L’affidamento dei figli è una tematica di fondamentale importanza nel diritto di famiglia italiano, disciplinata con l’obiettivo primario di tutelare il benessere e l’interesse superiore del minore.
Quando una coppia si separa o divorzia, la questione relativa a chi debba prendersi cura dei figli, come debbano essere mantenuti e come debbano interagire con entrambi i genitori, diventa ovviamente centrale. La normativa italiana in materia ha subito diverse evoluzioni nel corso degli anni, passando da un sistema che privilegiava l‘affidamento esclusivo a uno che promuove l’affidamento condiviso, riconoscendo il diritto del minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori.
In questo articolo parliamo di:
Il principio dell’affidamento condiviso
Il fulcro della legislazione italiana sull’affidamento dei figli è rappresentato dalla Legge 8 febbraio 2006, n. 54, che ha introdotto il principio dell’affidamento condiviso come regola generale.
Prima di questa legge, l’affidamento esclusivo a uno dei genitori era la norma, con l’altro genitore che aveva un diritto di visita. La riforma del 2006 ha radicalmente cambiato questa prospettiva, stabilendo che, anche in caso di separazione o divorzio, i figli minori hanno il diritto di mantenere un “rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori”, di ricevere cure, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti con gli ascendenti e i parenti di ciascun ramo genitoriale.
Cosa significa concretamente affido condiviso
L’affidamento condiviso non implica necessariamente una ripartizione paritaria dei tempi di permanenza del minore presso ciascun genitore, ma piuttosto una condivisione delle responsabilità genitoriali e delle decisioni più importanti riguardanti la vita del figlio (salute, istruzione, educazione, etc.), ovvero che anche se il minore vive prevalentemente con un genitore (il genitore “collocatario“), le scelte fondamentali vengono prese di comune accordo da entrambi. L’obiettivo è quello di garantire la bigenitorialità, ossia il diritto del figlio a godere della presenza e del contributo educativo di entrambi i genitori, anche se non vivono più insieme. La legge, infatti, si focalizza sull’interesse del minore, che è considerato prevalente rispetto a quello dei singoli genitori.
L’affidamento esclusivo
Nonostante l’affidamento condiviso sia la regola, la legge prevede la possibilità di disporre l’affidamento esclusivo a uno solo dei genitori, ma solo in casi eccezionali e quando l’affidamento condiviso sia contrario all’interesse del minore. L’articolo 337-quater del Codice Civile stabilisce che il giudice può disporre l’affidamento esclusivo a uno dei genitori se ritiene che l’affidamento all’altro genitore sia pregiudizievole per il figlio.
Motivazioni e casi di affido esclusivo
I casi in cui si può ricorrere all’affidamento esclusivo sono tassativi e devono essere provati in giudizio. Tra le motivazioni più comuni che possono portare a una decisione di affidamento esclusivo rientrano la comprovata inidoneità educativa di un genitore (ad esempio, a causa di gravi patologie psichiatriche, dipendenze da alcol o droghe che rendano il genitore incapace di prendersi cura del figlio in modo adeguato), condotte violente o abusive, gravi inadempienze ai doveri genitoriali (come la totale disinteressato nei confronti del figlio o il mancato versamento reiterato dell’assegno di mantenimento), o situazioni in cui la conflittualità tra i genitori è talmente elevata da impedire qualsiasi forma di collaborazione e da arrecare grave pregiudizio al benessere psicofisico del minore.
In ogni caso, la decisione sull’affidamento esclusivo deve essere attentamente motivata dal giudice e basarsi su elementi oggettivi e concreti, volti a dimostrare che tale soluzione sia l’unica in grado di tutelare l’interesse del minore.
La collocazione del minore e il diritto di visita
Una volta stabilito il regime di affidamento (condiviso o esclusivo), il giudice deve determinare la collocazione del minore, ossia presso quale dei due genitori il figlio avrà la residenza prevalente. Tale decisione, come detto, non incide sull’affidamento condiviso, ma determina il luogo in cui il minore vivrà abitualmente. Nella scelta della collocazione, il giudice tiene conto di numerosi fattori, tra cui la continuità delle relazioni affettive, l’ambiente di vita del minore, la vicinanza alla scuola e alle attività sportive, e la capacità dei genitori di garantire un ambiente stabile e sereno.
Al genitore non collocatario viene riconosciuto un diritto di visita e frequentazione del figlio, che viene dettagliatamente regolamentato dal giudice. Le modalità e i tempi di visita vengono stabiliti tenendo conto dell’età del minore, delle sue esigenze e dei suoi desideri (se ritenuto capace di discernimento). Spesso si prevedono weekend alternati, periodi di vacanza estiva e invernale divisi tra i due genitori, e la possibilità di trascorrere con il figlio festività e ricorrenze speciali. In alcuni casi, soprattutto in presenza di forte conflittualità o di problematiche specifiche, il giudice può prevedere modalità di visita protette, con la presenza di un terzo neutrale, o presso spazi neutri. L’obiettivo è sempre quello di garantire al genitore non collocatario la possibilità di mantenere un rapporto con il figlio, evitando che il legame affettivo si affievolisca.
Il mantenimento e l’assegno di mantenimento
Parallelamente alle questioni relative all’affidamento e alla collocazione, il giudice deve stabilire le modalità e l’entità del mantenimento dei figli. Entrambi i genitori, infatti, sono tenuti a provvedere al mantenimento del minore in proporzione al proprio reddito e alla propria capacità economica, anche se non vivono più insieme. Il principio, sancito dall’articolo 337-ter del Codice Civile, è un dovere irrinunciabile e imprescrittibile.
Per garantire il mantenimento, il giudice stabilisce un assegno di mantenimento periodico che uno dei genitori (solitamente quello non collocatario) versa all’altro, che copre le spese ordinarie del figlio (vitto, alloggio, abbigliamento, istruzione). L’importo dell’assegno viene calcolato tenendo conto di diversi fattori, tra cui: le esigenze attuali del figlio, il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio (o convivenza), le risorse economiche di entrambi i genitori e i tempi di permanenza del figlio presso ciascun genitore.
Oltre all’assegno ordinario, il giudice può prevedere la ripartizione delle spese straordinarie (ad esempio, spese mediche non coperte dal servizio sanitario nazionale, corsi sportivi, gite scolastiche), che solitamente vengono suddivise al 50% tra i due genitori o in percentuale diversa a seconda delle capacità economiche. L’assegno di mantenimento è soggetto a rivalutazione annuale secondo gli indici ISTAT e può essere modificato dal giudice qualora subentrino rilevanti variazioni nelle condizioni economiche dei genitori o nelle esigenze dei figli (ad esempio, licenziamento).
Il ruolo del Giudice e l’interesse del minore
In tutte le decisioni relative all’affidamento dei figli, il ruolo del giudice è centrale e orientato, come sottolineato in precedenza, alla massima tutela dell’interesse del minore. Il giudice non si limita ad applicare la legge in modo meccanico, ma valuta attentamente ogni singolo caso, tenendo conto delle specificità della famiglia, delle dinamiche relazionali tra i genitori e, soprattutto, delle esigenze psicofisiche del figlio. Proprio per questo, in alcuni casi, può avvalersi di consulenze tecniche d’ufficio (CTU), nominando psicologi o mediatori familiari per acquisire elementi utili alla decisione.
Inoltre, il minore, se ritenuto capace di discernimento (non esiste un’età minima stabilita dalla legge, ma solitamente si considera a partire dai 12 anni, o anche prima se particolarmente maturo), ha il diritto di essere ascoltato dal giudice in merito alle sue preferenze e ai suoi desideri. Tale pratica è un adempimento fondamentale e obbligatorio, a meno che il giudice non ritenga che ciò sia manifestamente superfluo o contrario all’interesse del minore. La volontà del figlio minorenne, pur non essendo vincolante, viene presa in seria considerazione, per valutare la sua maturità e la consapevolezza delle sue scelte.
Consuetudine di affidare i figli alla madre
Fin qui la parte regolamentativa: nella realtà dei fatti, come sempre, le cose prendono spesso un’altra piega. Caratterizzata da litigi, minacce, ritorsioni e figli usati come strumenti di ricatto nei confronti dell’altro coniuge oltre che da un dato di fatto: salvo rare eccezioni, quando a prevalere non è l’affido congiunto i figli vengano quasi sempre affidati alla madre (leggi: La realtà sommersa dei padri separati senza diritti). Realtà, quest’ultima, molto diffusa ne nostro Paese al punto che la Corte Europea, in passato, aveva richiamato le istituzioni italiane per la violazione dei diritti umani perpetrata a danno dei padri separati. Nella stragrande maggioranza dei casi infatti, l’assegnazione dei figli (e della casa) va alla madre, con tutte le conseguenze che ciò implica.