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Dal finanziamento pubblico al rimborso elettorale: la casta dei partiti

Il finanziamento pubblico ai partiti, provvedimento introdotto in Italia nel 1974 da una legge di Flaminio Piccoli (DC) per garantire ai partiti un mezzo adeguato di reperimento dei fondi necessari a finanziare le proprie attività, è stato uno dei più discussi della Prima Repubblica nonché tra i motivi essenziali della sua caduta; la Legge 2 maggio 1974 n. 195 Contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici all’articolo 1 stabiliva che:
A titolo di concorso nelle spese elettorali sostenute per il rinnovo delle due Camere, i partiti politici di cui al presente articolo hanno diritto a contributi finanziari nella misura complessiva di lire 15 mila milioni.
L’erogazione dei contributi è disposta secondo le norme della presente legge, con decreti del Presidente della Camera dei deputati, a carico del bilancio interno della Camera.
Hanno diritto al contributo i partiti politici che abbiano presentato, con il medesimo contrassegno, proprie liste di candidati per l’elezione della Camera dei deputati in più dei due terzi dei collegi elettorali ed abbiano ottenuto (…) almeno un quoziente in una circoscrizione ed una cifra elettorale nazionale di almeno 300.000 voti di lista validi, ovvero una cifra nazionale non inferiore al 2 per cento dei voti validamente espressi.
Hanno diritto, altresì, al contributo i partiti e le formazioni politiche che abbiano partecipato con proprio contrassegno alle elezioni della Camera dei deputati ed abbiano ottenuto almeno un quoziente nelle regioni il cui statuto speciale prevede una particolare tutela delle minoranze linguistiche.”

Il finanziamento pubblico ai partiti:

La legge, nella cui genesi era chiaro quello che sarebbe stato l’effetto futuro di penalizzazione delle nuove (e minori) formazioni politiche, venne approvata con tempi record e quasi all’unanimità e giustificata dalla necessità di trovare un modo più trasparente di gestire i grandi interessi economici da parte dei partiti; tutto nacque infatti, come spesso in Italia, da uno scandalo piuttosto grosso, lo scandalo Trabucchi (1965) dal nome di un senatore (DC, ancora una volta) invischiato in una serie di vicende commerciali poco chiare da ricondurre al finanziamento del proprio partito. 
Con la nuova legge del 1974 sul finanziamento pubblico ai partiti, si cercò di rassicurare, episodi di corruzione e quant’altro non sarebbero stati più all’ordine del giorni poiché i partiti stessi non avrebbero più avuto bisogno di ‘sporcarsi’ in episodi di corruzione e collusione con i grandi poteri economici in quanto avrebbero percepito i fondi direttamente dal finanziamento. Probabilmente questa frase letta oggi suscita ilarità e suona come una beffa dato che sono ben noti tutti gli scandali che avrebbero fatto seguito a quella legge. Ma andiamo avanti.

Tangentopoli e abolizione del finanziamento:

Siamo nel 1993 ed esplode lo scandalo Tangentopoli (e, per l’ennesima volta, è uno scandalo abnorme a far invocare un cambiamento) che tutti conoscono: un sistema corruttivo fatto di collusioni e finanziamenti illeciti ai partiti che riguardò le sfere più ‘alte’ del mondo politico e finanziario dell’Italia di allora; da ministri ad ex presidenti del Consiglio (poi riabilitati…) passando per deputati, imprenditori, portaborse e perfino mezze calzette. Tutti furono coinvolti in quello scandalo di dimensioni bibliche, al punto che si invocò un diluvio universale che ripulisse tutto il marcio e consentisse di ripartire ex novo.
Detto fatto: sulla scia dello sdegno popolare per Tangentopoli e cavalcando il malcontento, venne indetto un referendum abrogativo (promosso dai Radicali) per l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti: naturalmente sull’ onda emotiva di quell’enorme scandalo il risultato fu altrettanto netto e deciso, tanto che al quesito “Volete voi che siano abrogati gli artt. 3 e 9 della legge 2 maggio 1974, n. 195 (…): Contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici” risposero più di 35milioni di italiani, il 90% dei quali diede voto favorevole alla abrogazione della legge del finanziamento pubblico ai partiti.
Ma siamo in Italia ed il lieto fine quando ci sono di mezzo poteri forti non è mai di casa. Nello stesso anno (1993) e, secondo molti, tradendo quella che era stata la decisione di oltre 35milioni di italiani, il Parlamento aggiornò tramite la Legge 515/1993 la già esistente legge sui rimborsi elettorali, definiti “contributo per le spese elettorali”, ed applicando subito il nuovo regolamento in occasione delle elezioni del marzo 1994 e, successivamente, del 1996. Legge che, in sostanza, portò nuovamente svariati miliardi delle vecchie lire nelle casse dei partiti.

Il rimborso elettorale:

Arriviamo all’anno 1997, ed ecco un’altra sostanziale novità salutata da molti come ulteriore tentativo di cancellare, un po’ alla volta, la decisione popolare presa nel 1993: legge n. 2 del 2 gennaio 1997 “Norme per la regolamentazione della contribuzione volontaria ai movimenti o partiti politici” infatti, prevede la possibilità per i contribuenti di destinare, al momento della dichiarazione dei redditi, il proprio 4 per mille al finanziamento di partiti e movimenti politici, pur senza poter indicare a quale partito, per un totale massimo di 56.810.000 euro.
L’adesione alla contribuzione volontaria del 4 per mille ai partiti è minima, e nel 1999 arriva una nuova legge: con tale provvedimento (Legge 157/1999 Norme in materia di rimborso delle spese per le consultazioni elettorali e referendarie”) si stabilisce che il rimborso elettorale previsto non debba avere attinenza diretta con le spese effettivamente sostenute per le campagne elettorali.
La legge entra in vigore in occasione delle elezioni politiche del 2001 e prevede cinque fondi: per elezioni alla Camera, al Senato, al Parlamento Europeo, Regionali, e per i referendum. L’anno successivo inoltre (2002) viene approvata la legge n. 156 del 26 luglio 2002 “Disposizioni in materia di rimborsi elettorali”, che trasforma in annuale il fondo e abbassa dal 4 all’1% il quorum per ottenere il rimborso elettorale.

Scandali e sperperi della politica:

L’ultimo provvedimento in ordine di tempo da prendere in esame è quello relativo al 2006: la legge n. 51 del 23 febbraio 2006 prevedeva infatti che l’erogazione fosse dovuta per tutti e cinque gli anni di legislatura indipendentemente dalla sua durata effettiva. Il resto è strettissima attualità: i molteplici scandali del 2012 (vedi caso Lusi o caso Lega Nord) che hanno portato l’opinione pubblica a gridare ad una nuova Tangentopoli dimostrano ancora una volta quanto, in Italia, sia impossibile il cambiamento.
Scandali che hanno portato a vari dibattiti, in Parlamento e non, sulla necessità (solo adesso?) di introdurre una legge che finalmente regolamenti il settore in maniera chiara e definitiva (c’è chi propone anche di cancellare del tutto i rimborsi ai partiti). Alzi la mano chi crede che si arriverà effettivamente ad una soluzione in tal senso e che, quelli del 2012, resteranno gli ultimi scandali in materia di soldi e finanziamenti ai partiti.

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Scritto da

Giornalista indipendente, web writer, fondatore e direttore del giornale online La Vera Cronaca e del progetto Professione Scrittura

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