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Il Mostro di Firenze: storia di Pietro Pacciani /3. Chi è il mostro?

Michele Giuttari, capo della Squadra Mobile di Firenze, è convinto che dietro Pacciani, Vanni e Lotti ci sia qualcun altro. Un fattore fondamentale per ricostruire la storia del Mostro di Firenze.
Anche il magistrato Canessa ne è convinto. Stando a quanto riferito da Lotti, ci sarebbe un dottore che compra le parti asportate alle vittime: “Mi ha detto questo dottore che andava a Mercatale da Pietro… per prendere questa roba delle donne… dice che gliele pagava, poi io…”.
Le indagini, allora, s’indirizzano verso persone di un altro ambiente, rispetto a quello dei Compagni di merende, persone con un più elevato livello culturale e sociale, che potrebbero anche avere conoscenze esoteriche. Forse, fanno parte di una setta che usa feticci di donne per compiere particolari riti. Forse.
Ma questa dei mandanti e dei riti, secondo Giuttari, è una pista supportata da elementi concreti: gli omicidi sono rituali, attuati vicino a corsi d’acqua, cimiteri, chiese sconsacrate, vicino ad alberi dal significato esoterico: cipressi, viti; sono avvenuti sempre nelle notti di novilunio, perpetrati con le stesse armi e sono mutilate donne che si trovano in atteggiamenti amorosi con un uomo.

Mandanti dietro al Mostro di Firenze?

A rinforzare questa pista, c’è anche la storia dei soldi. Pacciani, nel periodo degli omicidi, inizia, inspiegabilmente, a diventare ricco, tanto da permettersi l’acquisto di due case e una macchina. Calcolandolo con i parametri odierni, il patrimonio di Pacciani si aggirava intorno a parecchi milioni di lire, novecento per l’esattezza.
Anche Vanni, che faceva il postino, tra il 1981 e il 1996, ha parecchi soldi: novantatré milioni in banca e cinquantatré in buoni postali. Ma da dove arrivano questi soldi? Secondo Suor Elisabetta, la suora che conobbe Pacciani quando era detenuto nel carcere di Sollicciano e che gli faceva da assistente spirituale, la provenienza di quei soldi è così spiegata:
“Pacciani mi disse che tali somme derivavano in parte dai proventi del suo lavoro in carcere, durante il periodo della prima detenzione, in parte da somme che aveva ricevuto dalla propria sorella, in parte dalle pensioni dei suoceri e ancora in parte dal proprio lavoro”.
Ma secondo la polizia di Firenze, quei soldi sono stati dati a Pacciani e Vanni da gente ricca e insospettabile. Si continua a battere la pista del medico. Sempre per Giuttari, le prime mutilazioni sono opera di uno esperto, che mostra agli altri come si deve fare. C’è, infatti, una differenza tra i primi tagli, eseguiti con precisione chirurgica, e gli ultimi, effettuati, invece, grossolanamente.

Il Gruppo Investigativo Delitti Seriali

Nel maggio del 2003, è istituito il GIDES, Gruppo Investigativo Delitti Seriali, con a capo Michele Giuttari e costituito da un pool di investigatori specializzati. Nelle mire del Gruppo Investigativo torna un farmacista di San Casciano, Francesco Calamandrei, già emerso nel corso delle indagini, nel 1998, perché il suo nome era comparso in alcune lettere anonime e perché, vox populi, è dedito a questioni e pratiche esoteriche.
Calamandrei, sotto indagine per i delitti compiuti nelle campagne intorno a Firenze, è ora accusato di essere uno dei possibili mandanti di quei duplici omicidi. Non solo, potrebbe essere anche uno dei mandanti dell’uccisione di un medico perugino, tale Francesco Narducci, un gastroenterologo appartenente a una nota famiglia umbra, dedito pure lui a pratiche esoteriche e a riti satanici, ritrovato morto sulle rive del lago Trasimeno nell’ottobre del 1985, appena dopo l’ultimo atto del mostro di Firenze.
Il coinvolgimento di Narducci nella storia del Mostro parte a seguito dell’intercettazione di una telefonata fatta da alcuni pregiudicati, che minacciano una certa Dora: “ (…) fai la fine del medico ucciso sul Trasimeno”.

Lo strano suicidio di Narducci

Il sottile riferimento è sicuramente rivolto a Narducci, ma le cose non tornano. Il caso del Trasimeno fu archiviato nel 1985 come suicidio e non come omicidio. Partono le indagini. E qui la storia è lunga e complicata, un’altra storia, in pratica, che andrebbe analizzata a parte.
Inizialmente, nel 1985, la morte di Narducci fu giustificata come suicidio, ma riesumando la salma, diciassette anni dopo, e facendo le analisi autoptiche dovute, non eseguite nel 1985, si arrivò a dimostrare l’omicidio. Narducci era stato strangolato. Qualcuno l’aveva ucciso, presumibilmente, per non farlo parlare o agire di nuovo.
Già, perché tra le tante, c’è anche l’ipotesi che il Mostro sia lui, Francesco Narducci. Alcune lettere anonime, arrivate nelle mani della polizia, subito dopo l’omicidio agli Scopeti, lo collegano ai delitti fiorentini.
A detta della gente, poi, Calamandrei conosceva quel medico e quel medico frequentava i luoghi dove furono consumati i delitti, in molti, infatti, testimoniarono di averlo visto. Forse, i due facevano parte della stessa organizzazione segreta (quella di San Casciano Val di Pesa, chiamata: “Setta della Rosa Rossa e della Croce d’Oro”).
Così, nell’avviso di garanzia, si precisa che Calamandrei avrebbe commissionato l’uccisione di Narducci: “… Allo scopo di perseguire per sé e per gli altri l’impunità da altri reati”, quelli del Mostro, appunto. Narducci, quindi, potrebbe essere stato ucciso perché sapeva la verità sul Mostro e voleva parlare o perché era lui stesso il Mostro e doveva essere fermato.

Coinvolgimento di una loggia Massonica

Su l’ipotesi Narducci-mostro di Firenze, si cominciò a parlare anche del coinvolgimento di una potente loggia massonica di Perugia, che sarebbe riuscita, ricorrendo agli alti livelli, ad insabbiare le prove e ad ostacolare le indagini, per evitare, di fatto, il coinvolgimento del medico, e di eventuali altri, nella vicenda.
Ecco perché doveva risultare un suicidio e non un omicidio, quello del medico, per evitare ulteriori indagini. Ed ecco perché, altro fatto assai strano, il corpo ritrovato sulle rive del lago Trasimeno, non era di Francesco Narducci ma di un altro uomo, effettivamente, morto per annegamento e poi scambiato con il vero Narducci poco prima della tumulazione.
Caso contorto, prima dichiarato e archiviato come suicidio, nel 1985, poi, riaperto come omicidio, nel 2002 e, alla fine, chiuso nel 2012 (salvo poi essere riaperto nel 2013): Francesco Narducci si tolse la vita. Così sostenne il GUP di Perugia, Paolo Michele che proscioglie una ventina di persone, tra le quali il padre del medico, professor Ugo Narducci, accusate di associazione per delinquere, di falso, omissione di atti d’ufficio e occultamento di cadavere.
L’avvocato Falcinelli sottolineò: “ Il professor Ugo Narducci ha sempre sostenuto che il figlio morì per suicidio l’8 ottobre del 1985. La sentenza da’ atto di ciò argomentando compiutamente anche in relazione ai convergenti esiti probatori dai quali emerge definitivamente l’inesistenza di un collegamento tra Francesco Narducci e le vicende del cosiddetto Mostro di Firenze”.

Nuove indagini: chi è il Mostro di Firenze?

Anche Calamandrei fu assolto con formula piena dalle accuse a suo carico, alla fine di un processo, con rito abbreviato, iniziato a settembre del 2007 e conclusosi il 21 maggio 2008. Altre indagini, intanto, portarono:

  • a un appuntato dei carabinieri che secondo Lotti avrebbe dato a Pacciani quei proiettili calibro 22 usati nei duplici omicidi;
  • a un giornalista accusato di aver spedito ai Carabinieri di San Casciano l’asta guida-molla di una beretta;
  • a una donna, riconoscibile nella moglie di un medico fiorentino, molto noto negli anni ottanta, che si sarebbe introdotta in casa di Pacciani la sera del 22 gennaio 1996 e, dopo aver stordito Angiolina Manni con del Tavor, avrebbe cercato e forse trafugato qualcosa.

Indagini, che lentamente scivolano in prescrizione, mentre la Squadra Antimostro, il 30 giugno 2005 si scioglie. Nel 2013 gli ultimi sviluppi: la pistola del Mostro, la famosa Beretta calibro 22, sarebbe stata ritrovata in un armadio della polizia giudiziaria dei carabinieri di Potenza.

La verità sul Mostro

La matricola C3322 ha permesso di risalire alla vendita, avvenuta il 3 marzo 1960 in un’armeria di Sassari. L’acquirente è un certo Stefano Aresti, amico di Salvatore Vinci, il fratello di quel Francesco Vinci indagato nel 1982 come possibile autore dei duplici omicidi di Firenze.
Tutte le armi con quella matricola sono state rintracciate, eccetto quella venduta ad Aresti, non esiste nessuna denuncia né passaggio di proprietà. La notizia potrebbe essere davvero interessante, ma bisogna ricordare che l’amico di Salvatore Vinci si chiamava Franco e non Stefano e che le prove fatte dal Ris di Roma non confermerebbero che l’arma sia la stessa usata dal Mostro. Ancora un nulla di fatto. Dov’è la verità sul Mostro di Firenze?


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