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Scioperi

Perchè si sciopera di venerdì? Non è una questione di weekend lungo

Ogni volta che viene annunciato uno sciopero, in particolare nel settore dei trasporti pubblici o della logistica, e la data prescelta cade di venerdì, puntualmente sale l’indignazione che attraversa l’opinione pubblica, i social media e talvolta anche la sfera politica.

La narrazione prevalente, spesso alimentata da commenti sarcastici e da una frustrazione comprensibile da parte dell’utenza, è che i lavoratori scelgano strategicamente l’ultimo giorno della settimana lavorativa per garantirsi un “weekend lungo”.

L’interpretazione, per quanto immediata nella sua semplicità, è non solo riduttiva ma sostanzialmente errata sotto il profilo dell’analisi sindacale, economica e normativa. La scelta del venerdì risponde infatti a precise logiche di pressione negoziale, a strategie di visibilità e, paradossalmente, a rigidi vincoli di legge che lasciano pochi altri spazi di manovra.

Logica del massimo impatto e della visibilità

Per comprendere la ricorrenza del venerdì bisogna innanzitutto tornare alla definizione stessa di sciopero: un’astensione collettiva dal lavoro finalizzata a esercitare una pressione sulla controparte (il datore di lavoro o il governo) attraverso la creazione di un disservizio o di un danno economico. Uno sciopero che non crea disagio è, per definizione, uno sciopero fallito, in quanto privo di forza contrattuale. Nel settore dei servizi pubblici essenziali, e in particolare nel trasporto locale e nazionale, il venerdì rappresenta il giorno perfetto in questo senso.

Il venerdì è infatti il giorno in cui si sommano diverse tipologie di flussi: al traffico dei pendolari (studenti e lavoratori) che si muovono come negli altri giorni feriali, si aggiunge il movimento di chi rientra verso le città di origine per il fine settimana (i fuori sede) e il flusso turistico in uscita verso le località di villeggiatura. Bloccare o rallentare il servizio in questa giornata garantisce ai sindacati la massima visibilità possibile. Se lo sciopero avvenisse di martedì o mercoledì, il disagio sarebbe confinato all’utenza pendolare; di venerdì, l’impatto mediatico e sociale si moltiplica, costringendo l’opinione pubblica e le istituzioni a parlare della vertenza. È una tattica di amplificazione del conflitto necessaria quando i tavoli di trattativa sono bloccati.

Il mito del “ponte” e il costo per il lavoratore

Uno degli argomenti più solidi per smontare la teoria del “weekend lungo” risiede nella natura stessa del sacrificio economico richiesto al lavoratore. Scioperare non è una vacanza retribuita, ma un diritto costituzionale che comporta un costo diretto e immediato: la trattenuta in busta paga. Aderire a uno sciopero di 24 ore significa perdere una quota della retribuzione mensile, una cifra che per molte categorie del trasporto pubblico o della logistica può aggirarsi tra gli 80 e i 100 euro netti, se non oltre.

Pensare che un lavoratore, spesso con stipendi che faticano a tenere il passo con l’inflazione, rinunci volontariamente a una giornata di paga solo per “riposarsi” tre giorni di fila è una lettura che non tiene conto della realtà economica delle famiglie. Lo sciopero è spesso l’ultimo strumento utilizzato quando ogni altra forma di dialogo ha fallito. La coincidenza con il venerdì non rende la trattenuta meno amara; al contrario, spesso i lavoratori scioperano nonostante le perdite economiche, proprio per difendere contratti scaduti o condizioni di sicurezza precarie.

Normativa e ruolo della Commissione di Garanzia

Un aspetto tecnico fondamentale, spesso ignorato nel dibattito pubblico, riguarda il complesso sistema di regole che disciplina lo sciopero in Italia, in particolare la Legge 146 del 1990 e le successive modifiche. Non è vero che i sindacati possono scioperare quando vogliono. Esiste un’autorità indipendente, la Commissione di Garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, che vigila sul rispetto di regole ferree.

Il calendario degli scioperi è un percorso contorto nel quale esistono periodi difranchigia” in cui è assolutamente vietato scioperare: durante le festività natalizie e pasquali, nei periodi di esodo estivo, durante le elezioni e in concomitanza con altri eventi di rilievo nazionale. Inoltre, vige la regola della “rarefazione oggettiva“, che impedisce di proclamare scioperi nello stesso settore o bacino di utenza se non è trascorso un certo intervallo di tempo (spesso 10 o 20 giorni) dall’astensione precedente, anche se indetta da una sigla sindacale diversa.

In questo contesto, come intuibile, le date disponibili si riducono drasticamente. Spesso il venerdì rimane l’unica opzione percorribile per rispettare i tempi tecnici di preavviso (solitamente 10 giorni) e incastrarsi tra una franchigia e l’altra, evitando al contempo di sovrapporsi ad altre agitazioni già calendarizzate. La scelta del giorno è quindi frequentemente il risultato di un calcolo di esclusione burocratica più che di una preferenza utilitaristica.

Le dinamiche industriali e la logistica

Se ci spostiamo dal trasporto passeggeri a quello delle merci e alla logistica industriale, la scelta del venerdì assume un significato ancora più strategico legato alla supply chain. Nelle moderne economie basate sul “just in time“, le scorte di magazzino sono ridotte al minimo, con le aziende che tendono a spedire o ricevere merci il venerdì per garantire la continuità produttiva o commerciale all’inizio della settimana successiva.

Uno sciopero piazzato di venerdì nella logistica o nei trasporti cargo interrompe questa catena di approvvigionamento, creando un effetto domino che si ripercuote sul lunedì mattina. Se le merci non partono venerdì, non arrivano a destinazione per l’apertura settimanale, causando un danno economico alle imprese committenti molto più elevato rispetto a un blocco infrasettimanale, che potrebbe essere recuperato più facilmente il giorno successivo.

In questo caso, l’obiettivo del sindacato è colpire il profitto aziendale per costringere i datori di lavoro a sedersi al tavolo delle trattative con proposte concrete.

Matteo Di Medio

Giornalista - Content Manager presso Linking Agency; Caporedattore e Autore presso Giocopulito.it e Influentpeople.it