La decisione di escludere i boss mafiosi:
Il Costituzionalista Francesco Clementi, prova a dare una spiegazione sulla decisione della Corte e perché il processo non può essere considerato nullo, ai microfoni dell’Ansa:
“La decisione presa dalla Corte è logica perché tutela il Capo dello Stato. È giusto mettere in relazione l’articolo 205 del Codice di Procedura Penale – (La testimonianza del Presidente della Repubblica deve essere assunta nella sede in cui esercita le proprie funzioni)- con l’articolo 502 che riguarda l’esame dei testimoni. Un testo che viene preso in considerazione per valutare i soggetti del processo e nel processo. In tutto ciò i giudici hanno probabilmente tenuto conto delle disposizioni al giusto processo previste dalla CEDU (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo), in base all’articolo 6 comma 1 che prevede restrizioni durante il dibattito, nell’interesse dell’ordine pubblico e di sicurezza nazionale. Valutazione che tiene conto in questo caso della presenza del Capo dello Stato”.
Quali sono i punti sui quali dovrà deporre? Il Presidente della Repubblica dovrà argomentare su quelle che sono state le parole del suo ex consigliere giuridico Loris D’Ambrosio deceduto un anno fa, su episodi accaduti tra il 1989 e il 1993 riconducibili secondo i magistrati, proprio alla Trattativa Stato-Mafia. A tal proposito lo scorso 13 novembre il Capo dello Stato mandò una lettera al tribunale di Palermo per chiarire la sua posizione, confermando di non sapere nulla di importante per il processo e che la sua testimonianza non sarebbe potuta essere di aiuto. Il collegio però non ha ritenuto sufficiente questa missiva, decidendo lo stesso di convocarlo.
L’ex Pm Antonio Ingroia che in passato ha coordinato le indagini sul processo Stato – Mafia, conferma ai microfoni dell’Ansa la sua cauta soddisfazione: “Sarebbe meglio per Napolitano testimoniare a Palermo in aula Bunker all’Ucciardone, proprio per dimostrare di avere un capo dello stato amico della verità e della giustizia”.
Vent’anni di trattativa Stato – mafia – Il Fatto Quotidiano
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Il film ‘La Trattativa’ di Sabina Guzzanti
Commento di dispiacere e rabbia invece, è quello che viene da “Il popolo delle agende rosse” e anche dall’attrice e regista Sabina Guzzanti. L’attrice romana, che in questi giorni sta girando l’Italia con il suo film “La Trattativa”, ha fatto discutere a causa di alcune esternazioni proprio sulla scelta di escludere i due capimafia. “Solidarietà a Rina e Bagarella privati di un loro diritto. I traditori nelle istituzioni ci fanno più schifo dei mafiosi”.
Questo il tweet al veleno che ha scatenato una vera e propria bufera. Ad attaccare l’attrice, da sempre icona della sinistra radicale sono stati sia il centrosinistra che il centrodestra, accusando maliziosamente l’attrice di voler fare pubblicità al suo film. È anche vero che la stessa Guzzanti, dopo una giornata all’insegna delle critiche, ha pubblicato un altro tweet in cui spiega le sue ragioni: “Sono pentita. Ogni tanto dimentico di vivere in un paese di ipocriti e collusi e parlo come se mi rivolgessi a persone libere. Se non si dicono cose esagerate non si viene ascoltati”.
Giuseppe di Lello ex magistrato e membro del primo pool antimafia guidato a Palermo da Falcone e Borsellino, ai microfoni dell’Ansa commenta positivamente questa scelta: “Sono pienamente d’accordo con la scelta dell’ordinanza della Corte d’Assise, mi sembra ben argomentata e per tale motivo non vedo il rischio di un processo nullo, come dichiarato da più parti.”