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‘Uomini come leoni’: Garibaldi e Scanderbeg

Quando si parla di Risorgimento si tende a monopolizzare l’attenzione sul contributo degli esponenti italiani del movimento che portò all’unità d’Italia, escludendo di fatto dalla prospettiva storica l’apporto di comunità provenienti da altri paesi presenti nel nostro territorio, che risulta negato o comunque sfocato fino ad essere indistinguibile sullo sfondo marginale dei grandi eventi politici.
Va invece rivalutato, per esempio, il sostegno fervido e leale offerto alle forze di liberazione da parte della etnia albanese. Le idee mazziniane infatti, sostenute decisamente in Sicilia e in Europa dall’albanese Francesco Crispi, mente storica della spedizione dei Mille, si erano diffuse capillarmente presso i paesi arbëreshë della Calabria,  trovando numerosi proseliti che identificavano nella nostra lotta di indipendenza un riflesso fedele e un ideale equivalente ai principi ispiratori della loro questione nazionale.
Spiccano in particolare le comunità dei cosiddetti arbëreshë di Lungro, in Calabria, che presero parte attiva alla spedizione dei Mille e dedicarono parole elogiative commosse a Garibaldi: “Essere straordinario, le nostre lingue non hanno parole come definirti; i nostri cuori non hanno espressioni come attestarti la nostra ammirazione.”

Albanesi che combatterono per la causa risorgimentale:

Lungro è ritenuta la capitale morale e religiosa della etnia albanese in Italia e l’entusiasmo per le idee libertarie diffuse da Mazzini trascinò un gran numero di esponenti di tale comunità ad arruolarsi nella “Giovine Italia” Si calcola una percentuale vertiginosa di coscrizioni volontarie: cinquecento su cinquemila abitanti.
L’aspetto più sorprendente ed eclatante di questa coscrizione spontanea così diffusa è costituito dalla purezza di intenti salvifici che animava il nutrito cenacolo di questi ferventi seguaci di Garibaldi, in grado di immolarsi totalmente per la causa risorgimentale e di trasfigurare la loro fede strenua nella libertà, addivenendo ad una febbrile esaltazione nella identificazione simbiotica dell’essenza interiore e della causa patriottica con la figura mitizzata e leggendaria del futuro condottiero dei due mondi.
Tra tutti loro spicca il nome di Pier Domenico Damis, giovane adepto formatosi alle idee liberali e risorgimentali nel Collegio Italo – Greco “Sant’ Adriano” di San Demetrio Corone, luogo di incubazione della cultura politica albanese in Calabria, ed  acceso oppositore dei borbonici, al punto da subire l’assalto di contadini sanfedisti sulla base di una precisa convinzione, epitomata in un motto epico e solenne: “A Sant’ Adriano pure Cristo e’ giacobino!”.

La figura di Domenico Damis:

Da allora in poi fu tutto un crescendo di fughe rocambolesche e effervescenti slanci risorgimentali, fino alla scelta cruciale ed irrinunciabile di farsi coinvolgere nei fermenti irredentisti del ‘ 44 e poi del ‘ 47, culminata nella partecipazione attiva e rischiosa ai moti del 1848. Il susseguirsi di eventi bellici e picareschi comprendono tre anni di latitanza sulle montagne, la decisione di raggiungere il Piemonte, la cattura a casa di Maria, la sua coraggiosa compagna di vita e di lotta politica,  la condanna a morte emessa dalla Gran Corte Criminale. garibaldi
Le numerose missive destinate ai fratelli e alla madre dal penitenziario di Procida, dove era stato rinchiuso dopo che la pena di morte gli era stata tramutata in 25 anni di carcere duro, testimoniano di una fede intatta nell’avvenire, coronata dalla liberazione e dall’arruolamento nell’ Esercito Regio con il grado di ufficiale
Dopo avere conosciuto illustri compagni di prigionia quali Poerio e Settembrini, avere formato la sua cultura letteraria e storico-giuridica in carcere, tramite un assiduo studio che gli consentirà di diventare senatore del neonato Regno d’Italia, Damis affrontò indomito l’ imbarco su un veliero che doveva scaricare i patrioti al largo delle Americhe, e si salvò aggregandosi ad un gruppo di rivoltosi, unendosi al dirottamento della nave dovuto al figlio di Settembrini, per poi completare il suo esemplare percorso di riscatto personale partecipando alla leggendaria spedizione dei Mille.

Garibaldi e Scanderbeg:

La mente corre veloce alla prova straordinaria di ardimento e di amore per l’Europa minacciata dal dominio turco compiuta nel 1461 da Giorgio Castriota “Scanderbeg”, in aiuto di Ferdinando di Aragona, fino alla sua morte nel 1468, con lo scopo tenacemente perseguito fino all’ultimo per impedire ai turchi la conquista dell’Albania. La similitudine tra i due condottieri viene immortalata da parte albanese ad opera del poeta Zep Serembe in una lirica scaturita dall’accostamento allegorico-figurale di notevole potenza visionaria ed icastica tra i due eroi nazionali:

“il grande prode in camicia rossa / eguaglia il nostro Scanderbeg / perché quando con fierezza / impugna la spada / quale folgore brucia e squarcia”

Proprio come Giorgio Castriota Scanderbeg. Giuseppe Garibaldi perciò rappresentava la reincarnazione dell’Eroe shqiptaro, emblema etico e politico ideale dell’identità stessa degli albanesi di Calabria: rende giustizia alla comunione di valori patriottici celebrata dal sacrificio dei numerosi volontari albanesi l’esclamazione attribuita a Garbaldi: “Damis, questi tuoi albanesi sono leoni!”

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Scritto da

Saggista, ricercatore, docente, traduttore, poeta e redattore.

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