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La nostra vocazione a finire nei pasticci

Se anche un conservatore come Sergio Romano giudica «non professionale» il comportamento della classe dirigente vuol proprio dire essere agli sgoccioli. Non sarebbe la prima volta che un onesto conservatore si schiera dalla parte del rinnovamento e del cambiamento. Ogni rivoluzione ha avuto il suo Lafayette.
Il titolo va detto subito, a scanso di equivoci, è copiato. Volutamente, coscientemente e a propria saputa copiato dal Corriere della Sera del 14 luglio 2013. L’articolo da cui si è preso in prestito porta la firma dell’opinionista Sergio Romano che, probabilmente come tutti, può essere ampiamente criticato su ogni sua affermazione ma senz’altro su un punto è inattaccabile: non è un antipolitico. E neppure un rivoluzionario. E neppure un disfattista nichilista. E neppure uno che le spara grosse.
Anzi, fin dal 1954 quando entrò alla Farnesina, è stato allenato a ben utilizzare le parole, a pesarle e a soppesarle così come si conviene ad un diplomatico. Come soprammercato e perché tutti abbiano ben chiaro di come la pensa ha scritto un libro dal titolo emblematico: Memorie di un conservatore (Longanesi 2002).
Bene, questo compassato signore in sei smilze colonnine e più o meno cinquemila battute ha demolito la classe dirigente del Belpaese. Ha definito il comportamento tenuto delle autorità (forze di polizia, ministeri e governo) nell’espulsione della famiglia dell’oppositore kazako come «non professionale.» Che di peggio non poteva trovare poiché, nella sua concezione delle relazioni e del linguaggio, quest’affermazione va ben al di là delle più popolarmente colorite espressioni di Beppe Grillo.
Inoltre l’ex ambasciatore mostra di trovare semplicemente imbarazzanti le giustificazioni del governo ed auspica che da adesso in poi sulla vicenda: «non si limiti a dirci come nelle scorse ore che non era informato e che l’operazione ‘presenta elementi e caratteri non ordinari’». Che di non ordinario, nel Belpaese c’è praticamente tutto.

 

Sergio Romano e la classe dirigente non professionale:

Comunque, per essere ben certo che nessuno fraintenda il senso di «non professionale» Sergio Romano porta alcuni altri esempi come la gestione della vicenda dei marò (che al momento hanno abbandonato le prime pagine dei giornali pur essendo ancora in India in attesa di processo ma forse se ne riparlerà in agosto quando si sarà a corto di argomenti, Ndr), il caso del capitano della Costa Concordia, le dimissioni del ministro Terzi in diretta tv (senza averle prima concordate con il capo del governo Ndr), e il simil spogliarello dei senatori del M5S.
Agli esempi dell’ex diplomatico, sempre restando nell’ambito della «non professionalità» si possono aggiungere le battute omofobiche di impettite sottosegretarie, il consueto ricorso a saggi e controsaggi che poi a loro volta si dividono tra i saggi che si dimettono e saggi che restano immarcescibili al loro posto pur nella convinzione di essere pagati per svolgere un lavoro inutile.
E poi c’è chi cerca di influenzare le decisioni della magistratura con ridicoli ricorsi alla pratica dell’Aventino, questa volta a ore neanche si trattasse di un albergo, o forse sì, mentre il segretario del Pd dichiara negli stessi momenti che se l’imputato Berlusconi venisse condannato sarebbe a rischio il governo. Come se un imputato non fosse semplicemente un imputato a prescindere, poiché la legge, come direbbe un onesto conservatore, è uguale per tutti. E non è che, Totò docet, per qualcuno debba essere più uguale.
E poi ci sono le mille ammuine sulle province, sul numero dei parlamentari, sul finanziamento della politica, sulla spesa pubblica, sulle tasse, sul conflitto di interessi, sulla candidabilità e sulla non eleggibilità.

 

Combattere contro i nostri connazionali:

E poi c’è il professore che prima diventa senatore a vita e poi presidente del consiglio e mentre è in carica ripete alla nausea che non vede l’ora di andarsene e di abbandonare il mondo della politica, salvo poi, non tenendo conto dei vecchi consigli della mamma, fondare un partito e brigare per diventare presidente del Senato.
Quindi le stucchevoli, ancor prima che fuori dalla storia e semplicemente sciocche dichiarazioni a sfondo razziale di molti deputati ed esponenti leghisti poiché quella di Calderoli nei confronti della ministra Cécile Kyenge è solo l’ultima di una lunga serie.
Che poi queste siano sempre giustificate a posteriori come «batture» o «frasi dette durante un comizio» stanno a dimostrare oltre che la «non professionalità» l’insita vigliaccheria dei protagonisti e sono anche un insulto all’intelligenza degli italiani. Come se il contesto del comizio consentisse la licenza alla cialtroneria. Peraltro essendo il Calderoli padre della legge definita da lui stesso «una porcata» verrebbe facile costruire qualche ameno gioco di parole. Ma non sarebbe professionale e per questo, qui, non vien fatto.
L’articolo di Sergio Romano termina con l’amara constatazione che questa classe dirigente pare voglia «convincere il mondo che l’Italia è sempre e soprattutto commedia dell’arte. Usciremo da questa crisi, prima o dopo – conclude – Ma combattere contro questi connazionali è una fatica di Sisifo».
Pare proprio di essere alla vigilia di grandi cambiamenti se anche un conservatore come Sergio Romano giudica l’attuale situazione in modo così chiaro e duro e la classe dirigente così palesemente inadeguata e ancor peggio, poco professionale.
Peraltro qui ormai la distinzione non passa più né per lo schieramento, né per l’età, né per anzianità di servizio: la non professionalità dilaga e questa deve essere la linea di confine per chi occupa posizioni di rappresentatività popolare. Che forse questi erano gli stessi argomenti per i quali il marchese di Lafayette decise di stare dalla parte dei sanculotti e diventare comandante della Guardia Nazionale.
La storia ha insegnato che i cambiamenti epocali non si fanno a tavolino e che in ognuno di questi c’è sempre un Lafayette. Sergio Romano pare avviato su questa strada.

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Scritto da

Blogger satirico, polemico, dadaista, ghibellino, laico, uomo d'arme e di lettere - Il Vicario Imperiale

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