Le critiche presentate dalla Commissione:
Quali sono state le criticità emerse nel corso della ricerca? Fondamentalmente si tratta di cinque punti con i quali la Commissione si è andata a scontrare:
- solo in nove casi su 30 è possibile stabilire una buona corrispondenza tra le istituzioni e gli enti italiani e quelle di tutti e sei i paesi considerati.
- l’articolazione degli emolumenti (retribuzioni, ndr) corrisposti ai titolari di cariche elettive ed incarichi di vertice o quali componenti, comunque denominati, degli organismi, enti e istituzioni, anche collegiali, è marcatamente diversa tra paesi e all’interno di ciascun paese. (…) A parità di funzione, l’importo dell’emolumento può variare notevolmente tra paesi, rendendo la media scarsamente significativa.
- in alcuni paesi il compenso erogato si avvicina al concetto di “retribuzione omnicomprensiva” tipico dell’ordinamento italiano, in altri mancano componenti rilevanti di quest’ultima (ad esempio, i contributi sociali a carico del lavoratore) o alcune tra queste non sono state trasmesse alla Commissione.
- i dati trasmessi alla Commissione non sempre corrispondono a quanto previsto dalla normativa italiana per il livellamento retributivo. Infatti, non sempre i dati ricevuti si riferiscono alle effettive erogazioni di competenza dell’anno 2010, ma a valori tabellari o a valori “teorici” calcolati sulla base della normativa del paese, i quali non considerano importanti elementi retributivi (come l’anzianità di servizio, dove rilevante) o si riferiscono a valori privi di alcune componenti (come la retribuzione di posizione o di risultato) che possono incidere significativamente sugli importi effettivamente percepiti.
- non tutti i dati richiesti sono stati trasmessi dalle autorità nazionali, in quanto tutelati dalle normative nazionali sulla privacy.
Troppe problematiche: niente tagli ai costi della politica
Alla luce di queste problematiche, conclude il rapporto, “nessun provvedimento può essere assunto dalla Commissione per i fini previsti dalla legge”, e “la Commissione ritiene doveroso rimettere il mandato ricevuto”.
La Commissione Giovannini aveva avuto l’incarico dal governo Berlusconi e dalle presidenze di Camera e Senato, poi confermato dal premier Monti, e avrebbe dovuto rendere conto del monitoraggio comparativo il 31 dicembre scorso, preferendo poi, nei primi giorni del 2012, presentare solo un rapporto preliminare.
Secondo questa relazione intermedia, tra le indennità lorde (dunque soggette ai diversi sistemi di tassazione) quella dei deputati e dei senatori italiani risultava essere la più alta d’Europa: 11.283 contro i 7.100 euro della Francia, i 2.813 della Spagna, 8.500 nei Paesi Bassi, 7.668 in Germania a cui si aggiunge in Italia una diaria da 3.500 euro.
Risultavano però minori le spese accessorie, in particolar modo quelle dei collaboratori. Per i deputati italiani queste rientrano fra le spese di segreteria e rappresentanza (3.690 euro al mese), in Francia, invece, un deputato può spendere fino a 9.100 euro al mese per i collaboratori, in Germania sono pagati dal Parlamento per un totale di 14.700 euro, in Austria sono dipendenti della Camera.
Già allora la Commissione sottolineava la provvisorietà dei dati raccolti e la loro qualità insufficiente per una utilizzazione ai fini indicati dalla legge, riconoscendo l’impossibilità “di effettuare il calcolo di nessuna delle medie di riferimento con l’accuratezza richiesta dalla normativa”.