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Convenzione per le riforme costituzionali e flop

Da un po’ di tempo non si parla di altro; c’è chi la attende come una manna dal cielo e chi già vi scorge un possibile sapore torbido tipico della politica italiana. Stiamo parlando della Convenzione per le riforme costituzionali, un organismo che dovrebbe avere il gravoso compito di cambiare la Costituzione portando quelle tanto attese (spesso inutilmente) e sbandierate riforme che il paese attende da anni.
La proposta di una vera e propria Convenzione finalizzata a mettere in atto riforme concrete è stata lanciata dal premier Enrico Letta durante il suo discorso di insediamento.
Ma cos’ è questa Convenzione per le riforme costituzionali? Ancora non è dato sapersi come agirà, quali poteri avrà ed in che modo ne farà uso; unica certezza, opererà per modificare la seconda parte della Costituzione proponendo cambiamenti che dovranno naturalmente essere poi approvati dall’aula.
Modifiche della Costituzione quindi: certo l’idea non è del tutto originale né appare una novità assoluta. C’è chi proponeva qualcosa di simile magari chiamandola con altri nomi (Costituente ecc…); inoltre in passato si era già assistito a tentativi simili. Spesso con esiti scadenti.

Adesso si torna a parlare di riforme costituzionali delegando il tutto ad un organo superiore che possa sottrarsi così al dibattito politico carico, per dirla con le parole del premier Letta, “di fisiologiche contrapposizioni sarebbe bene che il Parlamento adottasse le sue decisioni sulla base delle proposte formulate da una Convenzione, aperta alla partecipazione anche di autorevoli esperti non parlamentari”.

 

Oltre la politica per cambiare la Costituzione:

La questione, non da poco, è tutta qui; perché se la Convenzione necessita di sfuggire alla logica politica del gioco al rimpallo da uno schieramento ad un altro, in questa fase si sta comunque litigando per la scelta dei nomi che dovrebbero farne parte. E si preavvisa essere una scelta tutt’altro che semplice.
Per alcuni i componenti (si parla di 75 in tutto) dovrebbero essere scelti esclusivamente tra i parlamentari, per altri tra i quali il premier Letta, si dovrebbe altresì aprire anche ad esponenti extra parlamentari. Per non parlare poi della scelta di colui che dovrà presiedere tale Convenzione per le riforme; a chi spetterà dirigere un organo così importante e delicato?
Il dibattito è più che mai acceso anche perché quello delle riforme costituzionali è tema molto delicato, un’arma che può rivelarsi a doppio taglio e che può essere estremamente appetibile per chi dovesse ottenerla; tanto per fare un esempio, il redivivo Silvio Berlusconi non ha mai nascosto di volersi candidare alla guida di tale organismo, ed anzi si è a più riprese proposto affermando di sentirsi l’uomo adatto per un tale compito.
Su di lui, che naturalmente accetterebbe di buon grado anche qualsiasi altra nomina in quota Pdl, sono arrivati una serie di veti da più schieramenti, primo tra tutti quello a firma Renzi del Partito Democratico.   
Per altri, come Stefano Rodotà, il dibattito non si porrebbe proprio poichè la creazione della Convenzione per le riforme sarebbe un “attentato alla Costituzione” visto che il Parlamento dovrebbe essere l’ unico luogo sovrano nel quale prendere le decisioni e fare le riforme. 

 

Le Bicamerali in Italia: da De Mita a D’Alema

Staremo quindi a vedere se questa Convenzione per le riforme s’avrà da fare, per il momento non possiamo che riportare alla memorie tentativi del passato di esperienze simili.
La prima Bicamerale cui si ha memoria è la commissione Bozzi, del 1983-1985. Presieduta dallo stesso Aldo Bozzi, esponente del Partito Liberale, fu il primo organismo bicamerale appositamente creato e composta da venti deputati e venti senatori; ebbe poteri esclusivamente consultivi finalizzati ad elaborare un progetto di revisione della seconda parte della Costituzione e non sortì effetti concreti nell’immediato.
Dieci anni più tardi, nel 1993–1994, si assiste alla Bicamerale De Mita – Jotti: composta da trenta deputati e altrettanti senatori per valutare le possibili riforme della seconda parte della Costituzione. Anche quella Bicamerale non portò ad esiti tangibili a causa della fine anticipata della legislatura che lasciò il progetto sospeso a metà.
La terza Bicamerale, la più nota, è quella del 1997–1998: formata da 35 deputati e 35 senatori con il compito di elaborare progetti di revisione della seconda parte della Costituzione, fu presieduta da Massimo D’Alema (allora DS) votato con l’appoggio di Forza Italia dell’ amico-nemico Silvio Berlusconi. Anche questa Bicamerale, dopo 15 mesi di lavori, naufragò miseramente tra colpi di scena, intese prima trovate e poi ritrattate, ed ultimatum che portarono alla sua fine.  
Come si vede in sostanza, ogni volta che si è tentato di intraprendere una qualche iniziativa per proporre riforme costituzionali non si è mai riusciti ad arrivare in fondo; il tentativo proposto dal governo Letta pare quantomeno di eguale difficoltà vista la precarietà dell’attuale situazione politica italiana. Come dire, se mai questa Convenzione per le riforme dovesse nascere, si presuppone che possa aver vita breve.

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Giornalista scomodo - "L'unico dovere di un giornalista è scrivere quello che vede..."

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