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“La mia vita da barbone”: storie di esclusione sociale

Nel cuore di Roma a pochi passi da piazza San Pietro, cuore della cristianità, proprio nel mezzo del continuo fluire di turisti e visitatori c’è un uomo che da oltre 7 mesi inscena apertamente la sua protesta per denunciare la propria condizione di esclusione sociale; dall’inizio di Marzo 2010 in via delle Fornaci, uscita del sottopasso per piazza San Pietro, tutti i giorni con regolare autorizzazione prende possesso di quella porzione di strada esponendo molteplici cartelli e lettere indirizzate alle varie autorità per catturare l’attenzione dei passanti.
Una forma di protesta singolare e per certi versi colorita attraverso la quale porta la sua condizione di disagio sotto gli occhi di tutti nella speranza che qualcuno possa notare e decodificare il suo messaggio che parla del dramma dell’esclusione sociale.

Come ci si ritrova ad essere barboni:

Decidiamo di incontrarlo e passare un po’ di tempo con lui durante uno dei tanti pomeriggi della sua protesta. Luigi Miggiani, questo il suo nome, è un ex consulente aziendale progettista meccanico di Torino; ha 64 anni e da circa 12 è totalmente isolato dal resto del sistema sociale. La sua condizione da clochard contrasta apertamente con il look elegante che lo contraddistingue: “vesto in giacca e cravatta per dar più risalto alla mia protesta, ma non deve trarre in inganno; sono un barbone a tutti gli effetti come gli altri.” Questo il biglietto da visita con il quale ci introduce nel suo mondo.
“Sto scrivendo anche un libro – ci dice con un pizzico di orgoglio –  nel quale racconto la mia vita da clochard con tutto quello che mi è stato fatto a livello di soprusi e violazioni dei diritti; sono stato anche  diffamato, calunniato, ovunque vado ho terra bruciata intorno. Il libro è scritto in forma di denuncia pubblica e lettera aperta al Capo dello Stato ed è diviso in 2 volumi scritti a mano. Racconterò la mia vita per descrivere tutti i passaggi che portano una persona normale a finire in mezzo alla strada ed a diventare barbone.”

Finire in mezzo a una strada:

I passaggi, come ci spiega lui stesso, sono molteplici, non si diventa barboni dall’oggi al domani e quello di finire in mezzo ad una strada rappresenta per lui l’ultima stazione di una via crucis che segue il binario della disperazione.
“Ci sono tutta una serie di passaggi che ti portano a questo; finire in mezzo ad una strada è l’ultima fase, lo stadio terminale. Io sono un ex consulente aziendale e sono qui a protestare per fare in modo di smentire quella voce che dice che questa è una scelta; non c’è nessuno che lascia volontariamente la propria casa per andare a vivere all’addiaccio in mezzo alla strada. La mia protesta quindi è per cercare di portare alla luce questa grave carenza anticostituzionale, che è l’isolamento sociale. Si parla tanto di omosessualità, di differenza di razza e colore ma non si parla mai di questa altra forma di discriminazione; l’isolamento sociale è una condanna a morte.”

Senzatetto ed esclusione sociale:

Quello che il signor Miggiani vorrebbe porre all’attenzione dell’opinione pubblica è la gravissima condizione di esclusione sociale in cui versano, sotto gli occhi di tutti, moltissimi cittadini: “Ci sono anche diversi professionisti per strada; ingegneri, architetti, c’è anche l’operaio. Tutte le categorie sono rappresentate. Ormai conosco tutti i clochard che vivono per la strada; queste persone muoiono di stenti, per il freddo durante l’inverno, muoiono triturati nei cassonetti della spazzatura, dove spesso si rifugiano per ripararsi dal freddo. Solo che non se ne parla più di tanto.”
Gli chiediamo di raccontarci la sua situazione:
“Come dicevo prima, questa non è una scelta, ma l’ultimo passaggio di un percorso: anche nel mio caso non ho scelto io questa condizione, mi ci sono trovato. È da 12 anni che sono isolato da tutto il contesto lavorativo, pensionistico, assistenziale; non mi danno neanche la pensione di invalidità, ed io soffro di cardiopatia gravissima, sono a rischio di morte improvvisa, ho sette ernie del disco, problemi alla tiroide. Dovrei avere minimo l’invalidità del 100 %, ma non mi riconoscono più del 65% evidentemente per non farmi avere un sostentamento. Sono senza fissa dimora ho la macchina parcheggiata qui a pochi metri e vivo lì dentro. Mi hanno rotto i finestrini, bucato le ruote, questi sono gli altri rischi che si corre vivendo per strada.”

Una protesta costante e civile:

Da questa condizione di isolamento sociale, tuttavia, il signor Miggiani è riuscito comunque a raccogliere le forze ed a canalizzarle in questa forma di protesta, costante e civile, per non sentirsi del tutto invisibile all’interno della società:
“Quello che vorrei è mettere in evidenza questo grave problema, dire ai nostri politici che guardino la nostra Costituzione dove c’è scritto che la nostra è una Repubblica fondata sul lavoro e la sovranità appartiene al popolo; allora io sarei una sovranità, ridotta in mezzo alla strada. Sono 7 mesi che protesto, 1000 ore di presenza fisica, circa 10 ore al giorno ma non è mai venuto nessuno; sono andato in tutte le sedi istituzionali e politiche. Sono un nessuno, questo sto cercando di dire; noi siamo gli invisibili.”

La protesta di Luigi Miggiani:

Tra l’altro, come dicevamo prima, il signor Miggiani ha tutte le autorizzazioni in regola per manifestare in quel tratto di strada il suo dissenso: “Ho l’autorizzazione per stare qui – ci dice mostrandoci i fogli – devo andare ogni 2 giorni a chiederla in Questura. Devo dire che ora stanno cercando di togliermi anche quest’ultimo diritto che mi è rimasto; l’ultima volta che sono stato in Questura, infatti, mi hanno accusato di essermi accampato qui. Gli ho risposto che quello che sto facendo è una protesta, l’unico diritto che mi è rimasto; almeno questo non me lo possono togliere. Io starò qui fino a quando non sarà preso in considerazione questo aspetto sociale; parlo anche a nome di coloro i quali sono morti, magari triturati dai camion della spazzatura.”
L’ultima riflessione con la quale ci congediamo dal signor Miggiani, nel viavai di passanti, è piuttosto dura e amara: “ho una salute cagionevole, probabilmente sono alla fine anche io, però prima che il Signore mi chiami vorrei gridare anche a nome di coloro che sono morti in mezzo alla strada e portare alla luce questo aspetto. Questa è condanna a morte; l’isolamento sociale è la peggiore delle condanne a morte, consumata tutti i giorni sotto i nostri occhi. Ogni giorno, per me, è vivere la morte.”

Pubblicato in Reportage

Scritto da

Giornalista indipendente, web writer, fondatore e direttore del giornale online La Vera Cronaca e del progetto Professione Scrittura

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