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Giovani e crisi: un’ intera generazione senza speranza

Nelle scorse ore la trasmissione Report, in onda su Rai 3, ha dedicato una puntata ai cosiddetti giovani, concetto sempre più largo nel nostro paese che raccoglie adulti fino ai 40 anni di età e oltre (non a caso molti degli intervistati avevano più di 30 anni, eccezion fatta per gli ospiti stranieri).
Molto spesso la crisi dei giovani, che è poi la crisi di un intero sistema (come piace chiamarla a Confindustria), viene fatta coincidere con la crisi altrettanto reale che investe il mondo della conoscenza; purtroppo non è solo questo.
Quella via all’emancipazione per la quale le generazioni precedenti hanno tanto combattuto ovvero il Diritto allo Studio come strumento di liberazione dalla schiavitù fisica e intellettuale, ha mostrato risvolti inaspettati che nel lungo periodo hanno finito per danneggiare la nostra generazione, l’unica che farà peggio dei propri genitori.
Se si escludono alcune regioni virtuose infatti, emerge come i contributi per il Diritto allo Studio non siano sufficienti alla sopravvivenza e vengono prevalentemente assorbite dalle spese relative all’affitto: si calcola che in Italia ci siano circa mezzo milione di contratti non registrati.

 

Problema abitativo e lavorativo dei giovani:

Il Decreto sul federalismo municipale, entrato in vigore il 7 Aprile 2011, dispone che nei successivi 60 giorni, cioè entro il 6 Giugno, se gli affitti non vengono spontaneamente regolarizzati dal proprietario, l’inquilino può denunciare la situazione all’Agenzia delle entrate godendo di forti benefici, cioè di un nuovo contratto regolare della durata di quattro anni più quattro e di un canone che, dice il comma 8 dell’articolo 3, sarà «pari al triplo della rendita catastale».
Negli ultimi anni università e Guardia di Finanza hanno condotto una battaglia serrata contro la piaga degli affitti in nero agli studenti e la legge stessa è stata modificata cosicché ora avere uno studente in casa è diventata condizione imprescindibile per quei proprietari che in qualche modo vogliono mettersi in pace con la coscienza e col fisco senza esagerare.
Questo fa si che la generazione 1000 euro, quella di chi ha una laurea ma non è ancora indipendente pur lavorando dieci ore al giorno, ancora una volta si trovi nella paradossale situazione in cui adesso che non è più studente difficilmente troverà un locatore disposto a fargli un regolare contratto. La precarietà è un gatto che si morde la coda.
Infatti, se dalla situazione abitativa si passa a quella lavorativa, vediamo che il fenomeno sconfina dalle università ed ecco i giovani rampanti professionisti, praticanti e stagisti che secondo un’ indagine realizzata da IRES per Filcams CGIL, vengono utilizzati come dipendenti veri e propri con orari fissi e carichi di lavoro stabiliti. Quello che l’articolo omette in modo forse troppo ottimistico è che sono pochi e fortunati coloro i quali possono contare su una retribuzione durante il periodo di tirocinio e che sono ancora troppi i rapporti di questo genere che avvengono in nero.
Per molti altri la speranza di fare carriera è rappresentata dai contratti a progetto, tanto abusati quanto ipocriti strumenti ormai indispensabili nella gavetta di un laureato di belle speranze.
Numeri e ricerche tentano di misurare quel gap che si è creato tra questa generazione e quelle che l’hanno preceduta:

– 2,1 milioni di giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano (ISTAT)
– 25, 35 anni: è la fascia di età verso cui si sta spostando la vecchia “crisi di mezza età” (Greenwich University)
– 66,9%: è la percentuale di laureati (25/34 anni) che lavora nel nostro Paese  (CENSIS)

Parafrasando il titolo di Report, potremmo affermare che l’Italia non è un paese per giovani ma, presto o tardi, i giovani  presenteranno il conto.

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