L’attacco di Brunetta alla Boldrini:
E tutta l’attuale situazione politica ricorda la trama di quell’antica pellicola. Putiferio è una formichina, gialla, che combatte con passione e ardore contro le formiche rosse. Cattive e aggressive. Guarda il caso.
Anche se Brunetta un po’ rosso, poco, lo è stato quando militava nel Psi anche se erano i momenti in cui cominciava a sbiadire. D’altra parte i tempi passano e gli uomini cambiano. E martedì la passione e l’ardore, con tutta evidenza, agitavano, nel dire e nel fare il Brunetta, un tantino sovrappeso a dire dalle immagini trasmesse, ma non per questo meno bellicoso.
Voce stentorea come lui può avere, retorica un po’ retrò, vago riferimento a Shakespeare con quel ripetere «io a Brescia c’ero … io a Brescia c’ero … io a Brescia c’ero» neanche fosse Bruto a esaltare Cesare. E in più, mano battente sul banco (16 colpi in tre minuti e due secondi, in media quasi un colpo ogni dieci secondi) a sottolineare le parole ed i concetti per lui topici. Era un piacere vederlo, così impettito, proteso verso il nemico e col petto gonfio. Pronto a ricevere il fuoco (metaforico s’intende) del nemico. Immagine epica.
Attacca il discorso rivolgendosi alla Presidente della Camera con un «deputato Boldrini», a ritorsione per essere stato a sua volta chiamato deputato e non presidente del gruppo parlamentare. Eroico atto trasgressivo il cui pathos è stato parzialmente rovinato dalla voce fuori campo di uno dei suoi che lo incitava con un «sei un grande Renato».
Ma la flemma e l’accento suonavano come romaneschi che di eroico hanno ben poco, rotti come sono i romani all’ironico cinismo dopo duemila anni di avventure e di invasioni. Anche se altre, forse, erano le intenzioni. Di cui notoriamente sono lastricate le strade per l’inferno.
La storia di Putiferio:
Evidentemente il presidente Brunetta (si sottolinea presidente poiché giammai si vorrebbe attizzare altra tremenda requisitoria) sa qual è la differenza tra un deputato semplice e un presidente di gruppo e ci tiene a farla rimarcare. Che sia un rigurgito della lotta di classe che torna a far capolino tra le stanze del potere?
Sarebbe sconvolgente che ciò accadesse nel partito dell’amore, taluno ricorderà questa mielosa autodefinizione del Pdl, mentre si è agli inizi del kolossal: il governo dell’amore. Anche se, strictu sensu, si tratta di un partuze dato che è una storia a tre. Ma d’altra parte i trascorsi di uno degli sceneggiatori non potevano non lasciare traccia su trama e personaggi. Un atto mancato direbbe uno dei bisnipoti di Sigmund Freud.
Anche nella storia di Putiferio dopo la guerra e la guerriglia sboccia l’amore. È quando la piccola formichina gialla incontra il bel comandante di quelle rosse. Se i capi si innamorano ai popoli tocca far la pace e magari pure unirsi e coalizzarsi contro il nemico comune: il formichiere. Che potrebbe distruggere entrambe le formazioni. Curioso parallelo con l’attualità. Così va la vita dei corsi e dei ricorsi.
La morale del film è eticamente ineccepibile: pacifismo come substrato e condanna delle guerre. Che volere di meglio. Una sorta di pacificazione nazionale. Piccolo dettaglio: nel film manca il personaggio che è tradizionalmente vocato alla fregatura. Quello che alternativamente viene definito come l’imbroglione, il pataccaro o anche il piazzista.
Nella vita reale questo c’è. Anche se nascosto, neppure poi tanto, dietro le quinte di questo governo. Il più è renderlo innocuo. Se gli spettatori (elettori) vorranno. Si spera.