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La Pietà di Michelangelo restaurata: storia del capolavoro

Il lungo restauro della Pietà di Michelangelo è stato completato al Museo dell’Opera del Duomo. Il restauro, finanziato dall’associazione statunitense Friends of Florence, onlus, è iniziato nel novembre 2019 ed è stato interrotto più volte a causa delle restrizioni dovute alla pandemia.
Altrimenti conosciuta come la Pietà Bandini, la campagna ha fornito un’opportunità unica per esplorare la complicata storia della scultura e le tecniche utilizzate dal Buonarroti per creare il capolavoro. Uno degli obiettivi principali era quello di ottenere una comprensione equilibrata dell’opera rimuovendo l’accumulo di polvere sulla superficie, che alterava la percezione dello spettatore del colore e della qualità scultorea.

Come sono stati eseguiti i lavori di restauro

Il risultato finale rivela l’intensa bellezza di quella che fu forse l’opera d’arte più tormentata di Michelangelo. La scelta di effettuare il restauro in un luogo ad accesso libero ha garantito ai visitatori del Museo dell’Opera del Duomo la possibilità di seguire il restauro in corso.
Ora si è deciso di mantenere la piattaforma rialzata utilizzata per il restauro fino al 30 marzo 2022, in modo che i visitatori possano vedere da vicino e da una prospettiva singolare la Pietà restaurata. Le quattro figure della statua, tra cui l’anziano Nicodemo con il volto di Michelangelo, sono stati ricavati da un unico blocco di marmo alto più di due metri e del peso di circa 2.700 chilogrammi.

Il marmo usato da Michelangelo per realizzare la Pietà

Dagli accertamenti diagnostici è emerso che il marmo era originario di cave situate a Seravezza, nel nord della Toscana, e non di Carrara, come si credeva in precedenza. Si tratta di una scoperta significativa in quanto le cave di Seravezza erano di proprietà della famiglia Medici e Giovanni de’ Medici, che sarebbe poi diventato Papa Leone X, aveva incaricato Michelangelo di utilizzare questo particolare marmo per realizzare la facciata della basilica di San Lorenzo a Firenze e di aprire una rotta marittima per il trasporto della materia prima.
Resta tuttavia un mistero come questo enorme blocco di pietra fosse a disposizione di Michelangelo a Roma quando scolpì la Pietà tra il 1547 e il 1555. Quello che sappiamo è che Michelangelo non era minimamente soddisfatto della qualità del marmo poiché presentava minuscole fratture impossibili da individuare dall’esterno e venature che si sarebbero rivelate improvvisamente durante il processo di scultura.

La querelle del marmo troppo ‘duro’

Il restauro ha confermato che il marmo utilizzato per realizzare la Pietà era effettivamente difettoso. Nelle sue Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architetti (1550), Giorgio Vasari descrisse il marmo come “duro”, “pieno d’impurità” e che “scintillava” ad ogni colpo di scalpello.
Il restauro ha portato alla luce diverse sezioni di pirite incastonate nella pietra, indubbiamente derivate da scintille durante la lavorazione del marmo, oltre a innumerevoli microfratture, in particolare una sul fronte e sul retro della base. La teoria è che, incontrando la frattura mentre scolpiva il braccio sinistro di Cristo e il braccio della Vergine Maria, Michelangelo fu costretto a rinunciare al progetto perché non poteva concludere la commissione.

L’ipotesi che Michelangelo scelse di distruggere la scultura a colpi di martello

Un’altra ipotesi è che Michelangelo, ormai in età avanzata e scontento del prodotto finale, abbia deciso di distruggere la scultura a colpi di martello. Il restauro, tuttavia, non ha mostrato prove a sostegno di questa teoria, a meno che il collega scultore Tiberio Calcagni non abbia cancellato i segni.
Questa campagna può essere considerata il primo restauro della Pietà, in quanto le fonti storiche non riportano particolari interventi nel passato, a parte il “completamento” della statua ad opera di Tiberio Calcagni avvenuto prima del 1565. In una vita di oltre 470 anni e passando di mano una moltitudine di volte, la Pietà aveva subito solo manutenzioni ordinarie mai documentate.

I test effettuai sull’opera prima del restauro

I test sono stati condotti prima del restauro, che hanno fornito informazioni chiave sulla scultura e guidato il processo. Sulla Pietà non è stata riscontrata alcuna patina storica, ad eccezione di poche tracce sulla base, mentre i depositi superficiali erano notevoli, tra cui una grande quantità di intonaco, residuo del calco eseguito nel 1882, che aveva lasciato un ben visibile candore ed eccessiva secchezza in superficie.
La cera era stata applicata ripetutamente sopra l’intonaco nel tempo per rimediare all’effetto. Il naturale invecchiamento della cera, misto ad un accumulo di polvere, soprattutto nelle pieghe degli indumenti, in netto contrasto con i sottosquadri più chiari, ha conferito alla superficie un effetto cromatico ambrato e sbilanciato.

Storia della Pietà

La Pietà dell’Opera del Duomo è una delle tre statue scolpite da Michelangelo. A differenza delle altre due, la Pietà Vaticana e la Pietà Rondanini (nel nel Castello Sforzesco di Milano), il corpo di Cristo è trattenuto non solo da Maria, ma anche da Maria Maddalena e dall’anziano Nicodemo.
Il motivo per cui l’artista scolpì il proprio volto su Nicodemo è spiegato dai coetanei di Michelangelo, i biografi Giorgio Vasari e Ascanio Condivi, i cui scritti ci informano che la scultura doveva originariamente sedere sull’altare di una chiesa romana, alla cui base l’artista voleva essere sepolto.
Michelangelo avrebbe scolpito la Pietà dell’Opera del Duomo tra il 1547 e il 1555. Non terminò l’opera e donò la statua al suo servitore Antonio da Casteldurante che, dopo averla fatta restaurare da Tiberio Calcagni, la vendette al banchiere Francesco Bandini per 200 ecu. Bandini fece collocare la scultura nei giardini della sua villa romana a Montecavallo.

Il lungo viaggio della Pietà fino al ritorno al Duomo di Firenze

Nel 1649 gli eredi Bandini vendettero la Pietà al cardinale Luigi Capponi, che la fece trasferire nel suo palazzo di Montecitorio e quattro anni dopo a Palazzo Rusticucci Accoramboni. Il 25 luglio 1671 fu venduto a Cosimo III de’ Medici, Granduca di Toscana, tramite il nobile intermediario Paolo Falconieri.
Dopo altri tre anni a Roma, per problemi di trasporto, la Pietà fu spedita da Civitavecchia a Livorno nel 1674, e da lì lungo l’Arno a Firenze, dove fu collocata nei sotterranei della Basilica di San Lorenzo. Vi resterà fino al 1722, quando Cosimo III lo fece alloggiare sul retro dell’altare maggiore della Cattedrale di Santa Maria del Fiore.
Nel 1933 la scultura fu trasferita nella Cappella di Sant’Andrea per darle maggiore visibilità. Tra il 1942 e il 1945, per proteggerla dalla guerra, la Pietà fu restituita al Duomo. Nel 1949 l’opera fu ricollocata nella Cappella di Sant’Andrea, dove rimase fino al 1981, quando fu trasferita nel Museo dell’Opera del Duomo per non distrarre dal culto a causa dell’alto numero di turisti che desideravano vedere sia per questioni di sicurezza (a Pietà Vaticana era stata vandalizzata nel 1972).
Verso la fine del 2015, nel nuovo Museo dell’Opera del Duomo, la Pietà è stata posizionata al centro della Tribuna di Michelangelo, su un basamento che ricorda l’altare per il quale la scultura aveva stato inteso.

Pubblicato in Focus

Scritto da

Giornalista di inchiesta, blogger e rivoluzionario

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