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Frustrazione e anonimato: viaggio dentro al fenomeno degli haters

Nell’era della comunicazione digitale, un termine è diventato di uso comune per descrivere un comportamento online sempre più diffuso. Stiamo parlando di hater che, a un primo sguardo evoca l’immagine di una persona che prova un’antipatia profonda e immotivata verso qualcun altro, manifestandola con commenti aggressivi e denigratori.

Tuttavia, analizzando il fenomeno da una prospettiva più ampia, si scopre che il profilo dell’hater è molto più complesso e le ragioni del suo agire affondano le radici in dinamiche psicologiche e sociali che vanno oltre la semplice cattiveria. L’analisi del fenomeno non ha ovviamente lo scopo di giustificare, ma di comprendere le cause che lo alimentano, per poter affrontare meglio le sue conseguenze.

L’anonimato come scudo e l’effetto di disinibizione online

Una delle cause principali che favorisce il comportamento degli haters è l‘anonimato o, più in generale, la percezione di anonimato offerta dal web. Nelle interazioni faccia a faccia, le persone sono vincolate da norme sociali e dalle conseguenze delle proprie azioni. L’assenza di un contatto visivo e fisico nel mondo virtuale, insieme alla possibilità di nascondersi dietro un profilo fittizio, riduce la paura del giudizio e delle ritorsioni, con un fenomeno che è noto in psicologia come “effetto di disinibizione online“.

Studi di psicologia sociale hanno dimostrato che quando le persone si sentono meno responsabili per le proprie azioni, sono più propense a manifestare comportamenti che non metterebbero in atto nella vita reale. L’assenza di un’interazione umana diretta riduce l’empatia verso l’interlocutore, che viene percepito non come una persona reale con sentimenti e vulnerabilità, ma come una semplice entità astratta sullo schermo. Uno scudo digitale che permette di esprimere frustrazioni, invidie e rabbia senza doverne affrontare le dirette conseguenze.

L’invidia sociale e la frustrazione personale

Un’altra componente fondamentale del fenomeno è l’invidia sociale. Molti haters tendono a prendere di mira persone che percepiscono come di successo, felici o popolari e ciò accade spesso quando un individuo si sente insoddisfatto della propria vita, dei propri risultati o della propria posizione sociale. La rabbia generata dalla frustrazione personale viene proiettata sulla persona percepita come fortunata o di successo.

La critica o l’insulto diventano un modo per sminuire il successo altrui e, in un certo senso, elevare la propria autostima, anche se solo temporaneamente, e l’attività di hating agisce come una valvola di sfogo per una frustrazione interiore, permettendo all’individuo di sentirsi superiore per un breve periodo, pur non avendo compiuto alcun passo concreto per migliorare la propria situazione. È un meccanismo di difesa psicologica che, tuttavia, non risolve il problema alla radice.

La dinamica di gruppo e il rinforzo del branco

Il comportamento degli haters non è sempre un atto solitario. Spesso, si manifesta e si intensifica all’interno di una dinamica di gruppo. Quando un commento negativo riceve un’approvazione, anche solo con un “mi piace” o un commento di supporto, l’individuo si sente convalidato e incoraggiato a continuare, creando una spirale di negatività in cui i membri del gruppo si rinforzano a vicenda, aumentando l’aggressività dei loro messaggi, dando il via a intense attività di cyberbullismo, soprattutto verso individui fragili e vulnerabili.

Questo fenomeno, noto in sociologia come polarizzazione di gruppo, fa sì che le opinioni estreme diventino la norma all’interno della comunità, amplificando l’odio e riducendo ulteriormente l’empatia verso l’esterno. La sicurezza del gruppo annulla la responsabilità individuale, e l’azione collettiva rende più facile attaccare la vittima, che si trova sola di fronte a un’offensiva corale.

Mancanza di pensiero critico e disinformazione

Non tutti gli haters agiscono per invidia o frustrazione. In molti casi, il comportamento è alimentato dalla disinformazione e dalla mancanza di pensiero critico. L’esposizione a notizie false, teorie del complotto o narrazioni fuorvianti può portare a un pregiudizio negativo e a un’ostilità ingiustificata verso una persona o un’idea. L’individuo, convinto di agire per una causa giusta, si sente autorizzato a esprimere la propria rabbia, senza mettere in discussione la veridicità delle informazioni su cui si basa il suo odio.

Un aspetto che è particolarmente evidente nel dibattito politico e sociale, dove la mancanza di pensiero critico e l’accettazione acritica di narrazioni estreme possono trasformare persone comuni in haters di una specifica ideologia o di un gruppo di persone. L’odio in questi casi è un prodotto della manipolazione e della polarizzazione, piuttosto che una scelta consapevole.

Come superare il fenomeno

Comprendere le motivazioni dietro il comportamento degli haters è il primo passo per affrontare il problema. Non si tratta solo di reprimere i commenti negativi, ma di promuovere una cultura digitale basata sul rispetto, sull’empatia e sul pensiero critico. L’educazione digitale, fin dalle prime fasi della formazione, è fondamentale per insegnare ai giovani a discernere le informazioni, a riflettere sulle conseguenze delle proprie parole e a considerare l’interlocutore come una persona reale.

Inoltre, è importante promuovere la consapevolezza che il comportamento degli haters è spesso il sintomo di un malessere interiore, che richiede una risposta costruttiva e non una semplice reazione. In questo senso, le piattaforme social, le scuole e le famiglie hanno un ruolo centrale nel creare un ambiente online più sicuro e nel fornire gli strumenti necessari per navigare il mondo digitale con saggezza e responsabilità.

Pierfrancesco Palattella

Giornalista, Web Writer, Seo copy, fondatore di La Vera Cronaca