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Crediti imprese

Il rapporto con banche e denaro per la piccola e media impresa

Lo strumento che ci consente di chiudere transazioni vantaggiose, di vendere, di comprare, è sempre lui, mister denaro, sfuggente, desiderato, a volte complice, altre traditore”.

Con questa frase tratta dalla introduzione del libro “Sulle banche e sul denaro” scritto dall’avvocato Giulio Iannotta iniziamo la nostra intervista per addentrarci nel mondo delle banche di oggi e lo facciamo con un professionista che ha dedicato gran parte della sua vita professionale ad approfondire la relazione banca/cliente.

Ci vuol dire come ha iniziato ad occuparsi di banche?

”Nel 2007 feci un colloquio con il gruppo Unicredit nella sede di Verona dove cercavano avvocati che svolgessero il ruolo di consulenti esterni con lo scopo di recuperare crediti a sofferenza, cioè crediti che la banca aveva verso privati e società in Campania. Scelsi, come preferenza, di occuparmi di crediti aziendali e cominciai questa esperienza mettendo a frutto precedenti competenze  maturate come praticante avvocato nel settore bancario.

Mi resi subito conto che dietro alla problematica tutta della banca del recupero del credito si nascondeva un mondo, quello delle erogazioni creditizie fatte senza le opportune garanzie da alcuni sportelli bancari gestiti in maniera a dir poco sportiva. Un mondo che iniziava a cambiare, la stretta creditizia era alle porte e da lì a pochi anni avremmo assistito ad una rivoluzione  bancaria, la peggiore che a mio avviso si sia potuta porre in essere nella storia delle banche.

Dalla banca popolare o di impresa, vicina comunque alle esigenze del correntista si stava passando alla banca digitale, quel sistema informatizzato indubbiamente comodo che ha un unico insormontabile difetto: interpone un muro tra la banca e le persone e le valuta esclusivamente da dati oggettivi, quali gli andamentali di cassa e le dichiarazioni dei redditi, il merito creditizio e il rating bancario cioè quella etichetta che certifica la qualità del correntista quasi come se fosse una mucca. Se hai una buona etichetta hai le porte aperte dalla banca alle condizioni imposte dalla banca stessa, se hai una cattiva etichetta sei piano piano espulso dall’area della finanziabilità e specie se fai impresa sono dolori.”Studio Iannotta

E poi che è successo?

“E’ successo che ho capito che preferivo stare dall’altra parte del sistema, dalla parte del correntista non perché sia meritevole e vittima dei soprusi della banca, che diciamocelo chiaramente, in alcuni casi pure ci sono e vengono accertati nei vari Tribunali che di volta in volta vengono investiti dei procedimenti di accertamento per anatocismo, usura e altre patologie del rapporto contrattuale con la banca, ma semplicemente perché ritenevo e ritengo che il correntista sia spesso uno sprovveduto, uno che non ha la minima idea di come funzionino le banche e se fai impresa e vuoi crescere o non arretrare non te lo puoi permettere.”

Si riferisce anche agli investimenti?

“Non ne parliamo anzi parliamone. L’investimento bancario è la prova che la maggior parte degli investitori classici ne sappia davvero poco di investimento, non perché non si documenti, laddove sia possibile, sul prodotto che sta comprando in banca, ma perché mancano all’investitore tradizionale, almeno secondo la mia esperienza, le basi per addentrarsi nel mondo degli investimenti. Spessissimo non ragionando in termini di diversificazione degli investimenti al fine dell’abbassamento del rischio  e di continuità nell’investimento, le persone si imbarcano in operazioni in perdita o poco soddisfacenti nel breve periodo e, una volta rimaste scottate, disinvestono in perdita e si allontanano da ogni tipo di investimento.”

Da cosa dipende questo atteggiamento secondo lei?

“Principalmente dalla mancanza di cultura bancaria, le scuole dell’obbligo non hanno programmi di insegnamento per avvicinare i ragazzi al corretto uso del denaro, non si spiega dove vanno a finire i soldi accumulati ed investiti, non si fa capire cosa c’è dietro alla richiesta di investimento che la banca ti propone ad esempio con un PAC o con un PIR, cioè che cosa alimentiamo con i nostri soldi.”

Ancora meno informati e diffidenti, dice Iannotta, sono i correntisti di bassa cultura bancaria quando parli di investimenti in economia reale o in preziosi al fine di costituirti dei beni rifugio. Più facile è parlare di investimenti nel settore assicurativo perché lì si fa riferimento alla necessità di garantirsi da un evento futuro e incerto, nel caso delle polizze vita, e quindi c’è, per paura dell’accadimento di quell’evento, una maggiore sensibilità perché la priorità non è l’investimento che pure c’è ma la cautela rispetto al rischio.

Si può lavorare e fare impresa senza banche?

“Certo, tutto è possibile, qualcuno riesce a lavorare con pochissima assistenza bancaria ma a mio avviso la domanda da fare è un’altra e cioè se convenga lavorare con le banche o con denaro proprio. Questo dovrebbe essere il fine, lavorare con fondi propri, essere così liquidi esolvibili da non dovere avere bisogno della banca ma è scarsamente immaginabile sia perché i ricchi non lavorano con i soldi propri ma sfruttano la leva bancaria, fanno in pratica ora con i soldi degli altri quello che non avrebbero potuto fare con i soldi propri, sia perché è l’essenza dello spirito imprenditoriale che spinge l’uomo ad osare di più.

Un imprenditore se non ha un limite contrarrebbe un mutuo anche a 90 anni sapendo di non poterlo restituire perché il suo obiettivo è quello di fare impresa, costruire, organizzare e fare profitto. La banca è a conoscenza di questo dato caratteriale tipico e pone un limite come sistema alla finanziabilità ed è giusto che sia così perchè il denaro ha un valore sociale e non va mai sprecato. Il problema si pone quando la banca non solo non costruisce ponti ma erige muri troppo alti, condizioni di accesso al credito che non sono in linea con le esigenze dell’impresa ma dettate da criteri prudenziali frutto anche di analisi territoriali.”

Si riferisce alla nota disparità tra Nord e Sud?

“Esattamente. Siamo in presenza di un sistema bancario che registra i dati del territorio e si comporta di conseguenza. Ai poveri poco denaro, ai ricchi maggiore facilità di accesso al credito e poiché la ricchezza è concentrata prevalentemente nel centro nord siamo alle solite.”

Come ci si pone dal lato impresa e dal lato professionista di fronte ad una situazione come quella da lei descritta?

“Il modo di fare impresa è cambiato velocemente, sia per una competizione del mondo digitale prima inesistente e per gli effetti della globalizzazione sia perché l’imprenditore deve essere più competente e preparato almeno in 5 aree di riferimento. Mi riferisco alla  contrattualistica perché da buoni contratti dipende il funzionamento dell’impresa e della vendita del servizio prodotto, al monitoraggio dei flussi di cassa per leggere in anticipo come sta lavorando l’impresa e correre ai ripari se necessario, alla relazione con la banca per godere sempre dell’effetto leva che il denaro offre, agli investimenti perchè il danaro fermo soffre l’inflazione e deve essere investito per combatterla,  alle protezioni patrimoniali perché lavorare per nulla è da sciocchi.”

Ha clienti che la seguono su questa linea di ragionamento?

“In proporzione allo sforzo che faccio ogni giorno per sensibilizzare anche piccoli imprenditori su questi argomenti non  ho il numero di clienti che desidererei anche per ampliare la mia struttura, ma sono contento del lavoro che sto facendo con quei clienti che si avvalgono della mia consulenza e che grazie, anche al lavoro di squadra fatto anche con altri professionisti sullo stesso cliente, stanno avendo i loro risultati e hanno cambiato rapidamente il modo di fare impresa con una visione più aperta su tante tematiche prima ignorate.”

Può essere più  chiaro sul perché un piccoli imprenditore dovrebbe investire in consulenza?

“Certo, sarò sintetico, con la buona consulenza si guadagna, si fattura di più e si costruisce di più, acquisendo metodi di lavoro che le grandi imprese hanno sempre utilizzato con profitto.”

Sotto questo aspetto la consulenza per tutti rappresenterà una rivoluzione?

“Si, certo. Sotto questo aspetto mi considero un pioniere di una avvocatura che guarda oltre il classico modo di fare la professione e confido anche io in un balzo in avanti che mi restituisca un bel po’ di sacrifici fatti nel tempo. Sento che i tempi sono maturi e avremo un cambio di direzione nella giovane impresa che saprà stupirci e nelle successioni generazionali aziendali, quindi negli imprenditori di seconda generazione. A chi fa l’avvocato patrimonialista come me toccherà stare al passo e magari guidare un po’ i processi senza mai sostituirsi all’imprenditore che deve solo essere aiutato nel suo ruolo. Questa è la mia mission impossible.”

Claudia Barbara

Giornalista ed esperta di Digital Marketing