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Storia di un ricercatore universitario precario

Un’eternità fa, quando mi apprestavo ad intraprendere il mio percorso universitario, colmo di buoni propositi e di belle speranze, non avrei potuto neppure immaginare che a distanza di molti anni mi sarei trovato a parlare in termini appassionati, ma critici della mia esperienza di vita.
Dopo l’iniziale disorientamento, che capita a tutti i neofiti, e non va addebitato alla complessità del sistema di ateneo quanto alla differenza netta che intercorre tra il ciclo di lezioni scolastiche e la serie di lectio magistralis tenute dal docente ed integrate da ulteriori corsi monografici e seminari vari, mi ero saputo sintonizzare sulla lunghezza d’onda dello studio autonomo e strutturato ed ero riuscito a conseguire notevoli risultati negli esami, collezionando nelle materie principali del mio indirizzo numerosi trenta e anche molte lodi…
Scalai dunque agevolmente la vetta dell’itinerario formativo per la fondamentale laurea quadriennale, anch’essa corredata di elogi e complimenti vivissimi da parte del mio relatore: questa semplice tappa preliminare del segmentato tragitto accademico sembrava allora ai miei occhi ingenui di studente ignaro del domani un traguardo fatidico, ma poi si sarebbe rivelata una mera precondizione per ottenere il lasciapassare per il girone infernale del precariato intellettuale, e la ascesa sarebbe stata declassata, alla luce dei ben più irti ostacoli ed impervi terreni successivamente affrontati, come una sorta di spensierata scampagnata collinare.

Promesse di collaborazioni non mantenute:

Naufragarono miseramente le vaghe promesse di una collaborazione con una casa editrice, ventilate con tono imbarazzato e consapevole della difficoltà immane di ottenere anche solo una semplice udienza presso i potenti del palazzo che congloba le corporazioni della carta stampata.
Passai un anno e mezzo in immersione lenta nel marasma acquatico delle fluttuanti aspettative di lavoro e sguazzando con fatica nel torbido del clientelismo plurisecolare che affligge l’humus neofeudale atavico del settore culturale monopolistico ed egemonizzato dalle lottizzazioni partitocratriche, disseminando inutilmente curricula variamente compitati e rimediando saltuarie boccate d’ossigeno come apprendista, status fragilissimo e precostituzionale che tuttavia mi consentiva almeno di apprendere la basi per le professioni editoriali e pubblicistiche, ed anche per eventuali contratti di docenza a titolo privato.

Concorsi di dottorato:

Dopo avere tentato invano due concorsi di dottorato nel mio campo di elezione primario, blindato da spartizioni di posti prestabilite, inaspettatamente, come in un colpo di scena disegnato da un maestro del cinema brillante e sofisticato d’autore Ernst Lubitsch, vinsi il bando per un settore analogo a quello in cui mi ero laureato. Superata l’euforia del momento, mi resi conto di essermi infilato in un vicolo cieco: la concorrenza interna era molto agguerrita e i nuovi arrivati erano malvisti specialmente da parte di alcuni professori molto influenti. Fui costretto dal tutor che mi fu assegnato d’ufficio, diverso dal docente che mi aveva scoperto al concorso, a rivedere radicalmente il progetto di ricerca per adattarlo alle sue esigenze e competenze.
Dopo tre anni alquanto tormentati e costellati da continui contenziosi metodologici e anche caratteriali con il tutor, ottenni il titolo, ma ricevetti la cogente sorpresa di non essere appoggiato nella pubblicazione con motivazioni, francamente, pretestuose ed irrisorie, alla luce del successo arriso in sorte agli estratti della mia dissertazione, ospitati in seguito da una valida rivista del settore accademico.
Alla fine del ciclo di dottorato mi ritrovai quindi a spasso e con niente più di una generica lettera di referenza, ma ebbi la consolazione di potere avviare una regolare attività di pubblicazioni delle mie ricerche con alcune riviste prestigiose.

La disoccupazione del settore umanistico:

Di collaborazioni riconosciute e retribuite, però, non c’era traccia ed annaspavo nei fondali della disoccupazione umanistica quando, fra i vari bandi di assegno di ricerca, ancora una volta, per puro caso e senza alcuna assistenza da parte dell’istituzione accademica, imbroccai quello giusto: si trattava di un assegno di breve durata e non rinnovabile, che era stato disertato dai concorrenti.
Trovai un ambiente sicuramente migliore del precedente, ma purtroppo penalizzato dalla terribile piaga dell’università attuale: la penuria dei fondi. Non solo erano esauriti i finanziamenti di cattedra ma anche i fondi di ateneo erano ridotti al lumicino. Ho continuato a collaborare con pubblicazioni e relazioni in convegni con buone soddisfazioni accademiche, ma purtroppo nessuna boccata d’ossigeno sul piano economico.
Successivamente ho registrato un fenomeno strano e inquietante, che credo sia tipico solo di un paese male organizzato ed avverso alla intelligenza culturale ed al talento accademico come è il nostro: quanto più la mia fama di studioso si accresceva a vista d’occhio a livello internazionale, e mieteva successi accademici, pubblicazioni riconosciute, partecipazioni ad atti di convegni e poi addirittura menzioni d’onore, premi e riconoscimenti di alto profilo, culminati nella citazione della mia persona con una voce propria su alcuni importanti dizionari biografici e enciclopedici di portata mondiale, nonché con la referenza bibliografica ai miei studi in numerose pubblicazioni del settore, tanto più si restringeva fino alla inconsistenza il mio margine di carriera a livello nazionale.
Adesso figuro in alcuni siti internet e cerco di aprire rapporti di lavoro con case editrici, giornali e periodici per lanciarmi nella pubblicistica, ma, allo stato presente, coltivo gli studi umanistici solo ed unicamente come hobby magnifico e nobilissimo, come dicevano i padri latini, gratis et amore dei.

Più risorse per non desertificare intere aree accademiche:

La conclusione è la seguente: se non si da ossigeno in tempo alla ricerca con un adeguato stanziamento ed una distribuzione più equa delle risorse, che assicuri continuità di progetto e garanzie professionali agli studiosi, si corre seriamente il rischio di desertificare irrimediabilmente molte aree accademiche, inaridendo la spirito pionieristico dei giovani e inducendo un esodo incontrollato di talenti e riducendo ulteriormente gli atenei, un tempo fucina gloriosa di conoscenza sperimentale, a sterili ed anonimi ‘diplomifici’ burocraticizzati in appendice al percorso scolastico, privi di rilevanza scientifica ed a basso livello didattico.
Insomma: pompate aria agli esploratori impantanati nei fondali del precariato e ricordatevi che l’aria salva il paziente finché egli ancora riesce a respirare, ma non lo resuscita certo anche un solo istante dopo il suo decesso per asfissia!

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Scritto da

Saggista, ricercatore, docente, traduttore, poeta e redattore.

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