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I parlamentari non vogliono i tagli
Nel frattempo pare che all’interno della casta ci sia grande fermento, specie tra deputati e senatori alla prima legislatura: tra chi è alle prese con furiosi mal di pancia perché non riesce a digerire le nuove regole e chi inneggia a vibranti proteste, si sospetta un fuggi-fuggi generale, talmente imbarazzante che perfino alcuni segretari di partito hanno consigliato ai colleghi di darsi un contegno.
In sostanza sembrerebbe che più di qualcuno si sia detto pronto a dimettersi dalla carica entro la fine del 2011 per conservare i vecchi privilegi. “E’ solo una leggenda metropolitana”, dice Cicchitto. Sarà, soprattutto considerando le rinomate condotte politiche dei nostri rappresentanti.
Intanto i presidenti di Camera e Senato concordano nel dire che le nuove regole sono doverose, cercando di responsabilizzare gli scontenti ricordando loro che la politica deve dare il buon esempio, un segnale forte al Paese. E’ da qui che sorgono allora altri grandi quesiti: e i ministri a cosa rinunciano? La stretta sui vitalizi è sufficiente per ridurre i costi della politica? Perché non si interviene in maniera massiccia anche sulle baby-pensioni o sugli stipendi dei parlamentari?
Nauseati dal comportamento dei politici
Questo, più o meno, è quello che continua a domandarsi la maggior parte dell’opinione pubblica, considerando (oltre i flash-mob quotidiani sotto ai palazzi del potere) anche i gruppi virtuali di protesta che ormai spuntano come funghi all’interno dei social network, contando migliaia di iscritti.
I cittadini sembrano cioè ancora più nauseati dal comportamento di certi politici considerando i disagi crescenti subiti ogni giorno per colpa della disoccupazione, della precarietà, dei tagli, dei licenziamenti o delle pensioni (queste si) in molti casi decisamente misere, per non dire ‘da fame’.
Le pensioni dei parlamentari e quelle dei cittadini
Proprio sulle pensioni dei comuni mortali è pronta la stretta del governo, all’interno della manovra che verrà varata lunedì dal Consiglio dei Ministri e che sta generando, proprio in queste ore, l’opposizione di quasi tutti i sindacati.
Dal prossimo anno assisteremo cioè all’introduzione del sistema di calcolo contributivo pro rata e all’accelerazione del percorso di parificazione dell’età di vecchiaia tra uomini e donne nel settore privato (che appunto per le donne dovrebbe passare già dal 2012 da 60 a 63 anni, per poi agganciarsi a quella degli uomini nel 2018 e non più nel 2026).
Per quanto riguarda invece il superamento delle pensioni di anzianità il capitolo non è ancora chiuso. Tra le ipotesi, la soluzione più forte proposta dai tecnici del governo è di prevedere per tutti un’unica soglia di età contributiva a 41-43 anni per andare in pensione. A coloro che hanno raggiunto 63 anni senza avere però l’anzianità contributiva, verrebbe concesso di lasciare il lavoro, ma con una penalizzazione.
E mentre i politici piangono per le nuove regole sul vitalizio, la Cisl promette già uno scipero, dicendo: «c’è chi protesta, e chi decide, e poi in mezzo ci sono i pensionandi, che sopportano una mazzata che mai hanno ricevuto così forte».