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Il delitto della minestrina: morte misteriosa di Francesca Moretti

Come e più di altre metropoli, Roma è una città che ne contiene molte altre. Le meraviglie del centro, i rioni storici, i quartieri residenziali alto borghesi, le periferie degradate. Poi ce n’è una che prende proprio il nome di città: la Città Universitaria, perché l’Università La Sapienza, la più grande d’Europa, il titolo di Città se lo merita tutto. Tanto da avere una propria periferia, quella dei quartieri che si irradiano dalla cittadella centrale e sono popolati sempre meno da nativi e sempre più da studenti che affittano una stanza in cui coltivare i propri sogni. La zona di Piazza Bologna, fino alla tangenziale, il Pigneto, meno vicino ma più vivace e ben collegato, infine, soprattutto: San Lorenzo.

I palazzoni di Viale dello Scalo di San Lorenzo, che affacciano da un lato sulla sopraelevata della tangenziale (poco più avanti c’è, celebrata da una targa, la finestra da cui il Ragionier Ugo Fantozzi si lanciava per prendere l’autobus in corsa, Non l’ho mai fatto ma l’ho sempre sognato) e dietro il Cimitero Monumentale del Verano, dall’altro sul famigerato tratto urbano della A24, regalano un panorama che piacerebbe a Paul Auster, specie la sera, quando l’illuminazione pubblica delle strade ad alto scorrimento e i fanali delle auto lanciano fasci di luce che trafiggono l’oscurità e potresti essere ovunque, in una Metropoli degli USA come in Germania o a Manchester, e invece sei a due passi dal Colosseo.

Francesca Moretti, morta per avvelenamento da cianuro

Sembra assurdo ed incredibile che in un contesto come questo una ragazza di ventinove anni abbia trovato la morte per una via antica, a suo modo letteraria visto il forte richiamo ad Agatha Christie e all’odore di mandorle amare. Perché anche se non siamo in un’elegante villa della campagna inglese ma in un alto palazzo animato da studenti provenienti da tutta Italia, in cui risuonano dialetti diversi e c’è una festa al giorno, proprio qui Francesca Moretti da Pesaro troverà la morte in seguito ad un avvelenamento da cianuro.

Vedremo come questa storia, ancora oggi irrisolta, fra indagini, processi e assoluzioni, abbia lasciato dietro di sé una lunga serie di dubbi e domande. Per un periodo, quando si fa riferimento a questo caso di cronaca, si parla di Delitto della minestrina; col tempo sorgono dubbi nuovi e non solo viene meno la convinzione che la minestrina c’entri qualcosa, ma c’è chi apre nuovi scenari e chiede: è stato veramente un delitto?

Febbraio 2000, Roma, le 3 studentesse fuori sede

È il 22 febbraio del 2000 quando l’equipaggio di un’ambulanza entra in un appartamento di Viale dello Scalo di San Lorenzo 61 abitato da tre ragazze fuori sede. Sono la studentessa siciliana Daniela Stuto, la cameriera straniera Mirela Nistor e proprio Francesca Moretti che a Roma si è laureata in Sociologia. Il 118 è stato chiamato per soccorrere quest’ultima: la ragazza da giorni sta male e la situazione sta precipitando. Cinque giorni prima erano state le coinquiline a portarla al Policlinico Umberto I per un fortissimo mal di schiena, quel 22 febbraio le condizioni di Francesca sono però più gravi e apparentemente non direttamente collegate ad una lombosciatalgia, tanto che quando alle 17.00 entra in Pronto Soccorso presso l’Ospedale San Giovanni le viene assegnato il Codice Rosso, quello dell’emergenza assoluta.

Francesca è cosciente ma non riesce a parlare, la accompagna in ambulanza Daniela. In seguito al primo ingresso in Pronto Soccorso di qualche giorno prima a Francesca era stata prescritta una cura a base di iniezioni di Muscoril e Toradol; pertanto, la prima ipotesi è quella di una reazione anafilattica ai farmaci.
I sintomi sono particolarmente violenti e il Primario di Rianimazione ha un’intuizione la cui appropriatezza si rivelerà solo mesi dopo, quando l’esame tossicologico certificherà l’intossicazione da cianuro. Nel dubbio, a Francesca viene somministrato del Blu di Metilene, senza risposta clinica, tanto che la ragazza ha un arresto cardiaco e muore due ore dopo l’ingresso in Pronto Soccorso.

L’intossicazione da cianuro

Sulle prime si pensa ad un suicidio, anche perché l’agente Amerigo Altobelli, in servizio al posto di polizia del Pronto Soccorso, racconta che davanti a lui Daniela Stuto pronuncia una frase del tipo Questa volta non siamo riuscite a non farla suicidare. Vedremo più avanti come verrà affrontato questo tema in Aula.

Ad ogni modo, viene svolto un sopralluogo piuttosto sommario in casa delle tre ragazze: ci sono siringhe, liquidi e bicchieri che però vengono soltanto fotografati e non repertati. Nel corso dell’episodio dedicato al caso della trasmissione Detectives il Commissario Capo Antonietta Menditto commenterà spiegando che all’epoca l’attenzione verso le prove scientifiche non era ancora elevata.

L’autopsia non da’ grossi elementi e allora si ascoltano amici e conoscenti per ricostruire la vita di Francesca e individuare elementi in grado di comporre un quadro più chiaro.

Chi è Francesca Moretti

La ragazza lavorava per Opera Nomadi, un’associazione, fondata nel 1963 da Don Bruno Nicolini, il cui fine è favorire l’integrazione delle minoranze Rom, Sinti e Camminanti nella società italiana, nonché di mediare culturalmente fra queste minoranze e la cultura maggioritaria. Nello specifico Francesca si reca nei Campi di prima mattina per prelevare i bambini, occuparsi della loro igiene e portarli a scuola. È un lavoro che le piace e che fa con passione. Nel farlo incontra anche l’amore: Graziano Halilovich è ben lontano dallo stereotipo del Rom che rovista nei cassonetti o ruba i tubi in rame.

Il legame amoroso con un rom

Figlio di uno degli uomini più importanti della comunità Rom dell’intera Europa, Vaijro, Graziano ha studiato e ha in Opera Nomadi un ruolo omologo a quello di Francesca, è in pratica con lui che la ragazza deve interfacciarsi per organizzare le attività dei bambini. Galeotto fu il posto di lavoro. Fra i due nasce presto una frequentazione che diviene poi una relazione vera e propria, verrebbe da dire ufficiale. Verrebbe, ma non si può dire. C’è un piccolo particolare: Graziano è sposato con Fatima, i due hanno quattro figli e sono in attesa del quinto.

Sebbene la cultura Rom accetti la poligamia c’è da credere che la donna non sia così entusiasta, oltretutto si parla di una relazione con una donna non Rom, con tutte le conseguenze del caso. Nonostante tutto Francesca e Graziano si amano, stanno insieme il più possibile e hanno anche progetti a lungo termine. Quando Opera Nomadi li separa sul lavoro per evitare clamori e problemi i due lasciano l’associazione per fondarne una nuova e coltivano l’idea di lasciare Roma per costruire un futuro insieme a Torino, dove vive la sorella di Graziano.

Le ultime ora di Francesca: la minestrina e l’avvelenamento

Come ha passato le ultime ore Francesca? Bloccata a casa per via del mal di schiena, la ragazza quel 22 febbraio sembra paradossalmente stare meglio: in mattinata era passato il medico di famiglia per farle la consueta iniezione e aveva constatato che la cura sembrava sortire il suo effetto.

Daniela Stuto aveva dormito fuori casa ed aveva fatto rientro in tarda mattinata, ad un certo punto aveva consigliato a Francesca di mangiare qualcosa, proponendosi di prepararle una minestrina: brodo, pastina e formaggino. La coinquilina aveva accettato e aveva consumato il pranzo. Secondo Daniela ciò sarebbe avvenuto non più tardi delle 13,30, vedremo come questo pasto diverrà centrale per portare, clamorosamente, la ragazza siciliana a Processo con l’accusa di omicidio.

Dopo aver mangiato inizia a stare malissimo

Perché è dopo aver mangiato la minestrina, aver fumato una sigaretta in balcone ed essere tornata in camera a riposarsi che Francesca inizia a stare malissimo. Fino alle 15,20 tutto va bene: a quell’ora la ragazza telefona al medico e lo informa che effettivamente si sente meglio. Verso le 16.00 Mirela fa rientro a casa, passa a salutare l’amica e la trova stravolta, con le gambe gonfie e piene di ematomi al punto che non le entrano i pantaloni e persino un maglione larghissimo le va stretto perché anche il ventre si è espanso in maniera innaturale.

In quei minuti Daniela esce per fare la spesa, fa rientro verso le 16,50 trovando Francesca in preda a dolori lancinanti, che si dimena e si contorce nel letto lamentando Le mie gambe, le mie gambe e lanciando urla viscerali che mettono paura. Mirela chiama il suo fidanzato, agente della Polizia di Stato, che sopraggiunge in breve nell’appartamento. Chiamano il 118. Daniela sale nell’ambulanza con Francesca, che nonostante i soccorsi morirà intorno alle 19,35.

Morta per intossicazione acuta da cianuro

Inizialmente, si pensa al suicido. Ci sono però una serie di elementi in contrasto con questa ipotesi. In primo luogo Francesca avrebbe scelto di uccidersi in una delle maniere più dolorose possibili, e questo è assolutamente inconsueto. Secondo punto, lo avrebbe fatto mentre in casa c’erano anche altre persone, altro caso non comune, quando durante buona parte della mattinata era stata in casa da sola. C’è poi da valutare chi fosse Francesca, che al netto di qualche difficoltà correlata alla storia con Graziano (ma si trattava di problematiche esterne e non interne alla coppia) e alla volontà di allontanarsi da una città come Roma in cui non si sentiva totalmente a casa, appariva una persona con progetti, affetti e una visione di futuro.

Viene escluso anche l’errore medico e per cinque mesi si rimane appesi, tanto che si fa strada l’idea di una morte naturale, per quanto assolutamente non ordinaria. Poi, il colpo di scena: l’esame tossicologico viene finalmente consegnato e conferma l’intuizione del Primario di Rianimazione, Francesca è morta per una intossicazione acuta da cianuro. A questo punto la Procura inizia a ragionare sull’ipotesi omicidio. Viene esclusa l’assunzione cronica o reiterata nel tempo: chi ha ucciso Francesca le ha somministrato un’unica e letale dose di veleno.

Prime indagini

Le indagini partono in salita perché, ovviamente, la scena del crimine non è stata congelata. Come spesso accade in questi casi si valuta la posizione del partner. Del resto era conclamato che nei giorni immediatamente precedenti la morte di Francesca Graziano aveva avuto più volte accesso, com’era naturale, alla sua stanza e alle sue cose. Una settimana prima, a San Valentino, aveva regalato a Francesca una confezione di Baci, aveva forse siringato uno dei cioccolatini con il cianuro? Questa ipotesi, perfettamente percorribile se a condurre l’inchiesta ci fosse Hercule Poirot, si scontra presto con la realtà dei fatti. Come spiega anche il tossicologo Carmelo Furnari l’operazione ipotizzata è semplicemente impossibile da realizzare: la consistenza del Bacio impedisce di spingere lo stantuffo in avanti. Graziano esce presto, non solo per questo motivo, dalla lista dei sospetti.

Le ipotesi del delitto passionale

Non si abbandona però l’idea del proverbiale delitto passionale. La famiglia di Graziano lavora il rame, per la cui pulizia può essere usato anche il cianuro. Sono stati i parenti del ragazzo, contrari alla relazione fra lui e Francesca, a uccidere la giovane sociologa di Pesaro? Anche qui non vengono trovati riscontri, anzi: viene accertato che Vaijro, il cui peso specifico all’interno della famiglia e del campo è di totale rilievo, uomo illuminato, avesse in precedenza avallato la scelta del figlio garantendo che si sarebbe occupato lui di Fatima e dei nipoti. Difficile pensare che all’interno del Campo ci sia qualcuno disposto a mettersi contro uno dei pilastri della intera Comunità Rom europea.

A chi si preoccupava di possibili conseguenze della sua relazione con Graziano Francesca aveva più volte risposto Finchè è vivo il padre sono al sicuro. Vaijro muore, colto da attacco cardiaco, ventiquattro ore prima di Francesca.

Se rimane difficile credere che i suoi parenti, in un momento di lutto così doloroso, pensassero a fare fuori la fidanzata del figlio, comincia a stagliarsi minacciosa sullo sfondo la figura di Fatima. Vaijro sarà pure stato l’uomo che era, ma una donna gelosa è capace di tutto, pensano gli investigatori.

A dire il vero, alcuni elementi sembrano rendere credibile l’ipotesi che la moglie di Graziano c’entri qualcosa. Tanto per cominciare, appunto, la gelosia. Non è difficile immaginare i pensieri di una donna madre di quattro figli e in attesa del quinto sposata con un uomo che fa progetti con un’altra. Al di là di questo aspetto umano, però, ce ne sono alcuni più concreti da tenere in considerazione.

La moglie del rom con cui Francesca aveva una storia

Intanto Fatima si era procurata il numero di Francesca e l’aveva chiamata più volte. Non l’aveva esplicitamente minacciata, si può dire che più che altro l’avesse insultata, questo però diversi mesi prima della morte. Era stata Francesca stessa a raccontarlo alla sorella e alle amiche, aggiungendo che tutto sommato comprendeva la reazione di quella donna cui stava portando via il marito.

La ragazza era comunque preoccupata, temeva azioni sconsiderate da parte della rivale tanto da aver chiesto una volta a Mirela, è la stessa Nistor a raccontarlo in Aula, di scendere al suo posto per comprarle le sigarette, in quanto temeva che sotto casa potesse esserci Fatima ad attenderla. Graziano esclude che la moglie possa essere capace di un gesto del genere.

Eppure ci sono due fatti strani e, se si assume il secondo per vero, presumibilmente correlati fra loro. A Mirela, qualche tempo prima della morte di Francesca, era stata rubata la borsa, qualcuno dirà che anche alla stessa Moretti fosse stata sottratta la sua mesi prima. In entrambe le borse, come è naturale, erano presenti le chiavi di casa ma la serratura non era stata cambiata. Di questi furti non esistono denunce, ma i soli racconti dei testimoni.
Veniamo al secondo fatto: pochi giorni prima di morire, quando è già costretta a letto dal mal di schiena, Francesca racconta di aver visto un’ombra – non sa dire se di uomo o donna – attraversare il corridoio in un momento in cui le due coinquiline non erano in casa.

Quella strana ombra in casa

Se si prendesse per buono questo racconto e si mettessero in fila gli elementi verrebbe fuori una ricostruzione del genere: Fatima, che odia Francesca per ovvie ragioni, decide di passare alle vie di fatto. Prima ruba, o fa rubare, la borsa a lei e/o a Mirela per impossessarsi delle chiavi, dopodiché attende il momento in cui la Moretti rimane da sola in casa per entrare (lei o qualcuno per lei) e collocare il cianuro che si è procurata nel Campo in un alimento o liquido o farmaco che solo Francesca avrebbe assunto nei giorni successivi.

È evidente come questa ricostruzione vada a sbattere contro una serie di ostacoli: in primis parte da un presupposto non provato e non provabile, ossia che sia stata Fatima a sottrarre la borsa ad una o ad entrambe le ragazze. In secondo luogo bisogna prendere per reale l’avvistamento dell’ombra nel corridoio da parte di Francesca, che non parla del resto di aver udito l’apertura della porta o rumore di chiavi. È possibile che nel dormiveglia ed in preda ai forti dolori alla schiena la ragazza abbia sognato.

C’è da dire che questi primi due punti sono improbabili ma non impossibili.

La morte improvvisa del padre di Graziano, il ragazzo rom

Decisamente più arduo è pensare che Fatima si sia mossa silenziosamente in una casa che non conosceva e che sia stata poi in grado di individuare un vettore del veleno ad utilizzo esclusivo di Francesca, che la stessa Francesca giorni dopo abbia assunto il veleno tramite quel vettore in un’unica soluzione dato che, come abbiamo visto, l’assunzione cronica era stata esclusa.

Si fa largo persino l’ipotesi che Vaijro sia stato ucciso dalla stessa persona che il giorno dopo avrebbe ammazzato la Moretti, per aggirare il veto del leader e per costringere Graziano, che l’uomo aveva eletto ad erede, a non abbandonare il Campo. Con tutte le difficoltà del caso viene disposta la riesumazione del corpo del Capo, che conferma la morte naturale. La pista che porta a Fatima viene presto abbandonata.

Il focus si sposta sulle coinquiline di Francesca

Secondo gli esiti del primo esame tossicologico Francesca avrebbe assunto una dose di 0,8 microgrammi per millilitro di cianuro, una quantità tossica ma non letale.

Inoltre all’interno della relazione si sostiene che la sostanza è stata ingerita insieme o in prossimità del pranzo e che il suo assorbimento sia stato lento perché il pasto era stato ricco in carboidrati.

A questo punto la Pubblica Accusa fa una cosa che mai dovrebbe fare: si innamora di un’idea e cerca di farla quadrare in tutti i modi.

Il fidanzato non c’entra? La moglie tradita nemmeno? Il suicidio va escluso? E allora sono state le coinquiline, o una delle due. Il cianuro è stato assunto in prossimità del pasto? E allora significa che ad avvelenare la Moretti è stata Daniela Stuto.

Undici mesi dopo la morte di Francesca la sua coinquilina viene arrestata, si farà un giorno in cella e più di un anno di arresti domiciliari prima di essere processata e, lo riveliamo subito, assolta con formula piena.

Daniela Stuto, la coinquilina arrestata e poi assolta

Gli indizi a carico di Daniela sarebbero i seguenti.

In ospedale avrebbe parlato di idee suicide espresse in passato dalla coinquilina, per sviare le indagini. L’agente Altobelli in Aula si dice sicuro di aver sentito l’imputata dichiararlo esplicitamente (non è, in realtà, molto convincente), Daniela nega, parlando, si è detto, di una tendenza ad esagerare con i farmaci dell’amica. L’indizio più forte è, inizialmente, il fatto che sia stata lei a preparare la minestrina a Francesca. Vedremo poi come una nuova perizia richiesta dal Gip farà clamorosamente crollare il castello di carte fondato sull’assioma Minestrina al cianuro.

Ripetiamo sempre che per quanto per giungere ad una condanna non sia necessario trovare un movente, rintracciarne uno valido sarebbe quantomeno una buona idea. Ed è qui che assistiamo ad un metodo investigativo inaccettabile, che partendo dal presupposto che Francesca sia morta per mano di una delle due coinquiline forza ogni considerazione successiva.

Daniela era una ragazza problematica

Innanzitutto la Pm si affanna a dipingere Daniela come una ragazza fortemente problematica. Viene raccontato in Aula che la madre la aveva abbandonata quando era molto piccola, trasferendosi in Germania e lasciandola con il padre, il quale a sua volta si era trasferito al Nord quando l’imputata aveva dieci anni affidandola alle cure di un Istituto. Viene ascoltata la nuova compagna del padre che parla di rapporti inizialmente cordiali con Daniela, che avrebbe cambiato atteggiamento nei suoi confronti una volta venuta a sapere che la donna aspettava un figlio. Aggiunge che, scesa in Sicilia per un matrimonio, sarebbe stata travolta dall’ira funesta di Daniela che non la voleva nemmeno vedere e lo chiariva attraverso urla talmente violente da indurla a chiudersi in camera.

Peccato che altre testimonianze, fra cui quella della cugina della Stuto che si sposava in quella circostanza, tratteggino un quadro ben diverso. Quello di una lite fra padre e figlia per una questione di soldi: Daniela era stata scelta come damina e doveva quindi acquistare un determinato abito ed un cappello. Spese che il padre non voleva sostenere. Di qui la lite. Ci sembra giusto sottolineare come all’epoca di questa discussione Daniela avesse 16 anni: si sta parlando dunque di undici anni prima della morte di Francesca. In sostanza si cercano di spacciare per elementi utili le intemperanze vecchie due lustri di un’adolescente.

Altre supposizioni sulla colpevolezza di Daniela Stuto

Evidentemente consapevole che sia quantomeno ottimistico pensare di ravvisare una consequenzialità fra le urla di una sedicenne ed un omicidio al cianuro avvenuto più di dieci anni dopo, l’Accusa va in cerca di elementi più recenti. Intanto viene chiesto conto a Daniela della discrepanza fra i suoi racconti e quelli di Mirela, in quanto la cameriera aveva parlato di colorito violaceo di Francesca mentre la Stuto l’aveva definito pallido. L’imputata con fermezza risponde che il volto era pallido, mentre ad essere violacee erano le occhiaie che la Moretti, stando male da giorni, aveva marcate e scese fino a metà volto.

Si cerca poi di riportare in auge la pista passionale. Daniela sarebbe stata bisessuale (del resto aveva un fidanzato in Sicilia) e innamorata di Francesca. In base a cosa? All’intercettazione di alcuni messaggi, in particolare uno dell’agosto 2000 in cui, parlando con un’amica, la Stuto scrive Sono a letto con Angela, sto facendo zin zin. Al di là del fatto che se anche Daniela avesse l’abitudine di fare zin zin con le amiche non è dato vedere come questo possa costituire una prova in un Processo per omicidio, va rimarcato come il contesto dei messaggi fosse assolutamente goliardico, tipico di due ragazze giovani che scherzano e si divertono con allusioni decisamente ironiche.

Daniela era bisessuale e si era invaghita di Francesca?

Prima del Processo un giornalista del Messaggero va a Pesaro e intervista tal Don Adelio, il quale dichiara di conoscere Francesca e di sapere che aveva l’intenzione di andare a vivere in Sicilia con Daniela. La famiglia Moretti nega con decisione che questo prete abbia mai avuto a che fare con Francesca. Simona, nuova coinquilina di Daniela, dichiara alla Pm di avere avuto l’impressione che la siciliana le facesse talvolta delle avances, anche se altre volte pensava scherzasse o di aver capito male. Né lei né il simpatico Don verranno portati dall’Accusa a testimoniare al Processo, per evidenti ragioni.

Il processo a Daniela Stuto

Secondo la Pm, comunque, o Daniela è innamorata di Francesca e dunque la uccide per non farla andare via, a Torino con Graziano, o è invidiosa perché la coinquilina ha avuto tutto ciò che a lei è sempre mancato.

Posta l’insondabilità dell’animo umano, rimane difficile credere che Daniela abbia maturato una simile altalena di sentimenti nei confronti di Francesca, passando dall’amore alla gelosia fino all’odio, in soli tre mesi di convivenza.

C’è poi un’altra domanda cruciale: il cianuro, Daniela, dove diavolo lo ha preso? Anche qui l’Accusa è sicura: a Lentini, suo paese natale, dove il veleno viene spesso ancora usato, diluito, nella coltivazione degli agrumi per uccidere gli insetti.

Il Processo, come di consueto consegnato all’immortalità da Roberta Petrelluzzi e dal suo Un giorno in Pretura, regala un paio di momenti niente male. Prima viene interpellato Salvatore Bosco, che dichiara di avere lavorato per vent’anni nella disinfestazione delle piantagioni e di essere pertanto in possesso di un patentino che lo autorizzava a utilizzare acido e Cianurro (sic) e che quest’ultimo, con una R in meno, veniva conservato in fusti da 50 kg.

Il ritrovamento di un fusto di cianuro nei campi dello zio di Daniela

Proprio un fusto sarà il protagonista della deposizione dello zio di Daniela, in quanto in seguito a una perquisizione nei suoi campi ne viene trovato uno con impressa la scritta Cianuro di sodio. L’uomo, visibilmente provato ed emozionato dalla situazione risponde a diverse domande, comprese alcune sul passato della nipote, ma è evidente che quel barile sarà il punto centrale della sua testimonianza. L’Accusa è convinta che da quel contenitore Daniela abbia – dove, come e quando non è dato saperlo – prelevato la dose letale riservata a Francesca. Lo zio spiega che quel fusto lo ha trovato, Dio solo sa quanto tempo prima, abbandonato nelle vicinanze di casa sua e che, considerata la capienza e la forma, aveva ritenuto potesse essergli utile, previo lavaggio, per la realizzazione della passata di pomodoro.

In sostanza in casa sua quel contenitore c’era, ma mai all’interno dello stesso era stato presente il veleno. Basterebbe questo. Eppure lo zio si lancia in una del tutto superflua prolusione su come si realizzi e dove venga poi conservata una perfetta passata di pomodoro, arrivando, con un notevole coup de théatre, ad estrarre dalla tasca interna della giacca una bottiglia di vetro ricolma del prezioso liquido rosso, specificando che è in recipienti come quello che si conserva il sugo. Daniela, presente in Aula, si mette le mani davanti agli occhi non riuscendo a nascondere un sorriso.

L’assoluzione di Daniela con formula piena

È una scena che sarebbe piaciuta a un siciliano eminente come Luigi Pirandello, che avrebbe ravvisato nel grottesco, ma allo stesso tempo tenero e disperato tentativo di quell’uomo alle prese con qualcosa di più grande di lui, un inverso omaggio al suo celebre concetto di sentimento del contrario.

C’è poi un’intercettazione telefonica che, in maniera del tutto arbitraria, si cerca di far assurgere a prova. Parlando con la cugina, ad un certo punto Daniela dice in dialetto Non lo raccontare alla zia che mi fa arrestare, secondo un improbabile grafico emozionale della chiamata consultato dalla Procura ci sarebbe un picco sul verbo arrestare.

Il proverbiale asino casca quando il Gip dispone una nuova perizia che cambia radicalmente le carte in tavola: la quantità di cianuro assunta da Francesca equivale a 7 milligrammi per millilitro, una dose letale che porta alla morte nel giro di pochissimi minuti. Avendo il cuore della ragazza smesso di battere dopo le 19.00 è scientificamente impossibile sostenere che il veleno sia stato somministrato in prossimità del pasto.

Questa considerazione e la generale pochezza del quadro probatorio condurranno inevitabilmente all’assoluzione di Daniela Stuto per non aver commesso il fatto.

Cosa è successo, allora, a Francesca Moretti?

Abbiamo in precedenza spiegato perché la tesi del suicidio sia stata presto scartata. Effettivamente, però, ci sono alcune circostanze che è giusto citare, che afferiscono alla sfera personale e familiare della ragazza e che lasciano qualche dubbio in merito al suo destino. Francesca teneva un diario che, immediatamente dopo la sua morte, è stato riconsegnato alla madre, Maria Assunta Berloni, che lo ha poco dopo bruciato. Perché lo ha fatto? Glielo chiedono anche a Processo e lei risponde di averlo dato alle fiamme per tutelare la figlia. Da chi, da cosa, non si sa.

Nonostante stesse con Graziano da circa due anni Francesca non aveva mai comunicato alla famiglia di aver lasciato l’ex compagno, di stare con Halilovich e di avere seri progetti con lui, fino al Natale del ‘99, due mesi prima della sua morte. In quell’occasione aveva informato separatamente i genitori, divorziati, ed era seguita una accesa discussione con il padre, con il quale Francesca aveva da sempre un rapporto ottimo e di grande dialogo.

I genitori di Francesca erano preoccupati per la frequentazione con il rom

L’uomo spiega in Aula di essersi preoccupato non per il fatto che Graziano fosse di etnia Rom, quanto per la sua pregressa situazione familiare. La posizione della madre sembra decisamente più oltranzista, tanto che in Aula dirà Rom come lo chiamava lei, mentre io lo definisco zingaro.

Nello stesso periodo accade altro: mentre Francesca è a Pesaro lei e Graziano si lasciano al telefono, tanto che lei si precipita a Roma per chiarire e dopo qualche giorno i due si rimettono insieme.

I due mesi che passano prima della morte di Francesca sono dunque quantomeno turbolenti, tanto che al momento dell’ultima corsa in ambulanza la ragazza aveva da giorni cominciato a fare gli scatoloni, avendo preso la decisione di lasciare Roma in ogni caso e tornare nella sua città natale, nell’attesa di spostarsi con Graziano.

Un ultimo mistero: quando si reca a Roma per svuotare la stanza di Francesca, la sorella rinviene sotto al letto una fiala, che non verrà mai repertata né analizzata.

Fu suicidio?

Questa storia si lascia alle spalle moltissimi dubbi. Gli strani comportamenti della madre di Francesca e il rinvenimento di quella fiala mai sottoposta ad analisi sembrano forse riaprire la strada che porta al suicidio. Cosa c’era scritto nel diario della ragazza che la madre ha voluto cancellare per sempre? Forse la Moretti aveva messo su carta il proposito di farla finita e la famiglia, come spesso accade, si è rifiutata di accettare un fatto così devastante. Si sente dire spesso dai parenti Tizio non si sarebbe mai suicidato, non sempre è così. Sovente è chi rimane, per lenire il proprio inevitabile senso di colpa, a rifiutare a priori l’ipotesi che un proprio caro abbia deciso di togliersi la vita. È questo il caso?

Si è detto che il cianuro è un metodo di infliggersi la morte particolarmente doloroso ma è giusto dare per scontato che Francesca lo sapesse? Magari si è limitata a procurarsi un veleno, senza indagare sui sintomi che questo avrebbe causato prima della morte. È stato anni dopo appurato che fra gli artigiani di san Lorenzo più di qualcuno faceva uso di cianuro per il proprio lavoro.

Tutte le ipotesi e i dubbi

Allo stesso tempo, siamo così sicuri che Fatima, o chi per lei, non avrebbe avuto la possibilità di uccidere la rivale in amore? Obiettivamente questa sembra l’ipotesi più complicata, per tutta quella serie di impedimenti logistici elencati in precedenza.

E Graziano? Lui sicuramente di difficoltà a muoversi in casa non ne aveva, aveva anche un motivo per eliminare Francesca? Forse non la amava più, o non abbastanza da mettere in discussione tutto ciò che aveva costruito in precedenza, o ancora la ragazza era a venuta a conoscenza di cose, durante la loro relazione, che se rivelate lo avrebbero messo in pericolo e in un momento non sereno della relazione l’uomo aveva temuto lei potesse rivelarle a qualcuno, magari non voleva più partire con Francesca e non sapeva come uscirne.

Solo per dovere di cronaca, al momento della sua deposizione al Processo contro Daniela Stuto, circa due anni dopo la morte di Francesca, Graziano convive già da tempo, a Roma, con un’altra donna.

Un enigma mai pienamente risolto

Questa storia si lascia dietro molti dubbi, sì, ma almeno una certezza: per portare a processo una persona con l’accusa di omicidio premeditato ci vuole altro.

Daniela Stuto, solo per una apodittica certezza dell’Accusa mai suffragata da prove di fatto, ha passato un giorno in carcere e quattordici mesi agli arresti domiciliari, ricevendo una volta assolta un risarcimento per ingiusta detenzione di soli 52.000 euro, così determinati in quanto si ritiene che essere detenuti in casa sia più piacevole che essere costretti in cella. Poco dopo la assoluzione sarà Daniela stessa a spiegare, intervistata, cosa significhi stare ai domiciliari, dormendo con un occhio aperto per il timore di non sentire il suono del citofono del controllo notturno ed essere accusati di evasione, cosa comporti stare chiusi dentro una casa, sì, ma privi di qualsiasi altra libertà personale.

Trattando il caso della scomparsa del Giudice Paolo Adinolfi ci siamo soffermati su come la Procura di Roma negli ultimi vent’anni del secolo scorso venisse definita Il Porto delle nebbie per via delle tante inchieste mai andate a dama, nonché di alcuni clamorosi casi di omicidio (Via Poma, Olgiata) rimasti senza colpevoli.

In questo clima di incertezze e misteri, dove spesso la verità sembra dissolversi tra le maglie larghe delle indagini, anche la vicenda di Francesca Moretti si inserisce come un ulteriore enigma mai pienamente risolto. Le indagini incomplete, le piste rimaste sospese e i dettagli mai chiariti, come la fiala trovata sotto il letto e mai analizzata, lasciano spazio a innumerevoli interrogativi che continuano a tormentare chi è rimasto.

Il delitto della minestrina. Un caso mai riaperto

Così, mentre la giustizia sembra aver voltato pagina dopo l’assoluzione di Daniela Stuto e la vita ha ripreso il suo corso — con Daniela oggi sposata, madre e psicologa —, il caso Moretti resta congelato nel tempo, sospeso tra ricostruzioni parziali e la memoria di una giovane donna la cui storia, ancora oggi, non trova una conclusione definitiva, al punto che nel 2024 il giornalista e scrittore Mauro Valentini ha sentito la necessità di raccontarla nel suo libro “Cianuro a san Lorenzo”.

Si è forse sentita la pressione di trovare un colpevole a tutti i costi, come secondo molti è accaduto in occasione di un altro delitto legato al mondo dell’Università, cioè quello che ebbe per vittima Marta Russo?

Daniela Stuto oggi è sposata, è mamma e lavora come psicologa. Dopo la sua assoluzione il caso della morte di Francesca Moretti non è mai stato riaperto; nel 2024 il giornalista e scrittore Mauro Valentini gli ha dedicato il libro Cianuro a san Lorenzo.

Edoardo Ciufoletti

Edoardo Ciufoletti è attore e autore teatrale. Da sempre studioso e appassionato di cronaca nera.