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Caso Abu Omar: dal rapimento alla condanna per l’Italia

A distanza di oltre dieci anni il caso Abu Omar torna ad occupare le prime pagine dei giornali grazie alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che condanna l’Italia.
La sentenza in questione si riferisce ad un caso di sequestro di persona avvenuto nel 2003 a Milano e passato ormai alle cronache come inquietante episodio di azione illegale con il supporto dei servizi segreti americani.
Vittima del sequestro, l’Imam (ovvero, la guida spirituale) della moschea di Milano Hassan Mustafa Osama Nasr, rapito il 17 febbraio mentre si stava recando proprio alla moschea per la preghiera di mezzogiorno.
L’uomo fu rapito da alcuni agenti della CIA, successivamente trasferito alla base area di Aviano per essere riportato nel suo paese di origine: l’Egitto.

Il rapimento di Abu Omar:

Quella mattina, mentre camminava per strada, Abu Omar, cittadino egiziano con residenza italiana grazie allo status di rifugiato, viene avvicinato da un uomo con accento italiano sceso da una Fiat rossa.
L’uomo in questione mostra all’Imam un tesserino da poliziotto e gli chiede di favorire i documenti di identità. Fatto sdraiare per terra, Abu Omar viene poi immobilizzato, bendato e sollevato da altri uomini sopraggiunti nel frattempo alle sue spalle. Viene quindi caricato in un furgone per essere portato via. Il tutto viene visto da una donna che abita in quella strada ed era affacciata al balcone.

Il ruolo dei servizi segreti italiani:

In quegli anni in Italia era in corso un’indagine su Abu Omar, che verrà poi condannato proprio nel nostro paese a 6 anni di reclusione per associazione a delinquere finalizzata al terrorismo internazionale.
Alcuni controlli avevano fatto sorgere il sospetto che l’uomo potesse essere invischiato in un progetto teso a realizzare un attentato contro una scuola americana. E questo spiega l’intervento della Cia, aiutata nelle sue indagini dal Sismi.
Grazie alla collaborazione dei servizi segreti italiani e di un sottufficiale del Ros, Abu Omar viene rapito e riportato in Egitto, ove verrà sottoposto a pesanti torture.

Primo rilascio di Abu Omar:

Abu Omar viene rilasciato circa un anno dopo, nel 2004. Tuttavia dopo poco tempo viene nuovamente arrestato in Egitto con l’accusa di aver violato il patto di riservatezza che aveva accettato in cambio della sua liberazione.
Alcune indiscrezioni rivelano che l’uomo avesse chiamato la famiglia in Italia e avesse raccontato delle torture e dei numerosi maltrattamenti subiti. Fu liberato nel 2007, ma l’Egitto non gli avrebbe concesso l’espatrio in Italia.
In questi anni, sembra che Abu Omar avrebbe rifiutato un accordo con la Cia che, in cambio del suo silenzio sul caso, era disposta ad erogargli più di 2 milioni di dollari, oltre che riconoscere la cittadinanza americana a lui ed all’intera sua famiglia.
L’ex Imam di Milano preferisce continuare a denunciare le torture subìte e chiedere il rientro in Italia, ove comunque lo attenderebbe un’ordinanza di arresto per la sua attività terroristica.

Il ruolo dell’Italia nel sequestro:

Intanto le autorità italiane dichiarano la loro estraneità al rapimento di Abu Omar e negano di aver fatto parte ad un’operazione di “extraordinary rendition”, ovvero un rapimento con detenzione illegale compiuto dagli Stati Uniti con la collaborazione di un altro paese.
Nel 2006 arrivano le prime verità sul caso. A seguito di alcune indagini della Digos di Milano si ipotizza eventuale complicità nel rapimento da parte di alcuni uomini italiani, tra i quali Niccolò Pollari, ex capo del Sismi come allora si chiamava il servizio segreto militare italiano.
Un anno dopo, nel febbraio del 2007, il gup Caterina Interlandi manda a processo Niccolò Pollari, l’agente segreto Mancini e altre 32 persone, tra cui 26 agenti della Cia. Tra il 2005 ed il 2013 cui verrà riconosciuto il segreto di Stato da quattro diversi governi (Prodi, Berlusconi, Monti, Letta) garantendo COSì l’impunità agli uomini del nostro Servizio segreto militare.

Prime sentenze:

Nel novembre 2009 Pollari e Mancini vengono prosciolti in primo grado proprio in virtù del segreto di Stato. Condanne tra 5 e 8 anni vengono stabilite per gli agenti Cia mentre ad Abu Omar va un risarcimento di 1 milione di euro e altri 500 mila euro alla moglie.
Nel 2010 il procuratore generale Piero De Petris chiede 12 anni in appello per Pollari e Castelli, 10 per Mancini ma l’appello che giunge pochi mesi dopo conferma il verdetto di primo grado. Pollari e Mancini vengono assolti in quanto dichiarati non giudicabili.

Assoluzione definitiva:

In data 19 settembre 2012 la Cassazione annulla con rinvio la sentenza d’appello pronunciata nei confronti degli ex vertici del Sismi Nicolò Pollari e Marco Mancini che erano stati dichiarati non processabili per il segreto di Stato.
Pochi mesi dopo, a febbraio 2013, la corte d’appello di Milano, condanna Nicolò Pollari a 10 anni di reclusione e il suo numero due Marco Mancini a 9 anni, limitando l’ambito di applicazione del segreto di Stato.
Un anno dopo la Consulta risolve un conflitto di attribuzione tra Governo e Cassazione-Corte d’appello, dando ragione all’esecutivo e dichiarando i fatti coperti da segreto di stato.
Così a febbraio 2014 la Corte di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza di condanna e assolve definitivamente Nicolò Pollari, Marco Mancini e gli altri agenti coinvolti nella storia. La motivazione è che l’azione penale non poteva essere proseguita per l’esistenza del segreto di stato.

Condanna della Corte europea sui diritti dell’uomo:

Dopo 13 anni dalla vicenda, la Corte europea sui diritti dell’uomo di Strasburgo ha condannato l’Italia per aver violato, con il suo segreto di Stato, i fondamentali principi della Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo.
Secondo i giudici di Strasburgo, tenuto conto delle prove si stabilisce che le autorità italiane “erano a conoscenza che Abu Omar era stato vittima di un’operazione di extraordinary rendition, da parte della Cia, cominciata con il suo rapimento a Milano e continuata con il suo trasferimento all’estero“.
L’Italia avrebbe quindi violato il diritto di Abu Omar a non essere sottoposto a tortura e maltrattamenti oltre che il diritto dell’ex imam e della moglie al rispetto della vita familiare. Il nostro paese dovrà ora pagare 70 mila euro a Abu Omar e 15 mila a sua moglie per danni morali.

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Scrittore, giornalista, ricercatore di verità - "Certe verità sono più pronti a dirle i matti che i savi..."

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