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Irpef: tra scaglioni e aliquote come potrebbe cambiare

Il tema dell’Irpef è, in Italia, tra quelli che periodicamente tornano ad agitare le acque della politica. Che la pressione fiscale nel nostro Paese sia troppo elevata è ormai un dato di fatto: una stortura da raddrizzare anche se la discussione continua a restare sul piano teorico senza effettive ricadute pratiche.
Tutti i governi che si sono succeduti lo hanno brandito come slogan per crearsi consensi: se Silvio Berlusconi, agli albori della sua avventura politica, aveva elevato proprio le tasse a tema principale della sua propaganda con il famoso slogan “Meno tasse per tutti”, anche chi lo aveva preceduto e chi lo ha seguito non è stato da meno (eccezion fatta per il governo tecnico di Mario Monti).
Ultimamente a tenere banco è il tema dell’Irpef: si sta pensando, almeno così si dice, di apportare modifiche a una delle tante imposte cui gli italiani sono soggetti.

Come funziona l’Irpef:

Irpef è l’acronimo di Imposta sul Redditio delle Persone Fisiche e gli ormai famigerati scaglioni in cui essa è suddivisa non rappresentano altro che le tasse pagate dai cittadini in relazione ai redditi percepiti, sia che derivino da lavoro dipendente che da pensione.
Nata con la riforma tributaria del 1973, questa imposta è da sempre al centro di dibattiti in riferimento proprio alla possibilità di modificare l’essenza degli scaglioni che rispondono al principio stabilito dalla Costituzione in base al quale ogni cittadino deve contribuire alla fiscalità generale in proporzione alla propria forza economica.
Proprio dall’articolo 53 della nostra Carta discende quindi la progressività delle aliquote, ovvero l’aumento dell’imposta in maniera più che proporzionale rispetto a quello dell’imponibile.
Un principio che esclude in linea di principio l’accoglimento di quella flat tax (tassa piatta) più volte proposta, una sorta di aliquota unica per tutti, che andrebbe ad erodere il disposto sancito costituzionalmente.

Una discussione di vecchia data:

Come abbiamo già ricordato si tratta di una discussione di vecchia data, destinata a ritornare spesso d’attualità soprattutto in periodi di crisi economica, quando le risorse finanziarie dei cittadini sono talmente scarse da gelare i consumi.
Anche l’esecutivo guidato da Matteo Renzi si è trovato di fronte al problema tanto da spingere il Presidente del Consiglio ad ipotizzare una revisione delle aliquote entro il 2018.
In base a quanto emerso nelle ultime settimane, la modifica potrebbe essere introdotta sin dal prossimo anno e anche il Premier ha anticipato sulla sua pagine Facebook novità in tal senso.
In particolare sembra che le ipotesi studiate in ambito governativo prevedano l’eliminazione di due scaglioni di reddito, portando quindi il complesso delle aliquote da 5 a 3. L’obiettivo, come ovvio, sarebbe quello di abbattere la pressione fiscale.

Gli attuali cinque scaglioni Irpef di reddito:

Attualmente gli scaglioni di reddito sono cinque e il meccanismo delle aliquote viene suddiviso in base a questi livelli di reddito percepito:

  1. il primo scaglione va da 0 a 15mila euro di reddito percepito nell’anno;
  2. il secondo scaglione da 15.001 a 28mila euro;
  3. il terzo scaglione da 28.001 a 55mila euro;
  4. il quarto scaglione da 55.001 a 75mila;
  5. il quinto scaglione riguarda i percettori di redditi superiori ai 75mila euro annui.

Per quanto riguarda le percentuali da pagare esse partono dal 23% del primo scaglione; passando per 27%, 38% e 41% rispettivamente del secondo, terzo e quarto scaglione; fino al 43% per la quinta e ultima fascia.

Le intenzioni del Governo sull’irpef:

Da quanto emerso sinora sarebbe intenzione dell’esecutivo portare il numero delle aliquote a quattro o a tre con un taglio che dovrebbe essere più corposo nel caso dei redditi più bassi, in particolare nelle prime due fasce.
Per effetto di quanto preannunciato, il taglio di un punto sul primo scaglione porterebbe il massimo da pagare dagli attuali 3.450 euro a 3.300 euro all’anno, mentre per il secondo scaglione si passerebbe da 7.560 a 7.280 euro.
Naturalmente l’ipotesi allo studio deve anche fare i conti con le risorse disponibili e con il pessimo stato dei conti pubblici soggetti ad una crescita molto più stentata del previsto. Il peso della manovra comporterebbe infatti la necessità di reperire 3 miliardi di euro.

Dove trovare le risorse per tagliare l’Irpef?

Altra ipotesi sul tavolo è quella di una dilatazione del rapporto tra deficit e Pil tale da portarlo dall’1,9% al 2,1%, ipotesi che però comporta un beneplacito da parte dell’Unione Europea tutt’altro che scontato.
Se la Commissione sembra contraria a concedere nuova flessibilità al nostro Paese, dall’altra parte vanno menzionati gli allarmi provenienti da più parti e relativi allo stallo dell’economia italiana, bisognosa dunque di stimoli.
Va infine ricordato che i provvedimenti dovranno essere inseriti nella prossima legge di stabilità in modo da poter entrare in vigore dal primo giorno di gennaio del 2017.

Pubblicato in Focus

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