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Carcere dell’Asinara, storia di una delle progioni più temute d’Italia

L’isola dell’Asinara, un gioiello naturalistico immerso nelle acque cristalline della Sardegna nord-occidentale, è strettamente legato alla presenza di un famosissimo istituto penitenziario che per oltre un secolo ne ha caratterizzato l’identità e la percezione, portandola addirittura ad essere associata al termine “Alcatraz d’Italia”.

Dalla sua istituzione a fine Ottocento fino alla sua definitiva chiusura, il carcere dell’Asinara è stato testimone di vicende umane e storiche incredibili, riflettendo le trasformazioni politiche e sociali dell’Italia e divenendo, nel tempo, simbolo di isolamento e rigore.

Dalla quarantena al lazzaretto

Le radici dell’Asinara come luogo di isolamento risalgono a ben prima della nascita del vero e proprio carcere. Già in epoche remote, la sua posizione geografica isolata la rendeva ideale per scopi di quarantena. Nel 1885, un decreto reale sancì la destinazione dell’isola a lazzaretto di Stato e a colonia penale agricola. Una decisione non casuale, ma nata in risposta alla duplice esigenza di arginare la diffusione di epidemie, come il colera e la peste, che periodicamente flagellavano l’Europa, e di trovare un luogo idoneo per l’internamento di soggetti ritenuti pericolosi per la società, in un periodo di crescente fermento sociale e di intensificazione della repressione statale.

Per fare spazio a queste nuove funzioni, la popolazione residente, composta prevalentemente da pastori e pescatori (circa 500 persone), fu coattivamente trasferita a Stintino, un villaggio fondato appositamente sulla terraferma, a testimonianza del drastico impatto che le scelte statali ebbero sulla vita delle comunità locali. L’istituzione del lazzaretto e della colonia penale segnò l’inizio di un’era in cui l’Asinara si sarebbe configurata come un luogo di esclusione e di controllo, un anticipo del suo futuro ruolo.

La nascita del carcere dell’Asinara

Ufficialmente, il carcere dell’Asinara iniziò la sua attività nei primi anni del ‘900, affermandosi rapidamente come una delle strutture detentive più severe e temute d’Italia. La sua conformazione geografica, l’assenza di collegamenti stabili con la terraferma e la presenza di correnti marine complesse rendevano di fatto impossibili le evasioni, garantendo un livello di sicurezza difficilmente replicabile altrove.

Inizialmente, il carcere fu destinato alla reclusione di criminali comuni, spesso condannati per reati gravi. Tuttavia, con l’avvento dei conflitti mondiali e l’inasprirsi dei regimi politici, la tipologia di detenuti si ampliò. Durante la Prima Guerra Mondiale, l’Asinara divenne campo di prigionia per migliaia di soldati austro-ungarici, molti dei quali perirono a causa delle difficili condizioni igienico-sanitarie e delle epidemie. Questa fase storica, sebbene meno nota rispetto agli eventi successivi, contribuì a consolidare la fama dell’isola come luogo di sofferenza e isolamento. Il carcere si sviluppò con diversi distaccamenti, tra cui Fornelli, Cala d’Oliva, Tumbarino, ognuno con specifiche funzioni e livelli di sicurezza, spesso basati sul lavoro agricolo o di costruzione per i detenuti.

Il periodo fascista e la reclusione politica

Con l’instaurazione del regime fascista, il ruolo del carcere dell’Asinara assunse una nuova, e ancora più drammatica, connotazione. L’isola divenne un luogo di confino e di reclusione per dissidenti politici, antifascisti e oppositori del regime.

Intellettuali, giornalisti, sindacalisti e militanti di ogni estrazione politica, colpevoli di non allinearsi all’ideologia dominante, furono spediti all’Asinara, dove le condizioni di detenzione erano particolarmente dure, caratterizzate da isolamento, privazioni e sorveglianza costante. In questo periodo l’uso del carcere divenne strumento di repressione politica, un luogo dove le voci discordanti venivano soffocate e dove la libertà di pensiero era severamente punita. La lontananza e l’inaccessibilità dell’isola garantivano al regime di operare in un relativo silenzio, lontano dagli occhi dell’opinione pubblica, rendendo l’Asinara un simbolo della violenza autoritaria.

Gli anni di piombo e il carcere di massima sicurezza

Il periodo più noto del carcere dell’Asinara coincide con gli anni di piombo, l’epoca del terrorismo e della criminalità organizzata che sconvolse l’Italia tra gli anni ’70 e ’80. A partire dal 1975, con la legge Gozzini, l’Asinara fu destinata a carcere di massima sicurezza per i detenuti più pericolosi, appartenenti alle organizzazioni terroristiche (Brigate Rosse, Nuclei Armati Proletari, Prima Linea, etc.) e alle più potenti cosche mafiose.

La struttura fu blindata, con l’implementazione di sistemi di sorveglianza all’avanguardia e di un regime detentivo estremamente rigoroso, il cosiddetto carcere duro, riassumibile nel famoso articolo 41-bis. Le celle erano singole, i colloqui limitati, e la possibilità di contatti esterni quasi inesistente. In questo periodo, l’Asinara ospitò figure di spicco della criminalità e del terrorismo, che approfondiremo in seguito, diventando un simbolo della lotta dello Stato contro queste piaghe. La sua fama di “Alcatraz italiana” crebbe esponenzialmente, alimentata dalle vicende giudiziarie e dai timori per possibili evasioni e l’isola si trasformò in una fortezza inespugnabile, custode dei segreti e delle strategie criminali più efferate.

Il ruolo nei maxi processi

Un capitolo fondamentale nella storia recente del carcere dell’Asinara fu il suo ruolo di supporto ai grandi processi contro la mafia e il terrorismo. Negli anni ’80 e primi anni ’90, l’isola divenne un luogo centrale per la detenzione dei principali imputati dei maxi processi, in particolare quello di Palermo contro Cosa Nostra.

In questo periodo si vide un’intensificazione dell’attività carceraria, con un numero elevato di detenuti di altissimo profilo e la necessità di un coordinamento costante tra le forze dell’ordine e le istituzioni giudiziarie.

Inoltre, il carcere divenne anche il luogo in cui Giovanni Falcone e Paolo Borsellino trascorsero gran parte del tempo duranti i processi, insieme alle loro famiglie, per tenerli al sicuro da eventuali attentati, cosa che, purtroppo, come tutti sappiamo, non fu sufficiente per salvarli dalle tristemente note stragi nelle quali persero la vita.

Tuttavia, proprio in questi anni, iniziarono a farsi strada le prime discussioni sulla sua sostenibilità economica e sulla sua potenziale riqualificazione. La complessità gestionale di un carcere isolato, i costi elevati per la sua manutenzione e la crescente attenzione alla tutela ambientale dell’isola spinsero verso una riflessione sul suo futuro.

Cdefinitiva e nascita del Parco Nazionale

Dopo oltre un secolo di attività, il carcere dell’Asinara chiuse definitivamente i battenti nel 1997. Questa decisione non fu improvvisa, ma il risultato di un lungo dibattito che aveva visto contrapporsi diverse visioni. Da un lato, la necessità di modernizzare il sistema penitenziario italiano e di superare modelli detentivi considerati anacronistici. Dall’altro, la crescente consapevolezza del valore naturalistico e ambientale dell’isola.

La chiusura del carcere aprì la strada a un ambizioso progetto di riqualificazione, culminato con l’istituzione del Parco Nazionale dell’Asinara nel 1997, contemporaneamente alla chiusura della struttura. Oggi, l’isola è un’area marina protetta e un parco terrestre, riconosciuto a livello internazionale per la sua straordinaria biodiversità e per la presenza di specie endemiche, come l’asinello bianco. I vecchi edifici carcerari, in parte restaurati e in parte lasciati a testimonianza del passato, sono diventati un ricordo storico e un’occasione per riflettere sulla giustizia, sulla libertà e sul rapporto tra uomo e natura.

I detenuti “illustri” e l’unica evasione della storia

Nel corso della sua lunga storia, come detto in precedenza, il carcere dell’Asinara ha ospitato un’ampia galleria di personaggi tristemente noti, la cui presenza ha contribuito ad alimentare la leggenda dell’isola come luogo di detenzione inaccessibile.

Tra i detenuti più celebri spiccano i nomi di esponenti di spicco delle Brigate Rosse, come Renato Curcio e Mario Moretti, figure centrali del terrorismo rosso italiano. Ma l’Asinara divenne anche la prigione per eccellenza dei boss della mafia siciliana e della ‘ndrangheta calabrese, e della Camorra, tra cui il sanguinario boss della Nuova Camorra Organizzata, Raffaele Cutolo, Totò Riina e Leoluca Bagarella, protagonisti di pagine oscure della storia criminale italiana. Altri nomi famosi sono Renato Vallanzasca, Giuseppe Calò, Valerio Fioravanti, condannato per la strage di Bologna, e Mario Tuti.

L’evasione di Matteo Boe

La presenza di questi pezzi da novanta della cronaca nera italiana rafforzò l’immagine di un carcere invalicabile. Tuttavia, la sua reputazione fu messa alla prova da un evento che divenne quasi leggendario: l’evasione di Matteo Boe, l’unica nella storia di questo carcere. Criminale sardo, specializzato in sequestri di persona, Matteo Boe riuscì nell’impresa di fuggire dall’Asinara il 1° settembre 1986. La sua fuga, rocambolesca e cinematografica, avvenne via mare, utilizzando un gommone che si presume sia stato calato da un elicottero o prelevato da un complice. Questo episodio, come detto, unico nella storia del carcere di massima sicurezza, dimostrò una falla nel sistema di sorveglianza e rese ancora più celebre la figura del criminale in questione, che diventò uno dei 30 latitanti più pericolosi d’Italia, oltre a imprimere un segno indelebile nella storia penitenziaria italiana, sollevando interrogativi sulla reale inaccessibilità del luogo.

Pierfrancesco Palattella

Giornalista, Web Writer, Seo copy, fondatore di La Vera Cronaca