L’amnistia in Italia è un provvedimento di clemenza generale che estingue il reato e ne fa cessare l’esecuzione della condanna, se la sentenza non è ancora definitiva, o gli effetti penali, se è già stata emessa una sentenza irrevocabile.
È una misura di carattere eccezionale e la sua decisione è di competenza del Parlamento, con specifiche maggioranze, disciplinata dal diritto penale e dalla Costituzione.
In questo articolo parliamo di:
Definizione e caratteristiche dell’amnistia
Come appena detto, l’amnistia è un istituto giuridico di diritto penale previsto dall’articolo 79 della Costituzione italiana e dall’articolo 151 del Codice Penale. La parola deriva dal greco antico amnestia, che significa “dimenticanza” o “non ricordo“, riflettendo la sua funzione di cancellare il reato.
Differenza tra amnistia e indulto
A differenza dell’indulto, che estingue solo la pena (o ne commuta una di specie diversa o la riduce), l’amnistia agisce direttamente sul reato, estinguendolo nella sua essenza, il che significa che se un’amnistia viene concessa prima della sentenza definitiva, il procedimento penale si interrompe e l’imputato non viene più considerato colpevole di quel reato. Se invece interviene dopo una condanna irrevocabile, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali, sebbene la condanna rimanga negli archivi per altri scopi, come la recidiva o l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione.
Amnistia propria e impropria
L’amnistia può essere propria o impropria. La prima è quella che interviene prima della sentenza definitiva di condanna, estinguendo il reato e impedendo che si arrivi a una pronuncia di colpevolezza.
La seconda, invece, opera dopo una condanna irrevocabile, estinguendo la pena e i suoi effetti penali, ma lasciando intatta la condanna in quanto tale, seppur priva di conseguenze dirette sull’esecuzione. Ovviamente, non tutti i reati possono essere oggetto di amnistia e spesso vengono esclusi quelli più gravi, come i delitti contro la personalità dello Stato, i reati di mafia, terrorismo o associazione a delinquere di stampo mafioso, o quelli per i quali è prevista la pena dell’ergastolo. Le specifiche esclusioni vengono sempre indicate nel testo del provvedimento di amnistia.
Quando e come viene decisa l’amnistia
La decisione di concedere l’amnistia è di esclusiva competenza del Parlamento italiano, attraverso una legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, sia nella votazione finale che in ciascun articolo.
La maggioranza qualificata, introdotta con la revisione dell’articolo 79 della Costituzione nel 1992, è una garanzia fondamentale in quanto, prima di questa riforma, l’amnistia poteva essere concessa con legge delegata dal governo o addirittura con decreto del Presidente della Repubblica, rendendo il processo meno trasparente e più suscettibile a influenze politiche. L’attuale procedura parlamentare assicura un dibattito più ampio e una maggiore condivisione politica prima dell’adozione di un provvedimento di tale portata, tanto più che è richiesta una quota molto alta per la maggioranza così elevata, incidendo profondamente sul principio di certezza della pena e sulla percezione della giustizia da parte dei cittadini.
La procedura di amnistia
La procedura per l’approvazione di una legge di amnistia segue l’iter legislativo ordinario, ma con l’ulteriore requisito già citato della maggioranza qualificata.
Una volta che la proposta di legge viene presentata, essa deve essere discussa e votata sia alla Camera dei Deputati che al Senato della Repubblica. Solo se entrambi i rami del Parlamento raggiungono la maggioranza dei due terzi dei propri componenti, la legge può essere promulgata dal Presidente della Repubblica che, pur avendo il potere di promulgare la legge, non ha alcuna discrezionalità nel concedere o meno l’amnistia.
Le ragioni dietro la concessione dell’amnistia
Le motivazioni che possono spingere il Parlamento a concedere un’amnistia sono molteplici e spesso oggetto di ampio dibattito pubblico. Storicamente, l’amnistia è stata utilizzata come strumento per definire situazioni di forte tensione sociale o politica, come nel dopoguerra, per chiudere pagine di conflitto e favorire la pacificazione nazionale. In altri casi, è stata invocata per alleggerire il carico del sistema giudiziario, quando il numero elevato di procedimenti penali rischia di paralizzare i tribunali e prolungare eccessivamente i tempi della giustizia, una motivazione che, pur essendo pragmatica, è spesso criticata in quanto considerata una soluzione a breve termine a problemi strutturali del sistema.
Un’altra ragione può essere la necessità di correggere squilibri o ingiustizie percepite in relazione a determinate normative o a periodi storici specifici. Ad esempio, un’amnistia potrebbe essere concessa per reati minori che, a distanza di tempo, appaiono sproporzionati rispetto alle conseguenze legali. Tuttavia, la concessione di un’amnistia è sempre un atto di bilanciamento tra diverse esigenze: la necessità di garantire la certezza del diritto e l’efficacia della sanzione penale da un lato, e la volontà di risolvere situazioni di crisi o di favorire il reinserimento sociale dei condannati per reati di minore gravità dall’altro.
Il dibattito pubblico sull’amnistia
La concessione dell’amnistia è quasi sempre accompagnata da un intenso dibattito pubblico e da forti critiche. Molti giuristi e una parte dell’opinione pubblica ritengono che questo istituto mini il principio di certezza della pena e il senso di giustizia, argomentando che il condono dei reati, anche se minori, possa creare un precedente negativo, incoraggiando la recidiva e la percezione che le leggi possano essere aggirate o che la giustizia non sia inflessibile. La critica principale verte sul fatto che, pur alleviando il carico giudiziario a breve termine, non risolve le cause strutturali della lentezza della giustizia o del sovraffollamento carcerario, ma si limita a svuotare temporaneamente le carceri, senza intervenire su riforme più profonde.
Inoltre, un provvedimento del genere da parte del Parlamento può essere percepito come un’ingerenza politica nel potere giudiziario, seppur legittima a livello costituzionale, e come un segno di debolezza dello Stato nell’applicazione delle sue leggi.