 3 ragazze Alla vista assolutamente normali.

Don Gino Rigoldi, parroco dell’Istituto Penitenziario Minorile Cesare Beccaria di Milano, in cui vengono portate immediatamente dopo l’arresto, le incontra. Uscito dal colloquio dichiara: Sono nel pallone. Come se fossero ripiombate all’improvviso nel nostro Mondo. Dormivano, sognavano, ora si sono ritrovate in un incubo. È come se il loro fosse stato un gioco, una sfida ad alto rischio oltre i confini del possibile.

Ragazze all’apparenza normali

I Media si buttano a pesce sul caso, raccogliendo una serie di interviste in giro per Chiavenna. Ne emerge un quadro preoccupante, quello di giovani privi di occasioni o di particolari centri di aggregazione, che passano le giornate buttati nei bar, in piazza, al massimo si concedono un giro al kartodromo poco lontano o la discoteca della domenica pomeriggio. L’abuso di sostanze è il denominatore comune: molto alcool, qualche pastiglia di ecstasy ma anche soluzioni più a buon mercato. A Chiavenna, infatti, è diffusa l’abitudine di sniffare il ghiaccio spray. Che sarà pure miracoloso – se è vero che grazie ad una rapida spruzzata calciatori che paiono sul punto dell’amputazione riprendono a correre perfettamente – ma sniffarlo non sembra una bellissima idea.

Le tre assassine, al di là di questi aspetti che riguardano in diversa misura un po’ tutti i giovani del luogo, hanno una faccia pubblica da persone inserite. Frequentano un importante Istituto Alberghiero della zona, tanto che una delle tre verrà arrestata a Rimini, dove sta lavorando per la stagione estiva. Chiunque venisse interpellato su che tipe fossero rispondeva Mah, normali. Lo stesso Avvocato di Parte Civile le ricorda così. Lo Psichiatra Massimo Picozzi, che verrà incaricato di svolgere sulle tre una perizia, aggiungerà un avverbio significativo, definendole Mostruosamente normali.

La ricostruzione dell’omicidio

Ma come si è svolto l’omicidio? Le ragazze spiegano che da tempo Suor Maria Laura era vittima di scherzi, da parte non solo loro ma anche di altri giovani di Chiavenna, e che erano arrivate a sceglierla come vittima dopo aver scartato altre possibilità. Prima avevano pensato ad un cane, ma Milena si era opposta perché amava gli animali più delle persone. Avevano in seguito valutato l’idea di uccidere un bambino, ma almeno quello gli era sembrato troppo. Poi l’attenzione si era spostata sul mondo clericale, e in seguito vedremo come il Satanismo, assumerà un ruolo centrale nella discussione processuale; prima avevano pensato di uccidere il Parroco, ma era troppo corpulento. Infine, avevano scelto la Madre Superiora.

La suora aveva avuto un sospetto

Nelle intenzioni l’omicidio doveva avvenire il 03 giugno, ma la presenza di Elide Luzzi lo aveva impedito. Tre giorni dopo avevano telefonato nuovamente e Suor Maria Laura aveva risposto che sarebbe andata all’appuntamento in compagnia del parroco ma Erica, cioè Ambra, era stata convincente nel dire che di fronte ad un’altra persona non sarebbe riuscita a parlare per la troppa vergogna. La Superiora si era quindi proposta di recarsi a casa della ragazza che però le aveva risposto che lì c’erano i suoi genitori, l’incontro si sarebbe necessariamente dovuto svolgere in Piazza Castello.
Da questa telefonata sembra emergere quantomeno un sospetto nella Suora, che pare non fidarsi. In realtà lo svolgimento dei fatti successivi certifica come in lei abbia comunque prevalso la misericordia e la volontà di fare del bene, che hanno avuto la meglio sull’istinto che le suggeriva di diffidare.

Lo scherzo della ragazza incinta

Ha telefonato Ambra ma in piazza, a recitare il ruolo di Erica c’è Veronica. Dice subito a Suor Maria Laura di volere andare all’Istituto, la Superiora acconsente e fa per avviarsi. Veronica le spiega che deve recarsi all’auto di una sua amica per prendere le sue poche cose. Suor Maria Laura attende in Piazza ed è in questo frangente che incontra Don Ambrogio, tranquillizzandolo. Il prete se ne va e sopraggiunge Ambra che sostiene di essere l’amica di Erica e che questa la sta aspettando all’inizio del viottolo del Parco delle Marmitte dei Giganti.
Lì ci sono Milena e Veronica, che spiega a Suor Mainetti che le amiche la accompagnano perché da sola non ce la fa. Neanche in questa strana situazione Suor Maria Laura sembra dubitare, probabilmente per quell’automatismo mentale che ci porta a identificare i nostri ragionamenti con quelli degli altri: mai la Superiora avrebbe pensato di aggredire qualcuno in un parco buio, di conseguenza avrà pensato che non fosse possibile che qualcuno potesse aggredire lei.

Che brave amiche che hai, dice.

Talmente brave che appena volta le spalle una di queste le spacca una mattonella in testa.

Dopo il brutale omicidio vanno al luna park con gli amici

Le 3 racconteranno in sede di interrogatorio di avere immaginato precedentemente la sequenza come molto semplice: dopo il colpo alla testa la vittima sarebbe caduta a terra e poi loro l’avrebbero colpita a turno, con sei coltellate per una. 666.

Ammazzare qualcuno è però molto più difficile di quanto si fossero immaginate: la colpiscono più volte in testa, Suor Maria Laura si dimena, non cerca di reagire ma prova a fuggire, la colpiscono disordinatamente ferendola con un totale di 19 colpi, uno in più di quanto preventivato. La Madre Superiora chiede perché le stiano facendo questo, giura che non racconterà niente a nessuno, che non le denuncerà.

Infine, stremata, si mette in ginocchio e implora un Dio che sta evidentemente guardando altrove di perdonare le sue assassine. Ambra dichiarerà in sede di perizia che arrivate a quel punto non potevamo più tornare indietro. Anni più tardi Veronica rilascerà un’intervista al giornalista di Panorama Giacomo Amadori nel corso della quale racconta di avere avuto tanta paura, e di ricordare un grande urlare, caos.

Dopo l’omicidio le 3 adolescenti lavano i due coltelli utilizzati per la mattanza in una fontanella della piazza, poi vanno al Luna Park con gli amici.

Questa la nuda cronaca dell’azione omicida. Come sono arrivate però, tre ragazze mostruosamente normali a ideare e pianificare un’enormità del genere?

“Eravamo 3 pezzi di un’unica testa”

Le 3 raccontano di stare sempre insieme: Eravamo 3 pezzi di un’unica testa. Nei primi interrogatori respingono l’idea che ci sia fra loro una figura di Leader, tratteggiando il disegno di una Dinamica di gruppo molto diffusa in età adolescenziale, soprattutto in determinati contesti. Viene definita Groupthink e si verifica quando la pressione a conformarsi agli ideali del gruppo diventa più forte del senso critico individuale. In parole povere, nella condivisione con gli altri membri del gruppo si trova il coraggio di fare cose che da soli non si farebbero mai.

Massimo Picozzi verrà incaricato di svolgere la perizia sulle tre ragazze e sosterrà che hanno ucciso per uscire da un’impasse, erano bloccate nella loro evoluzione.

Uccidere, in sostanza, diventa quello scopo che nella vita non avevano.

La natura problematica delle 3 ragazze

È evidente la natura problematica di Veronica, Ambra e Milena: pur riconoscendo come possa apparire priva di attrattive e sbocchi la quotidianità di un adolescente della Valchiavenna, questo da solo non basta a spiegare come si possa pensare di risolvere l’impasse di cui parla Picozzi con un omicidio.

Emerge presto come Veronica e Milena provengano da famiglie disfunzionali: la prima aveva cominciato a tagliarsi le braccia all’età di dodici anni, la seconda dichiara di avere cominciato a farlo dopo avere notato l’effetto tranquillizzante che i tagli avevano sull’amica che, dopo, sembrava molto meno nervosa.

La Noia come movente

Nei primi interrogatori successivi all’arresto insistono sul tema della Noia, Veronica sostiene di non saper dire perché lo hanno fatto, quel che è certo è che volevano fare il botto. Sembra quasi che vogliano far passare l’idea di un delitto contro Chiavenna, un posto noiosissimo in cui mai nulla succedeva.

Il Procuratore Capo di Sondrio Gianfranco Avella non crede al movente della noia e inizia a sospettare la presenza di una regia adulta.

C’è anche una testimone che dichiara di aver visto, la sera dell’omicidio, un’auto allontanarsi sgommando dalla scena, ma non fornisce ulteriori particolari.

A un certo punto, le tre tirano fuori l’argomento Satanismo. Sembra più che altro una posa, tanto che in sentenza si parlerà di satanismo fai da te, casareccio.

Il Satanismo Acido

C’è da dire che in quel periodo storico è centrale in Italia e non solo il tema del Satanismo Acido, ossia quella corrente totalmente slegata dal concetto di culto e ben più connessa alla sottocultura giovanile, al disagio sociale di adolescenti sbandati che si ritrovano in gruppo a commettere reati di vario genere, riconoscendo Satana semplicemente come simbolo di ribellione e maschera di trasgressione per antonomasia e che per questa ragione magari profanano cimiteri o imbrattano i muri con il 666 o la Stella di David rovesciata, senza tuttavia crederci davvero.
È detto Acido per il ruolo centrale che determinate sostanze stupefacenti recitano nelle azioni di questi gruppi. Sono giovani più vicini a passioni musicali estreme, come quella per il Death Methal, o per Marilyn Manson, che in quel periodo sta avendo talmente tanto successo da essere raccontato con toni allarmati e allarmanti dal Tg1 e soprattutto da indurre il mitologico Richard Benson a raccontare nel corso di una sua trasmissione di essere stato il suo ispiratore (è presente su YouTube un video imperdibile).

Il fatto che non si tratti di Satanismo vero e proprio non lo rende meno pericoloso, basti ricordare le malefatte di cui in Lombardia, in quegli anni, si sono macchiate le già citate Bestie di Satana. Allo stesso tempo è giusto riportare come anni dopo, uno dei leader di quella Setta, Andrea Volpe dichiarerà che si trattava più che altro di una maschera: eravamo un gruppo di sgavazzati. Strafatti, con la scusa del Satanismo, lasciarono una scia di morti che secondo alcuni è ancor più lunga di quanto stabilito dalle sentenze.

Per gli inquirenti è movente satanico

Ad ogni modo, il tema accende l’opinione pubblica ed ha un effetto anche sulle istituzioni, se è vero che in quel periodo viene addirittura creata la SAS, Squadra Anti Sette.

A distanza di decenni viene da chiedersi se tutto questo gran vociare intorno all’argomento non abbia sortito l’effetto opposto a quello desiderato, ossia di presentare a giovani problematici, come le 3 ragazze interrotte di Chiavenna, un bandiera sotto alla quale schierarsi, alla quale per loro iniziativa non avrebbero mai pensato.

Comunque, gli inquirenti chiudono le indagini ipotizzando il Movente Satanico, anche perché durante le perquisizioni a casa delle tre vengono ritrovati alcuni elementi che possono suggerire una lettura del genere: i diari sono zeppi dei consueti 666, di croci rovesciate, bestemmie ed insulti alla Chiesa Cattolica, litanie sataniche, citazioni evidentemente mal comprese di Charles Baudelaire e brani religiosi contrappuntati da riferimenti al Maligno. All’interno di un questionario scolastico, alla domanda su quale argomento lo studente vorrebbe fosse trattato all’interno del corso di studi una risponde Satana, un’altra Marilyn Manson.

Più che una setta, sembrano 3 ragazze disagiate che vanno alla ricerca di un gruppo in cui riconoscersi e rafforzare la propria identità.

Riti satanici e sedute spiritiche a metà tra bravate e idiozia

Massimo Picozzi spiega che spesso i gruppi giovanili che si macchiano di delitti diventano una Monade, esiste un’unica testa che uniforma i pensieri e le decisioni dei componenti.

Negli incontri con i periti le 3 a un certo punto provano a buttarla sul mistico e sull’occulto, raccontano di avere fatto sedute spiritiche Abbiamo cominciato a chiamare Satana ma non ci ha risposto. Sarà stato impegnato. Dicono però che hanno risposto altri spiriti, che gli hanno spesso lanciato segnali.

La Pm un giorno chiede a Veronica se abbia mai visto Satana, la ragazza risponde di no, e alla domanda successiva, cioè se sappia come si fa a vederlo, parte in quarta: guardandosi in uno specchio sul quale è stato scritto quattro volte il numero 6 in modo da formare una croce, recitando l’Ave Maria al contrario, a mezzanotte.

Aggiunge che pur avendo seguito scrupolosamente la procedura ha fallito per due volte.

È sempre lei a spiegare che il trio non ha mai pensato di aderire ad una setta satanica, ma di voler fare tutto nel chiuso del loro gruppo ristretto. E così cominciano a compiere riti che sembrano più un qualcosa a metà fra la bravata e l’idiozia: imbrattano di scritte il cimitero, rubano una Bibbia in chiesa, fanno un patto di sangue bevendo da un bicchiere una miscela del loro sangue sotto i portici della Chiesa di San Lorenzo, rubano l’acqua santa, la mischiano con il sangue e bevono il nuovo cocktail, compiono atti vandalici sulle auto (il risvolto satanico di questa azione non è dato saperlo), rubano un cane con l’idea di ammazzarlo ma poi desistono perché Milena si professa animalista.

C’è stato il coinvolgimenti di adulti?

Come quasi sempre in questi casi, l’unità del gruppo, di fronte all’accertamento delle responsabilità, comincia presto ad accusare le prime incrinature. Secondo Ambra e Milena la mente è Veronica che aveva stilato addirittura una lista di azioni da compiere, alcune veramente assurde, come rubare le ostie, fare scritte con il sangue delle vittime, buttare una bomba in chiesa.

Veronica sostiene che l’idea dell’omicidio di Suor Maria Laura è nata come quella di un rito satanico, con il tempo però hanno continuato a organizzarlo per noia, senza più pensare al Maligno.

Ambra e Milena sostengono di avere avuto a un certo punto un ripensamento ma che Veronica aveva risposto che ormai era deciso, che lei lo avrebbe fatto anche da sola. Tutta questa confusione induce la procura a pensare, come detto, ad un coinvolgimento di persone adulte, anche perché ad un certo punto sia Ambra che Milena suggeriscono questa lettura. La prima racconta che subito dopo l’omicidio aveva visto una macchina bianca con a bordo una o due persone allontanarsi dalla zona, e che Veronica aveva sostenuto che forse qualcuno a Chiavenna aveva saputo che le tre avevano ucciso Suor Mainetti e le avrebbe protette.

Un alone di mistero che rimane

Aggiunge poi che l’amica le aveva confidato che probabilmente alcuni membri di una setta avevano assistito nascosti all’omicidio, come per dare copertura, e che presto sarebbero state contattate per entrare nella Setta. Inoltre mentre si accingevano a lavare i coltelli sarebbe sbucato dal nulla un uomo sui 25 anni che serafico si dirigeva verso il luogo dell’omicidio. L’Avvocato Michele Cervati, che a questa vicenda ha dedicato un libro, ribadisce che un alone di mistero rimane.

Riesumazione del cadavere

Veronica, dal canto suo, nega recisamente il coinvolgimento di estranei. Nel dubbio, viene decisa la riesumazione del cadavere, al fine di svolgere analisi approfondite che possano valutare la presenza di colpi che siano stati vibrati da persona dotata di maggiore forza rispetto a quella delle tre ree confesse. Gli esami danno esito negativo.

Anche in questo caso il tema della capacità o meno di intendere e di volere è dirimente. Con una ulteriore complicazione: mentre il Diritto Penale Ordinario si concentra sul reato, quello Minorile si concentra sul Minore, sulla sua personalità che è in via di evoluzione. Per tale ragione il collegio giudicante è composto anche da psicologi, psichiatri e altri specialisti: serve una valutazione extra giuridica.

Infatti, la Capacità di intendere e di volere di un minore fra i quattordici e i diciotto anni va sempre dimostrata, al contrario di quanto accade nei maggiorenni, per i quali è sempre presunta.

Inoltre bisogna tenere presente il concetto di Diffusione di responsabilità, cioè quel fenomeno sociopsicologico in virtù del quale le persone hanno minori probabilità di assumersi la responsabilità di un’azione se anche altri sono presenti. Ne abbiamo parlato illustrando il concetto di Groupthink.

“Credevo a Satana perché era un po’ di moda”

L’onere di accertare la capacità o meno di intendere e di volere delle tre ricade su Massimo Picozzi e sulla Psicologa Roberta Perduca.

Viene fuori dai colloqui che i genitori di una delle 3 si erano interessanti di spiritismo ed occultismo e la avevano portata ad assistere ad alcuni esorcismi, bisogna quindi valutare se questo sia valso come condizionamento o meno. Le tre rilasciano dichiarazioni che sembrano sminuire l’importanza del Satanismo, come “Credevo a Satana perché era tra virgolette un po’ di moda – Volevamo mettere un po’ di paura alla gente – Eravamo annoiate, ci faceva schifo il posto dove vivevamo – Volevamo fare qualcosa di grosso – Non sopportavamo nessuno.”

Secondo Massimo Picozzi “Nel volgere di poche settimane le tre erano arrivate a coagularsi finendo per formare un gruppo che potesse assolvere a due contemporanee funzioni: da un lato costituire una sorta di contesto familiare sostitutivo, dall’altro sentendosi tre parti di un’unica testa praticavano il tentativo di accedere a un’identità altrimenti irraggiungibile.” In parole povere nessuna delle tre si sentiva in grado, da sola, di raggiungere un proprio senso di identità, esistevano solo in quanto gruppo.

Risultati delle perizie psichiatriche

A Milena e Veronica viene diagnosticato un disturbo di personalità di tipo Borderline, ad Ambra un disturbo Dipendente di personalità e un Disturbo da stress post – traumatico. Tutte e 3 hanno aspetti narcisistici e depressivi.

Veronica e Milena vengono valutate parzialmente capaci di intendere e di volere al momento del fatto e socialmente pericolose, Ambra è invece considerata pienamente capace di intendere e di volere.

Il processo

Il Processo inizia il 05/02/2001 presso il Tribunale Minorile di Milano e viene celebrato con il Rito abbreviato, cioè basandosi solo sugli atti di indagine del Pm, senza istruttoria dibattimentale (in sintesi quindi niente contraddittorio, niente interrogatori in Aula, niente testimoni). Questa scelta garantisce per legge all’imputato lo sconto di 1/3 della pena. Oggi non è più possibile richiederlo per reati che prevedano la pena dell’ergastolo.

La Corte rinvia, disponendo un’ulteriore perizia che ribalterà parzialmente le conclusioni cui erano giunti Picozzi e Perduca.

I 3 specialisti incaricati sostengono che Satanismo e Marilyn Manson sono l’esile involucro alla necessità delle tre di rappresentare, drammatizzandola, la propria realtà interna. Le dinamiche di gruppo sono considerate centrali.

A Milena e Veronica viene attribuita una ridotta capacità di intendere al momento dei fatti, mentre era totalmente assente quella di volere. Ambra viene considerata totalmente incapace di intendere e di volere.

Le sentenze: condannate

Il 09 agosto la Sentenza di Primo Grado certifica che il Satanismo non sia il movente, ma ha rappresentato uno spunto, una cornice imprescindibile, un catalizzatore di dinamiche emozionali diverse, e condanna Veronica a otto anni e sei mesi, Milena a otto anni, sei mesi e venti giorni (per entrambe viene quindi sposata la tesi Picozzi – Perduca), mentre Ambra viene assolta per totale incapacità di intendere e di volere e mandata in comunità.

Le pene inflitte sono così tenui in relazione alla gravità del delitto non solo per la scelta del rito abbreviato ma anche per le peculiarità del Diritto Minorile di cui abbiamo scritto in precedenza.

Il 04 aprile 2002, in Appello, la posizione di Ambra cambia radicalmente: viene condannata a 12 anni e 4 mesi in quanto ritenuta totalmente capace di intendere e di volere.

Le pene delle altre due vengono confermate per una questione procedurale: al termine del Processo di Primo Grado sia le difese delle ragazze che il Pubblico Ministero avevano fatto ricorso in Appello, ma quello del Pm era stato giudicato inammissibile. Di fatto, quindi, è come se ad impugnare la decisione siano state solo le Difese. In simili casi è previsto in Italia il Divieto di reformatio in peius; cioè, se a fare Appello è solo l’imputato la pena non può essere, nel grado successivo, aumentata.

La Cassazione confermerà la sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello.

Papa Francesco riconosce il martirio di Suor Maria Laura

Nel 2004 Veronica viene trasferita in comunità, a Roma.

Nel 2005 si apre il Processo Diocesano per la beatificazione di Suor Maria Laura. Nel 2006 Milena viene affidata a Exodus, la Comunità di Don Mazzi, il quale oltre ad andare spesso ospite in televisione dalla zia di tutti gli italiani Mara Venier, da molti anni si occupa del recupero dei tossicodipendenti.

Nel 2007 ad Ambra viene concessa la semilibertà. Nel 2008 Veronica diventa mamma.

Nell’agosto del 2012 Milena torna nelle vicinanze di Chiavenna per fare da testimone di nozze, in Chiesa, alla sorella, scatenando feroci polemiche.

Nel 2020 Papa Francesco riconosce il martirio di Suor Maria Laura, in quanto il suo omicidio è stato commesso in odium fidei.

Nel giugno 2021, a Chiavenna, si svolge la Cerimonia di Beatificazione.

Oggi sono 3 donne con una famiglia e una vita privata

Questa storia, più di altre, si lascia alle spalle molte domande.

Le 3 ragazze oggi sono donne quarantenni, hanno studiato, si sono laureate, hanno messo su famiglia, lavorano e vivono una vita normale. Qualcuno si chiederà se questo sia giusto. Non tanto da un punto di vista giuridico – la pena è inflitta con la finalità della rieducazione del condannato sempre, a maggior ragione in casi di reati commessi quando la personalità del colpevole era ancora in evoluzione – quanto da quello morale.

Per quanto brutale possa suonare sembra quasi che le 3, dall’omicidio, ci abbiano guadagnato. In carcere non sono state nemmeno 4 anni e il loro percorso successivo, oltre a munirle di strumenti che non avevano, ha aperto per tutte e tre porte che, nel Piccolo Mondo Antico di Chiavenna, non avrebbero nemmeno visto col binocolo. E a dirlo è la stessa Veronica nel colloquio con Panorama Mi sento in colpa quando lo dico, ma quella tragedia mi ha salvato dalla mia adolescenza. Il carcere, gli psicologi, mi hanno permesso di diventare una persona che altrimenti non sarei mai stata.
Ha spiegato anche come gli anni nel carcere minorile siano stati i più belli della sua vita. Le avevano dato regole, limiti, possibilità: tutto quello che a Chiavenna non aveva, tutto ciò che serve per fare di un adolescente un adulto che sia davvero normale.

Rassegnati a non capire

Rimane il dubbio su come si viva portandosi dietro il peso di un passato del genere, se sia possibile chiuderlo e renderlo solo qualcosa di lontano e dimenticato, che non appartiene a questa vita ma ad un’altra, ormai archiviata. O se quando ti ritrovi da solo con i tuoi demoni, alle proverbiali quattro del mattino, l’angoscia e un po’ di vino, questi bussano da dentro a spiattellarti in faccia l’insuperabilità di quanto hai commesso.

E le famiglie, dove trovano la forza di fronteggiare tutto questo? Il padre di Veronica ha detto una volta, semplicemente: mi sono rassegnato a non capire.

Inoltre, è giusto che chi le incontra oggi, chi ci lavora insieme, chi le ospita a cena in casa propria, non sappia cosa ci sia nel loro passato? È una garanzia davvero necessaria e corretta il Diritto all’oblìo? Aver scontato la pena, avere dimostrato di essere persone diverse, conferisce davvero il diritto di nascondere agli altri il proprio vissuto?

La vittima era una donna buona e misericordiosa

Come sempre, non bisogna dimenticarsi della vittima. Una donna buona e misericordiosa, che a 61 anni aveva ancora tanto tempo per fare del bene.

Suor Maria Laura, nonostante tutto, è riuscita a continuare la propria opera di carità. La Fondazione a lei intitolata, pur nell’esiguità degli spazi e nella difficoltà di reperire finanziamenti, insegue principalmente due finalità: combattere il disagio giovanile e aiutare giovani donne in difficoltà.

Per evitare che un domani, qualche ragazza interrotta di una qualsiasi Provincia meccanica, decida di sconfiggere la noia ammazzando una suora.

Edoardo Ciufoletti

Edoardo Ciufoletti è attore e autore teatrale. Da sempre studioso e appassionato di cronaca nera.