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La legge sull’affidamento: quei figli contesi

In queste ore in Italia non si parla d’ altro che del video riguardante il bambino che, in provincia di Padova, viene prelevato con la forza da scuola per essere consegnato al padre cui il tribunale lo aveva affidato; il ragazzo a dispetto di questa delibera, continuava a stare con la madre e da ciò ne deriva un’ ordinanza del Tribunale di Venezia.
Ad intervenire è la polizia (in maniera tutt’altro che garbata) che lo porta via dalla madre stessa avendo i giudici stabilito che la patria potestà debba andare unicamente al padre del ragazzo.
Immagini di un dramma familiare che si produce in modo violento su una vittima innocente e che hanno fatto il giro dei media suscitando lo sdegno generale portando ancora una volta alla ribalta le molteplici complessità di un fenomeno ricorrente.
Quello dell’affidamento dei figli, ovvero la potestà genitoriale sui figli minorenni in situazioni di non convivenza dei genitori.

 

 

L’affidamento condiviso:

In base alle norme recenti modificate dalla legge n. 54 dell’8 Febbraio 2006, nel nostro ordinamento è stato introdotto il cosiddetto concetto di affidamento condiviso in base al quale, in caso di separazione o divorzio, è sempre il giudice a scegliere il coniuge a cui affidare i figli facendo esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di questi ultimi ma “Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”.
In sostanza si garantisce comunque un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori e per fare ciò la norma ha stabilito che le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione e alla salute siano assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli.
In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente. Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di un assegno periodico
.

 

L’affido esclusivo ad uno solo dei due genitori:

Questo per quanto riguarda l’affidamento congiunto: il giudice infatti ha anche facoltà di valutare la possibilità di affidare i figli ad uno solo dei genitori determinando i tempi e le modalità della loro presenza fissandone misura e modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento.
In questo caso pur rimanendo immutati i doveri verso i figli e la titolarità della potestà genitoriale, il suo esercizio compete soltanto al genitore che ne ottiene l’affidamento. È questo il caso dell’ affido esclusivo, nello stabilire il quale il giudice dovrebbe sempre fare esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale dei figli.
Anche nel caso di affido esclusivo, le decisioni di maggiore interesse sono adottate da entrambi i genitori di comune accordo e, nella pratica, anche il genitore non affidatario ha il diritto e il dovere di partecipare e vigilare sull’educazione e istruzione del figlio, partecipando alle decisioni importanti che riguardano quest’ultimo.
Il coniuge al quale sono affidati i figli ha diritto a percepire un contributo economico, da parte del coniuge non affidatario, per il loro mantenimento. L’affido esclusivo era la regola prima della modifica avvenuta con la suddetta legge n. 54 dell’8 Febbraio 2006, che ha introdotto l’affido condiviso.

 

Consuetudine di affidare i figli alla madre:

Fin qui la parte regolamentativa: nella realtà dei fatti, come sempre, le cose prendono spesso un’altra piega. Caratterizzata da litigi, minacce, ritorsioni e figli usati come strumenti di ricatto nei confronti dell’altro coniuge; oltre che da un dato di fatto: salvo rare eccezioni, quando a prevalere non è l’affido congiunto i figli vengano quasi sempre affidati alla madre come avevamo denunciato in passato delle pagine del nostro giornale (La realtà sommersa dei padri separati senza diritti).
Realtà, quest’ultima, molto diffusa ne nostro Paese al punto che la Corte Europea, in passato, aveva richiamato le istituzioni italiane per la violazione dei diritti umani perpetrata a danno dei padri separati. Nella stragrande maggioranza dei casi infatti, l’assegnazione dei figli (e della casa) va alla madre, con tutte le conseguenze che ciò implica.
Il caso di cronaca del bambino di Padova da cui siamo partiti è un esempio esplicativo del dramma realtivo alla problematica dell’affidamento dei figli minori; si parla di un bambino conteso tra genitori, di battaglie a colpi di istanze, ricorsi, delibere, di un affidamento combattuto. E, soprattutto, di un esito che ha visto (e potrebbe continuare a vedere) il bambino stesso quale maggiore vittima di una folle storia e di una legge come sempre poco efficace.

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